La stagione del Teatro di Napoli – Teatro Nazionale riprende dal Rione Sanità. In coproduzione con il Nuovo Teatro Sanità, si porta in uno spazio insolito e decisamente efficace la rielaborazione di un testo quantomai attuale.
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Una location d’eccezione per cominciare la stagione
La Basilica di Santa Maria della Sanità è una location senza dubbio suggestiva, che ci fa sentire sulla scia del recentemente concluso Napoli Teatro Festival, sebbene stavolta in versione “spazio chiuso”, e dunque con molte più attenzioni anti-covid e un bel po’ di tensione in più a riguardo. Eppure, questo aspetto, soprattutto a poche ore dall’allarmante ultima ordinanza del Presidente della Regione, probabilmente stavolta fa il gioco dello spettacolo e immerge gli spettatori nel clima “giusto” già prima che inizi.
‘A Freva, Peste o Covid19?
Lo spettacolo infatti è ispirato a La Peste, di Albert Camus, e quello che ci mostrerà è proprio una popolazione che reagisce (o se vogliamo soccombe, per non reagire) ad una epidemia, in un tempo non ben precisato ma non troppo distante dal nostro. La curiosità riguardo i paralleli che Gelardi e Pisano avranno individuato e descritto tra la città algerina di Orano e il Rione Sanità è alta, quella per la resa dei personaggi così intensi di Camus, o la loro trasposizione/trasformazione, altissima.
‘A Freva, uno spettacolo nella Cripta.
Raggiungere la Basilica devo dire è stato comodo, e ancora più comodo parcheggiare, contrariamente a quanto avrei creduto, e ingannare l’attesa dell’inizio esplorando qualche angolo della Basilica seicentesca non è niente male, soprattutto potendo spiare (a rigorosa distanza anti-covid) le conversazioni artistiche dei miei co-spettatori di cui alcuni sembrano davvero incuriositi.
A quanto pare il palco saranno le scale della cripta paleocristiana, quella da cui si accede alle catacombe di San Gaudioso: saranno i nostri eroi in grado di arrivare a fine spettacolo senza mai inciampare? La coreografia si fa interessante e apprezzabile prima ancora di vederla.
Lo spettacolo inizia bene, continua meglio.
Finalmente si spengono le luci, prima in basilica, poi nella cripta, e con una fioca luce rossa cominciano a scendere i personaggi tutti insieme, sedendosi a volto basso, tutti, tranne il Dottore (Paolo Cresta) a cui è lasciato il compito di introdurre la storia. “La Sanità è un quartiere, ma potrebbe essere il mondo intero”. Ed ecco che le analogie che mi aspettavo vengono spiegate, nella rivisitazione dell’incipit del romanzo. Non ve le dico, le dovete sentire da lui, perché se non vi siete mai fatti raccontare qualcosa da Paolo Cresta nella vita, allora vi manca qualcosa, credetemi, è un narratore d’eccellenza.
A questo punto tutti vanno alle loro posizioni e lo spettacolo entra nel vivo, sentiamo parlare dei topi che muoiono, vediamo comparire un giornalista, uno scrittore, un politico… gli elementi del romanzo ci sono tutti, ma in chiave napoletana, e in dialetto napoletano, soprattutto, quasi per tutti gli attori.
Le parti narrate sono divise tra i diversi personaggi che le affrontano con molta caratterizzazione, aggiungendo un piacevole dinamismo a quei tratti della storia che non sono stati esplosi in veri e propri dialoghi.
A’ Freva per il Teatro di Napoli e il Nuovo Teatro Sanità: una gran bella squadra
A Ivan Castiglione è affidato il personaggio credo più delicato, quello del politico di turno (versione gelardo-pisaniana del giudice Othon), quello dei comunicati rassicuranti alla stampa, quello dell’autocompiacimento allo specchio, dell’ottimismo a tutti i cost (anche quando la vittima è il suo bambino) a volte per incoscienza, a volte per ruolo e responsabilità. In meno di due ore ha incarnato parecchi dei volti a cui ultimamente abbiamo fatto l’abitudine.
Tutti gli attori sono comunque da apprezzare, per l’efficacia dell’interpretazione di un testo che ha molti momenti interessanti.
Bellissima l’intensità con cui vengono descritti i sintomi della malattia sia da chi li comprende che da chi ne è scioccato, potenti i brevi monologhi in napoletano sul terremoto, sulla febbre e poi sulle conseguenze del distanziamento che fa Antonio (Carlo Geltrude), gustosissimo il siparietto tra il Dottore e lo scrittore (Davide Mazzella) sul suo “romanzo” in fieri. Credibili e ben gestiti tutti gli altri, soprattutto il sempre ottimo Cresta, che dà il necessario aplomb al suo personaggio, filo conduttore e perno morale della storia, con il suo disincanto e i suoi sacrifici.
Forse la scena meno efficace è la “conversione” del giornalista (Alessandro Palladino) da negazionista a volontario (per dirla in termini moderni), che avviene in modo un po’ troppo rapido e poco convincente, ma una piccola scivolata come questa nell’adattamento da un romanzo di circa 350 pagine, si può comprendere.
La funzione dei dettagli particolari: sarà nato prima il problema o la soluzione?
In questo spettacolo, per le difficoltà in cui pare siano quasi andati a mettersi con gusto ed intenzione, non si possono non notare l’acustica, la scenografia, l’illuminazione, e anche il fatto che non sia caduto nessuno fino alla fine.
Siamo in una chiesa, eppure il suono, soprattutto delle voci, è stato perfetto, il rimbombo e a volte l’eco inevitabile sono stati gestiti perfettamente dagli attori, le cui parole sono state sempre chiarissime, e addirittura utilizzati dalla regia, per dare risalto a frasi, parole e spari nei momenti giusti, con un effetto da fiato trattenuto.
Il cancello della cripta, in cima alle scale, è stato l’elemento scenografico ideale per rendere il senso di chiusura dal mondo esterno e lo svuotamento del quartiere che muore, per far percepire i personaggi e far sentire gli spettatori davvero come “i carcerati della peste”, con tutta la loro voglia di fuga.
Poter utilizzare l’illuminazione della basilica dietro il cancello, soprattutto al termine, in un azzurro cielo simbolo di libertà, ha dato molta forza alla scena.
E infine, lasciatemi dire che la disposizione degli oggetti di scena e la trovata di far stare gli attori per lo più seduti, anche se mai immobili e mai in eccessivo movimento, hanno, credo, minimizzato il rischio di rocambolesche cadute e incidenti imbarazzanti, che comunque io, malpensante, ho temuto fino ai saluti: non mi stupirei di scoprire che sotto gli abiti di scena fossero tutti pieni di eroici lividi.
A’ Freva. La peste al Rione Sanità. Uno spettacolo da vedere.
In conclusione, uno spettacolo che convince sicuramente, che invita a delle riflessioni molto attuali e che merita degli elogi anche tecnici, a mia modesta opinione, oltre che il maggior numero di spettatori possibile. C’è ancora qualche giorno e quindi, chi riesce a trovare posto, è caldamente raccomandato di non perderlo davvero, parola di appassionato.
foto di scena Marco Ghidelli
‘A FREVA – La peste al Rione Sanità
testo Mario Gelardi, Fabio Pisano
a partire dal romanzo La peste di Albert Camus
regia Mario Gelardi
con Simone Borrelli, Michele Brasilio, Ivan Castiglione, Agostino Chiummariello, Paolo Cresta, Carlo Geltrude, Davide Mazzella, Gaetano Migliaccio, Alessandro Palladino, Beatrice Vento
luci e audio Alessandro Messina
costumi Alessandra Gaudioso
musiche Alessio Arena
aiuto regia Gaetano Migliaccio
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale
in collaborazione con Nuovo Teatro Sanità e Fondazione di Comunità San Gennaro
Basilica di Santa Maria della Sanità
13>18 Ottobre 2020 ore 21:00