Sul finale di stagione siamo tornati al piccolo e accogliente Teatro delle Spiagge per l’ultimo spettacolo della compagnia CiurmaStorta ADDIO NUVOLE…Ovvero la guerra di Annibale Barca, di e con uno strepitoso Stefano Luci, accompagnato dalle musiche di Massimiliano Peri, che per un’ora e mezza ci hanno tenuti incollati alla sedia.
a cura di Michele D’Ambrosio
“Le parole sono nuvole, le parole sono polvere”: la polvere sui frammenti di Frinaccio da Bengasi, lo pseudo autore fonte dello spettacolo. Ci si chiede, alla fine, se è reale o fittizio, perché tutto è ben circostanziato e si racconta la storia: la storia dalla parte dei vinti, non dei vincitori. Ai primi infatti viene lasciato il silenzio. I protagonisti sanguinari delle Guerre Puniche sono rappresentati nel grottesco, nel paradosso. Annibale, Quinto Fabio Massimo, Asdrubale, gli ambasciatori, gli auguri non sono più eternati nel mito e deificati, ma sono letti nella loro mediocrità, con le loro idiosincrasie, la loro infantile crudeltà. I personaggi che si susseguono, sono accompagnati sempre dai suoni e dalle vibrazioni del percussionista Max Peri, alle prese con degli strumenti musicali, molti dei quali di etnia africana. Stefano Luci, autore e interprete, nella semplicità essenziale ci riporta ai resti di ciò che è stato. Sono i resti di un naufragio e sulla riva troviamo brandelli di oggetti, strumenti e il naufrago musico. “Sono venuto a cantare il silenzio di chi ha perso. Ho scelto la polvere che accorda tutti gli uomini”. L’interprete come un rapsodo moderno narra la storia, ma è una storia passata che vuole raccontare il presente, in un’onda continua di incontro/scontro dei popoli che abitano intorno al Mediterraneo, la nostra casa comune. Tutto rimane derelitto sulla spiaggia: una ciurma. Anche le parole diventano resti, polvere, che si raggruma per disegnare i personaggi visti sempre nella loro parte più greve, crudele e anche infantile. Tutto diventa un gioco, un gioco per alcuni, un destino tragico e mortifero per altri.
L’attore in scena riesce a ben delineare ogni personaggio in una interpretazione paradossale con l’uso anche di una lingua dialettale che entra più diretta nella rappresentazione al cuore di questi personaggi smitizzati. Anche la musica è una naufraga ed è l’arma che lancia le parole, le emozioni, la crudeltà e l’infantilismo del potere che ci vede tutti giocattoli di questi uomini antichi e allo stesso tempo contemporanei. Musica di popoli che percuote gli strumenti come i sassi per entrare dentro le radici della nostra civiltà. Il percussionista suona una ciurma, raccolta in una metaforica zattera, di tanti strumenti: campane di cristallo, tubi di plastica, armonium, thunder, tamburi a cornice, campanelli, pandeiro, gong. Il narratore storico scandisce gli eventi, gli uomini, la guerra, le storie personali di ognuno che incontrano la storia comune di tutti. Le sue parole cadono come cadono gli uomini. Annibale vive il contrasto tra dovere e libertà e nell’alter ego del suo occhio, a cui parla sul piatto della solitudine, vive in pieno questa frattura tra l’aspirazione di essere nuvola, inconsistente e leggera, o alzare la testa per guardare lontano verso il dovere patrio. Annibale non sa più chi è. Alla fine è solo un pirata che guida e si fa guidare dalla sua ciurma-musica che, con questi suoni apotropaici, spinge e fa riaffiorare dal profondo l’aspirazione alla libertà di essere chi si vuole, anche folli.
Lo spettacolo si presenta come uno studio di ricognizione sul potere che si può smascherare solo con la burla. Questi personaggi nella loro folle e candida crudeltà sembrano scimmie, animali evocati dai tamburi e dalle campane della musica. Mostrano quel volto benigno del poter che nasconde le belve assetate di sangue. Molti i paragoni e i rimandi storici tra quello che è stato in passato e ciò che è oggi: per i disgraziati degli anni zero, c’è Lampedusa. A chi importa della guerra di chi ha perso? C’è chi muore, chi vince ma è “sempre l’erba a rimanere calpestata”. Annibale è passato alla storia per essere cattivo, distruttore di equilibri nonché vinto. Eppure c’è stato un tempo in cui è stato un bambino, anche se non ha mai potuto giocare. Instancabile nel corpo e nella voce, Stefano Luci, attraverso la carrellata di personaggi che fanno parte del mondo di Annibale, si interroga sul grande tema della guerra, passando brillantemente da una recitazione dal taglio molto didascalico, alla interpretazione grottesca dei personaggi, tutto nell’emozione della musica. Abbiamo la sensazione di trovarsi al cinema a volte piuttosto che a teatro. Siamo difronte al continuo scontro tra Roma e Cartagine, Occidente contro Oriente e dall’analisi minuziosa dell’attore emerge che nessuno ha voluto la guerra ma Annibale ha avuto meriti e demeriti. Annibale incarna lo straniero che è stato creato e plasmato per la guerra. In fondo il migrante (Cartagine) non ha mai pensato di poter conquistare il mondo (Roma). Ma è convinto che la morte non vale più della vita e se non potrà essere il re del mondo, allora alzando la testa, sarà quello delle nuvole.
“Ma chi la decide la guerra? Chi non la fa”
ADDIO NUVOLE …Ovvero la guerra di Annibale Barca
dai frammenti di Frinaccio da Bengasi
di e con Stefano Luci
Musiche tribali, suoni e percussioni Max Peri
produzione CiurmaStorta Teatro
foto di Cristiano Biagioni
Teatro delle Spiagge
giovedì 23 maggio