7 14 21 28 e ANELANTE @ Teatro Fabbricone. Senza pelle: corpo e parola nel teatro di Antonio Rezza

“Si gioca alla vita in un ideogramma. Il tratto, tradotto in tre dimensioni, sviluppa volumi triangolari diretti verso l’alto che coesistono con linee orizzontali: ma in verticale si muove solo l’uomo.” Questi gli appunti desultori che nel programma di sala introducono il dittico di Rezzamastrella in scena al Fabbricone di Prato: 7-14-21-28 (30 e 31 gennaio) e ANELANTE (1 e 2 febbraio). Due momenti uguali e diversi per dare uno sguardo all’universo contraddittorio e carismatico di un artista imprevedibile.

Il corpo di Antonio Rezza è il suo teatro. La sua scena, il suo campo di battaglia, la sua forza, la sua imparagonabile energia. Non a caso lo esibisce, lo impone, così come realmente è, con le capacità di un performer impeccabile ma senza nascondere le imperfezioni del tempo, le rughe, le pieghe che ci ricordano la sua mortalità, ma che non diventano, mai, confine. Questo teatro è sconfinato, illimitato. Esserne spettatori è assolutamente l’incarnazione della terzina magistrale del I del Paradiso, quando Dante, invocando Apollo, gli chiede un’ispirazione così travolgente da frantumare i suoi limiti corporei, da farlo esplodere, snudandolo e rendendolo immenso: l’ispirazione di Apollo dovrebbe entrargli dentro distruttiva e liberatoria, scuoiandolo come quando Marsia, senza pelle, rinunciò ad ogni suo limite: “come quando Marsia traesti/ dalla vagina delle membra sue”.

Un teatro senza pelle. Spesso assistiamo a questa esplosione, a questo sbotto forte di energia incommensurabile, quando la maschera si distorce, quando la voce, senza giustificazione razionale, si libera nel grido, nel grugnito, nell’urlo istintivo, insensato. Perché il corpo è anche voce, e la voce è anche corpo. Certo. Eppure, c’è una dicotomia in equilibrio tra corpo e parola, tra il dominio carnale, muscolare, invasivo, eccessivo del corpo e la parola che invece si snoda elevata, letteraria addirittura, composta anche nel gioco di sdoppiamento voci, anche nella distorsione, nel gioco infinito. Negli habitat incredibili di Flavia Mastrella si gioca un gioco drammaturgico, perché le cose avvengono. Una drammaturgia assolutamente non simbolica, una drammaturgia che snoda un tempo ritmato io-qui-ora, una drammaturgia corporea, ma questo è ancora, e vivamente, teatro di parola.

I due spettacoli che hanno composto un dittico, 7-14-21-28 e ANELANTE, hanno messo in vita una concezione drammaturgica personalissima con il corpo e con le parole, e con mezzi rispettivamente diversi. 7-14-21-28 è uno spettacolo per voce sola, con il contrappunto di Ivan Bellavista a contrappuntare la solitudine. Uno spettacolo sulla ripetizione con variazione (ce lo dice il momento surreale del matrimonio ripetuto da quattro diversi punti di vista, oppure il gioco a campana centrale in cui, saltando da una posizione all’altra, Rezza compone una tavola di numeri incrociati che sono insieme l’età e l’identità dei personaggi). La ripetizione permette la variazione, e permette insieme la sofferenza e lo sforzo, in modo tale che questo spettacolo tende, dagli antipodi dove si trova, la mano a Fabre e alla sua poetica uguale e opposta.

In ANELANTE la solitudine invece si annulla, molti altri corpi entrano in scena, in un gioco di specchi calibrato al millimetro: tutte protesi, immagini, prolungamenti del corpo del protagonista che, comunque, primeggia: “si sente la mancanza se non parlo io, eh?” afferma ironico sovrastando le voci dei compagni che snodano un fiume di parole confuse, e la sua voce, invece, eccola, l’unica viva… “Non sto mai zitto” dice il protagonista “Tengo sveglio me stesso perché non taccio mai”. Ecco, Anelante ci fornisce fiumi di parole. Benché certo lontano dal teatro di narrazione (che “sporca tutto con la merda della memoria” inveisce Rezza), è un canovaccio di mille fili. La matematica resa parola, col numero che diventa una frase “sotto radice di tre”; l’avventura della vita “la maestra non mi ha fatto partecipare alla recita scolastica. Pensa te che perdita per il teatro ragazzi…”; Freud che si insinua in noi quando caliamo le difese dormendo, il sonno; i genitori, la madre tedesca, il padre che “non credeva che la Germania fosse mai esistita”. Una lunga galoppata per non sappiamo dove che si chiude con l’immersione prolungata (nella memoria? Forse) e con lo spegnimento della lampada interna al casco da sub. Si spegne anche la lunga riga della storia – non storia che ci è stata regalata.

La parte viva di questo teatro corpo-parola è proprio il dadaismo lunare, la calcolata matematica della poesia che affascina molto, molto di più dei momenti in cui il rimando all’oggi, o il dovere di scandalizzare, la fanno da padroni. Il vero oggi è eterno, e di questa eternità ne troviamo nel teatro di Antonio Rezza. Quando meno ce lo aspettiamo. La distrazione è al cuore di questo teatro. O, diremmo, gli occhi chiusi dell’immersione. Allora sì che l’incanto funziona.

Info:
7-14-21-28
di Flavia Mastrella Antonio Rezza
con Antonio Rezza
e con Ivan Bellavista
(mai) scritto da Antonio Rezza
habitat di Flavia Mastrella
assistente alla creazione Massimo Camilli
disegno luci Mattia Vigo rielaborato da Daria Grispino
produzione RezzaMastrella, TSI La Fabbrica dell’Attore, Teatro Vascello, TPE – Teatro Piemonte Europa

ANELANTE
di Flavia Mastrella Antonio Rezza
con Antonio Rezza
e con Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara A. Perrini, Enzo Di Norscia
(mai) scritto da Antonio Rezza
habitat di Flavia Mastrella
assistente alla creazione Massimo Camilli
disegno luci Mattia Vigo rielaborato da Daria Grispino
produzione RezzaMastrella, TSI La Fabbrica dell’Attore Teatro Vascello, TPE – Teatro Piemonte Europa
Antonio Rezza e Flavia Mastrella Leoni d’oro alla carriera La Biennale di Venezia 2018

Teatro Fabbricone, Prato
31 gennaio, 2 febbraio 2020

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