Fino al 15 di aprile andrà in scena, negli angusti e claustrofobici spazi del Teatro in scatola, AFTER THE END (A.T.E), diretto dalla regia di Enzo Masci, con testo dell’acclamato drammaturgo Dennis Kelly e con gli attori Claudia Genolini e Tommaso Arnaldi. Uno spettacolo che ha collezionato molti consensi di critica e pubblico nell’arco dei suoi primi dieci anni di vita. Un successo ulteriormente incrementato dalla collaborazione di due compagnie: la Bracci-Schneider e la Freaky Lab, piuttosto conosciute e famose sull’intero territorio italiano.
La vicenda è totalmente ambientata all’interno di un rifugio antiatomico di proprietà del protagonista maschile, Mark (Tommaso Arnaldi) il quale grazie ad un atto eroico, porta in salvo l’amica Louise (Claudia Genolini). Dopo aver trascorso una piacevole serata in un pub, in compagnia di amici, Mark racconta a Louise di averle salvato la vita dall’improvvisa esplosione di una bomba atomica. E che in seguito allo svenimento di Louise, il primo istinto di Mark sarebbe stato quello di difenderla dalle radiazioni chimiche e di proteggerla, trascinandola sotto un metro di terra. Le prime scene spiegano alla protagonista, come allo spettatore, il motivo e il perché del loro solitario ritrovo al di sotto della superficie terrestre. Successivamente è di vitale importanza la catalogazione delle risorse di cibo a disposizione all’interno del bunker, le quali sembrano non abbastanza per entrambi. Man mano che si procede con lo svolgimento dei fatti risulta evidente la gelosia da parte di Mark nei confronti di Louise. Si comincia a parlare delle perdite. Louise è distrutta al solo pensiero di aver perso suo fratello e tutte le persone a lei care, a causa di questa catastrofica esplosione. Inizialmente Mark sembra esserle vicino consolandola. Pochi istanti dopo Mark decide di iniziare a svolgere un gioco di ruolo per tenere in allenamento il cervello data la situazione di isolamento e sconforto. Louise si rifiuta e immediatamente la situazione si capovolge. Si passa da una grande dolcezza ed empatia da parte di entrambi, ad una avversità manifesta. Lui le nega il cibo e l’acqua. La situazione inizia a farsi sempre più fastidiosa e asfissiante talmente che le violenze da parte di lui, si fanno sempre più sottili fino ad esplicitarsi con l’incatenamento della ragazza al letto. Gli unici oggetti presenti da questo punto in poi sono la catena e un coltello utilizzato da entrambi per tenersi testa, dando vita così ad una vera e propria lotta di sopravvivenza. Spesso si ritorna al tema dell’esplosione. Mark rigetta l’intera colpa su persone incappucciate che professano la religione islamica. Louise lo sfotte continuamente ironizzando sulla sua vena razzista. Ben presto Louise sente delle voci che provengono al di sopra della botola: sono due ragazzi che chiacchierano serenamente intenti ad andarsi a prendere una birra insieme. Mark le somministra del cibo, come se fosse una cavia da esperimento, per farla smettere di pensare a cosa aveva appena sentito e giustificando le voci da lei ascoltate come allucinazioni date dalla carenza di zuccheri. Immediatamente però, non appena finisce la bramosia di cibo da parte di Louise, lei comincia ad interrogarlo di nuovo su cosa sia effettivamente successo la sera dell’esplosione, facendogli notare che in realtà lei era priva di sensi. Così facendo viene incrementato il sospetto (nello spettatore e in Mark) che in realtà tutto fosse stato architettato dall’amico, per isolarla e averla tutta per sé. Louise viene incatenata e minacciata dal ragazzo che, disperato di “amore” per lei, ne abusa sia fisicamente che moralmente. Una vera e propria tortura che avrà termine con un’apparente morte di entrambi. La fine è piuttosto plausibile: Mark viene rinchiuso in carcere (facendoci pensare che finalmente qualcuno ha ritrovato la povera ragazza imprigionata) e Louise va a fargli visita. Il discorso tra i due fa trapelare un grande legame tipico della vittima con il carnefice. Sembra quasi che, nonostante tutto, la visita della ragazza sia mossa dal desiderio di voler perdonare il suo ex amico, lasciando sgomento lo spettatore che fino a quel momento disprezzava la figura maschile protagonista.
Il messaggio di una simile performance fa riflettere su un profondo stato di isolamento e chiusura, tipico del carattere del protagonista, ma facilmente riscontrabile in ognuno di noi. Forma esplicita della trama è proprio il rifugio antiatomico. Angusto, spoglio, freddo e poco accogliente, così come è la mente di una persona debole e depressa. Effettivamente le pareti nere e la forma di un quadrato allungato dello spazio scenico del Teatro in scatola, si prestano alla situazione. Anche lo spettatore, oltre ad assistere, si sente parte di quel piccolo spazio apparentemente luogo di salvezza e protezione. Ma nel momento in cui si comprende che la ragazza è stata ingannata, l’ossigeno comincia a mancare e a farsi rarefatto, per lei, quanto per il pubblico. Il rifugio e la continua lotta da parte di entrambi i protagonisti è metafora di una società, che si prefigge di essere democratica ma che in sostanza non fa altro che ingabbiare in compartimenti stagni la psiche e il corpo di ognuno dei suoi componenti. E nel momento in cui un potenziale attacco terroristico sta minacciando il pianeta, viene aggredita e minacciata anche la libertà di ognuno. Ma ci viene spontaneo domandarci: quanto effettivamente era “libera” la libertà della quale disponevamo nel momento in cui credevamo di esserne i degni proprietari? La minaccia esterna, seppur inventata come in questo caso, provoca scompiglio e disorientamento facendo riemergere, nell’uomo, quell’istinto nascosto e primitivo destinato al fine ultimo della sopravvivenza.
Nel corso della rappresentazione è interessante la resa scenica delle luci. La luce come la musica sono sempre presenti scandendo il tempo e lo stato d’animo. Ogni scena è definita dalla luce che delimita lo spazio rendendo ogni fase della performance come fosse un pezzo di vita che si sta svolgendo dentro quel rifugio. Proprio come in un film si passa da una situazione ad un’altra totalmente diversa dalla precedente, grazie al susseguirsi di questi “stati” di luce. Nella stanza/gabbia dalle pareti color nero lavagna, abbiamo oggetti semplici ed essenziali come un letto a branda, un tavolo con due sedie, un contenitore che ha lo scopo di conservare tutto il necessario dalle coperte al cibo, una radio fuori uso, una catena e una scala che dovrebbe condurre al di fuori del bunker. Ogni cosa ha il suo significato e tende a non distogliere il pubblico dalla grande intimità ed empatia che caratterizza i due attori. Infatti la prima impressione che si ha di entrambi è l’intesa che li coinvolge e li rende l’uno il continuo dell’altro, senza però (inizialmente) sovrastarsi. Nonostante la storia raccontata per mezzo dei loro corpi e delle loro espressive voci, si avverte una forte stima reciproca.
Un’ultima riflessione sul titolo AFTER THE END ci fa intuire di quanto sia relativa la sorte che spetta all’uomo dopo un’ipotetica fine. Talmente, che quando questa fine sembra essere arrivata, paradossalmente non si fa altro che pensare a come evitare che avvenga. Facendoci continuare a cercare invano un modo di sopravvivere, ma senza accorgerci in realtà di essere ancora vivi, con in mano una vasta gamma di potenziali soluzioni possibili.
Visto il 30 marzo
Info:
Le compagnie Bracci-Schneider e Freaky Lab presentano:
After the end
Drammaturgia di Dennis Kelly
Regia di Enzo Masci con Claudia Genolini e Tommaso Arnaldi
Fotografie di Martina Mammola
Foto di scena Valerio Ziccanu Chessa
Ufficio stampa: Marta Scandorza.
Dal 30/03/2017 al 15/04/2017
Teatroinscatola – Lungotevere degli Artigiani 12