Si apre con “Human” di Rag’n’Bone, A STEADY RAIN, lo spettacolo omaggio alla pièce teatrale omonima scritta dallo statunitense Keith Huff (fra i produttori di House of Cards), andato in scena al Teatro Argot, diretto e interpretato da Matteo Taranto e Davide Paganini. Un testo figlio di una narrazione di genere (anche cinematografica) pulp e noir a stelle e strisce che, leggiamo in locandina, fu di ispirazione al serial True Detective (1ma stagione) da cui si disposta però nell’impostazione dei personaggi e nella narrazione di fondo.
Taranto e Paganini vestono i panni di due personaggi difficili e vagamente amari, due poliziotti americani che si conoscono da sempre e si frequentano anche fuori dal lavoro: Denny è un padre di famiglia non proprio fedele, mentre Joey remissivo e nichilista ha qualche problema con l’alcool da cui lo tiene lontano l’amico.
Alternando monologhi di un interrogatorio/confessione fittizia sui giri di pattuglia e sulle serate passate assieme, a scambi di battute e momenti di interazione scenica (fra i passaggi più intensi e riusciti) che rompe la parete immaginaria che a volte sembra dividerli, i due attori portano in scena i disagi, le paure ma anche le goliardie di due compagni di squadra alle prese con una Chicago violenta. Un mondo dove la paura del criminale è dietro l’angolo, il pericolo è il mestiere di qualunque sbirro, come nel più classico schema dei bad boy movies americani. Si aiuteranno, si tradiranno, si odieranno. Fino ad un tragico epilogo.
Il testo è un piccolo capolavoro di scrittura a metà fra il noir e il pulp. Richiama, chiarissimi quei capisaldi della narrazione del noir metropolitano, tanto cari a Ed McBain e James Ellroy, quello sguardo sulla metropoli notturna oscura e pericolosa dove si confrontano legalità e criminali (piccoli e grandi, temibili o meno) in amare storie di cronaca nera verosimili, dove a scontrarsi sono anche i caratteri degli interpreti, le loro visioni del mondo criminale. Il Pulp è richiamato nelle parti narrative legate alle uccisioni violente e ingiustificate che portano alla perdita di senno e alla crudeltà esacerbata.
Lo Spettacolo non sembra mutare il testo teatrale originario, mentre si discosta fermamente dalla serie True Detective, richiamata solo per la dinamica relazionale dei due amici poliziotti e la donna contesa fra i due: a cambiare la location, la profonda e provinciale Lousiana nella serie (qui la metropoli Chicago), le vicissitudini dei due (i casi che seguono sono diversi da quelli della serie), le caratteristiche dei personaggi (Joey è un nichilista profondo, qui questo aspetto è purtroppo appena accennato) ed il destino degli stessi. Sembra essere mantenuta piacevolmente quella formula di interrogatorio a distanza nel tempo (ed in separata sede) che è il tratto distintivo della serie.
In questo riadattamento italiano, l’impressione che emerge è il voler mantenere il contesto americano di sfondo, un peccato perchè poteva essere, al contrario, l’occasione di una rilettura che avrebbe potuto portare qualche elemento di riflessione in più rispetto a quelli originari, figli anche delle dinamiche sociali americane diverse (neanche poi troppo a pensarci) dalle nostrane.
L’apertura musicale con il recentissimo pezzo di Human di Rag'n'Bone Man (una sorta di sigla ante litteram che sta forse a sottolineare che sempre di “Uomini” si tratta e non solo e non certo di “poliziotti supereroi”) e l’uso del proiettore alle spalle degli attori, unito al costante rumore della pioggia (come richiamato nel titolo, "pioggia battente") conferisce a tutto il lavoro un sapore squisitamente cinematografico recitato com’è da due attori che anche da quel mondo provengono e a quel mondo rispondono in termini di resa attoriale e di scelta registica.
I due interpreti scelgono una recitazione molto diversa fra loro, funzionale allo stridente conflitto fra le due personalità in scena: più cavalcante e nervosa quella di Taranto che ci lascia un Denny nevrotico, diviso tra l’essere un “uomo di famiglia” spaventato da un’aggressione subita e l’uomo-poliziotto dalle maniere forti, che fa ordine (a modo suo) ma anche sbaglia (inesorabilmente) a individuare il nemico (e per questo si dispera). Un personaggio complesso che Taranto interpreta bene con grande impegno fisico, peccando solo di una certa frettolosità nell’esposizione delle battute. Il rischio è che il nervosismo del personaggio divori quello dell’attore, facendo smarrire al pubblico il significato delle parole, tracimando dal monologo teatrale al soliloquio-flusso di coscienza con se stessi, e per questo difficile da seguire.
Più pacata la recitazione di Davide Paganini, che non rischia, asseconda la presenza di Taranto sulla scena, dandogli tutto lo spazio che il personaggio si prende in termini anche di iniziativa narrativa e presenza caratteriale. Ciò schiaccia, inizialmente il personaggio di Joey, dal carattere più introverso, anche se Paganini lo rende quasi sinistro e strisciante, solo flebilmente in colpa per aver “tradito” il compagno d’armi. Un’evoluzione seguita bene dall’attore che mostra un cambio caratteriale progressivo e piuttosto lento, venendo, sul finale, sempre più alla luce nella sua crudele ascesa e conquista del posto che aveva il suo amico nel mondo e sulla scena della vita.
E’ questo forse l’aspetto che più resta dello spettacolo: il capovolgimento di un personaggio intriso di doppiezza, pacato ma infido, quel nemico che non ti aspetti, che non è dietro l’ombra di un vicolo pronto a colpirti, ma ti sta a fianco, cova un inusuale volontà di sopraffazione, di prendere il tuo posto nel mondo. Un aspetto inquietante ma al tempo stesso reale, comune, urgente nella società di oggi.
Per questo STEADY RAIN è uno spettacolo che merita un plauso, non solo per aver portato in scena un testo americano dalla grande presa realistica, ma anche per aver fatto emergere quel preciso impulso di violenza che cova in molti di noi, un impulso di sopravvivenza che fa della legge del più forte il suo alibi perfetto, e nasconde la sua essenza maligna nell’ombra in attesa di sfociare, un giorno, nella sua inconsueta perfidia.