I DAREEN T. @ Teatro Cantiere Florida: due voci, un solo corpo

Questa recensione è realizzata dai ragazzi dell’istituto Giuseppe Peano, (Noemi Lotti, Alessandro Fabiani, Silvia Leoni, Juri Antonelli, Francesca Cosentino, Arianna Valgimigli, Tommaso Ballerini,  Sonia Romano, Giulia Ghiandelli, Giacomo Libone, Cesare Giannoni di 4°BLL  e  Eleonora Manescalchi, Alessio Pellegrini, Alessia Pezzatini, Camilla Somigli di 4°C LL, coordinati dalle professoresse Sandra Balsimelli, Caterina Carmosino, Elena Fini, Agnese Landini e Francesca Valente) che hanno partecipato allo spettacolo in qualità di recensori per il progetto Taccuini in mano.

Il monologo toccante “I Dareen T.” si è svolto giovedì 4 aprile, presso il Teatro Cantiere Florida di Firenze, all’interno della rassegna di teatro contemporaneo Materia Prima, prodotta da Murmuris. Ecco le osservazioni sullo spettacolo degli studenti, per tutti difficile, ma magnetico per l’intensità e l’attualità delle tematiche. I DAREEN T. si dimostra a tutti gli effetti uno spettacolo emozionante che spinge lo spettatore a riflettere su una realtà vicina alla propria.

“Due storie, due persone, una stessa lotta.  È così che nasce l’amicizia tra due donne che non hanno nulla, almeno apparentemente, in comune. Due storie che si intrecciano, quella di Dareen Tatour, poetessa palestinese condannata per aver pubblicato su Facebook post “pericolosi”, e quella di Einat Weizman, attrice ebrea che da anni lotta contro la censura. Attraverso un monologo, proprio Einat Weizman (che interpreta entrambi i personaggi) riporta le conversazioni avute con Dareen, ripercorrendo le tappe fondamentali della sua vita e della sua permanenza in prigione. Significativa la scelta di uno scenario spoglio illuminato da luci soffuse dove prevale un’atmosfera cupa quasi a simboleggiare ciò che è la censura, ovvero tutto quello che vorrebbe essere libero ma viene oscurato dal governo. Eppure, tutto ciò che viene rappresentato non è uno scenario distopico bensì lo specchio di due società, quella palestinese e quella israeliana, da anni in continua lotta tra di loro. L’unica cosa che condividono è l’oppressione di qualsiasi tipo di libertà, tra cui la libertà di pensiero e parola. Voci sconosciute di lingue sconosciute, utilizzate come metodo di diffusione di testimonianze di ciò che accade tutti i giorni. Voci provenienti da una sola bocca, quella di chi può parlare”.  (Noemi Lotti , Alessandro Fabiani, Silvia Leoni, Juri Antonelli IVB LL)

“La scelta del regista di presentare uno spettacolo interamente in lingua straniera è risultata efficace ed allo stesso tempo audace. Grazie a questo aspetto è stato possibile immedesimarsi nella vicenda narrata e percepirla più profondamente. D’altro canto, guardandoci attorno, abbiamo notato molti spettatori distratti ed affaticati dalla lettura dei sottotitoli, non molto nitidi, proiettati su una parete nera. La sceneggiatura, essenziale e minimale, è risultata pienamente coerente con la tematica dello spettacolo teso a trasmettere una sensazione di reclusione: l’attrice disponeva infatti solo di un tavolo, un computer, una sedia ed un velo. Lo sfondo poi era completamente nero e vi venivano proiettate immagini, video e parole. L’attrice dunque, con il solo utilizzo della voce e poco più, è riuscita egregiamente ad intrattenere il pubblico per un’ora di spettacolo, affrontando temi quali le guerre civili, l’abuso e la prigionia.” (Francesca Cosentino, Arianna Valgimigli, Tommaso Ballerini  IV B LL)
“Noi non siamo del tutto d’accordo con i nostri compagni. Anche per noi il monologo è sembrato toccante e utile a sensibilizzare le persone su tematiche contemporanee importanti […]. Tuttavia ci ha colpito, e non del tutto convinto, la presenza di pochi oggetti di scena, che da un lato ha reso importanti quegli stessi oggetti (come ad esempio l’hijab, di grande valore simbolico), ma dall’altro non ha consentito di immedesimarsi nella storia, perché non ha trasmesso emozioni e non ha permesso, a nostro parere, di capire la realtà delle azioni che si stavano svolgendo.” (Sonia Romano, Giulia Ghiandelli, Giacomo Libone, Cesare Giannoni IV°BLL)

A noi, invece, l’aspetto più rilevante è stato la descrizione del viaggio della detenuta da una prigione all’altra. Ci ha ricordato la deportazione degli ebrei verso i campi di concentramento date le pessime condizioni a cui era sottoposta. Potremmo collegare la situazione della donna alla vicenda narrata nel romanzo di Joel C. Rosenberg “Fuga da Auschwitz”: in un episodio del libro il protagonista ebreo viene arrestato e portato sul treno che lo avrebbe condotto fino al campo, così come successo a Dareen, “sballottata” nella cella di un postale, dove ha persino vomitato a causa del forte odore di urina di un cane. Ci è sembrato interessante osservare come il carnefice si sia messo nei panni della vittima, raccontando la storia di quest’ultima non sotto forma di favola ma calandosi nella sua reale condizione. Solo così sarà possibile deviare il corso della Storia, solo immedesimandosi nell’altro, cercando di capire cosa vive. Solo con una tale presa di coscienza il mondo può cambiare. In più un aspetto tra i più stimolanti è la scelta di far raccontare tutto ad una donna, sottomessa alle rigide regole di una società patriarcale. Così facendo è come se le donne si ribellassero, recuperando il proprio potere e ricordando, a loro stesse e agli uomini, quanta forza racchiudono: una forza capace di far nascere una vita, una forza che produce e che costruisce.” ( IV C LL)

Info:

I DAREEN T
Uno spettacolo di Einat Weizman
regia Nitzan Cohen
musica e suono Gianluca Misiti
scritto da Dareen Tatour, Einat Weizman
video Nimrod Zin
musiche Tamer Nafar, Itamar Zigler
scenografie Tal Arbiv
light design Nadav Barnea

Teatro Cantiere Florida
Materia Prima
in collaborazione con Middle East Film Festival
4 aprile 2019
Progetto Gufetto Scuola

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