AFGHANISTAN Il Grande Gioco @Teatro Arena del Sole – l’arte di una lezione di storia, e il gioco continua…

Al Teatro Arena del Sole è andato in scena in giugno AFGHANISTAN – Il Grande Gioco, una coproduzione Teatro dell’Elfo ed Emilia Romagna Teatro Fondazione per la regia di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani, con Claudia Coli, Massimo Somaglino, Leonardo Lidi, Michele Radici, Michele Costabile,Enzo Curcurù, Hossein Taheri, Emilia Scarpati Fanetti. Lo spettacolo ha debuttato a gennaio al Teatro dell'Elfo ed è arrivato a Bologna all’Arena, alla chiusura di una stagione intensa che la redazione di Gufetto Teatro a Bologna ha seguito nei suoi spettacoli più importanti. Lo spettacolo, parte di un progetto più ampio, avrà un seguito…

“The Great Game o Tournament of Shadows”, in russo traslitterato in “Turniry Teney”, ovvero “Il Torneo delle ombre”, è l’espressione che definisce il conflitto – caratterizzato dall’attività delle diplomazie e dei servizi segreti – che contrappose Regno Unito e Russia nell’influenza su Medio Oriente e Asia centrale. Il termine “Grande Gioco” negli anni 2000 torna in voga in occidente, ma questa volta per identificare le attività di Stati Uniti e Russia per il controllo sull’Asia centrale: si è parlato così di “Nuovo Grande Gioco”, e si tratta di un gioco che continua tuttora e che ci riguarda molto più da vicino di quello che pensiamo.

Lo spettacolo è la prima parte di un progetto più ampio ("The Great Game: Afghanistan", commissionato e prodotto dal Tricycle Theatre di Londra nel 2009) che vedrà anche la realizzazione di una seconda parte ed costituito da quadri (undici in tutto, dei quali qui vediamo i primi cinque): cinque episodi diversi scritti ognuno da un autore differente e ognuno riconducibile a un momento storico specifico del gioco che ha visto l’Afghanistan, nemico imbattuto e terra impietosa per lo straniero invasore, come teatro.

Eccoci quindi nel primo quadro, Trombe alle porte di Jalalabad (di Stephen Jeffreys), facciamo un salto nel passato, siamo negli anni Quaranta dell’Ottocento, quando la tragedia ebbe inizio; per poi proseguire con La linea di Durand (scritto da Ron Hutchinson) e le vicende diplomatiche di fine Ottocento, i compromessi, la corruzione, la polvere nascosta sotto i bei tappeti mediorientali; e poi è la volta di Questo è il momento (Joy Wilkinson), il momento delle riforme di re Amanullah e della regina Soraya nei ruggenti anni Dieci e Venti del Novecento, del loro governo tradito poiché eretico, troppo moderno e occidentale, un governo peccatore da punire; dopo di che ci ritroviamo nel quarto quadro intitolato Legna per il fuoco (Lee Blessing), il racconto impietoso della crescente militarizzazione negli anni Settanta e Ottanta, armi date come giocattoli, terribili contentini per gratificare, ricattare e controllare da un lato e distruggere dall’altro… infine, il quinto e ultimo quadro, per adesso, Minigonne di Kabul (Davis Greig), siamo nel 1996 quando l’ultimo presidente della repubblica democratica afghana, Najibullah, viene giustiziato dai talebani che hanno appena preso il potere, l’ultimo episodio narrato risale a 21 anni fa, e il terribile gioco è ancora in atto.

Cinque quadri (i primi tre relativi all’invasione e all’indipendenza 1842- 1930 e gli altri due che raccontano di comunismo, Mujaheddin e Talebani 1979-1996) che ce ne danno uno completo e ben costruito, per informarci, farci capire e riflettere, e lo scossone travolge. Ispirato al saggio di Peter Hopkirk, chiaramente citato nell’ultimo quadro, probabilmente una delle ultime letture dell’ex presidente Najibullah, ci racconta degli inglesi e dei russi prima, degli americani poi, varie nazioni hanno voluto prendere parte al gioco, l’oppio e il suo monopolio come premio, gli accordi, le armi regalate come caramelle ai bambini, tutto viene a galla con onesta semplicità.
Lo spettacolo scorre nonostante la lunghezza, quasi tre ore, che possono spaventare leggendo il programma, ma che volano rapide una volta seduti in platea. Il tempo non c’è più, siamo dentro una dimensione intima, una scena piena di sincerità e intensità, tenuta sempre alta da un cast espressivo che tiene senza problemi il ritmo della narrazione, i volti si prestano a più personaggi come la storia si presta a diversi livelli di riflessione grazie alla sua poetica, schietta ed esplicita, alla portata di tutti, anche dei ragazzi più giovani.
La scena è semplice e malleabile, trasformata di volta in volta in ciò che serve: un punto di avvistamento militare, una landa innevata dell’inospitale ma affascinante Afghanistan, un salotto privato all’interno del palazzo di un Emiro, un ufficio della CIA. È una scena che resta volutamente sempre anonima, non c’è nessuna necessità di eccessiva caratterizzazione dei luoghi, ciò che conta è la narrazione, l’urgenza di raccontare e arrivare alle persone in questo spettacolo teatrale, che è al tempo stesso anche una vera e propria lezione di storia e un reportage.

Il gioco del teatro e il gioco della politica, un parallelo di strade, di incontri, di precari equilibri, ma soprattutto di visioni, ma qui il gioco teatrale che per sua natura è dichiaratamente “finto”, a differenza di quello politico è trasparente e sincero, cinico a tratti, pieno di rabbia, a volte sporco perché il racconto è il racconto di un gioco sporco, ma pur sempre limpido nelle intenzioni.
La storia non insegna, i titoli dei giornali di allora potrebbero essere confusi con quelli dei giornali di oggi e qui l’urgenza di parlare della violenza perpetrata in questa terra, una tragedia creata a tavolino 200 anni fa, un gioco malato descritto dai media come “guerra senza fine” dove siamo tutti coinvolti, tutti pedine usate in questa partita che ci vede perdenti in quanto civili che non sanno o che scelgono l’indifferenza. L’Afghanistan non è poi così lontano.
"Temi il peggio", insegna un proverbio afgano, una breve frase che racchiude il passato e il presente, poi chissà… per adesso chi era in platea quella sera è in attesa del prossimo spettacolo, che sarà composto dagli altri sei quadri, ci sono ancora troppe cose che il mondo deve sapere e mancano le ultime tessere per completare la parte mancante del gioco avvenuto fino ad ora.
Consapevoli o meno siamo tutti parte del grande gioco, nessun luogo è poi così lontano.

Info:
AFGHANISTAN: IL GRANDE GIOCO
Visto il 14 giugno all'Arena del Sole – Sala de Berardinis
regia Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani
coproduzione Teatro dell’Elfo ed Emilia Romagna Teatro Fondazione

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