Lavoro e capitale sono i due pilastri su cui poggia qualsiasi impresa e dal loro giusto equilibrio dipende la serenità dei singoli e delle famiglie e quindi la pace sociale. Il lavoratore è un essere umano e non può essere equiparato a una macchina da sostituire quando è obsoleta o ammortizzata e per creare reddito deve lavorare con passione, sentire l’azienda come la propria casa ed essere tranquillo sul futuro. Sono i principi di cui è impregnata Bianca, protagonista di 7 MINUTI, la bella pièce di Stefano Massini in scena allo Strehler di Milano con la regia di Alessandro Gassmann fino al 28 febbraio.
Al quarantenne Stefano Massini – pluripremiato drammaturgo italiano ampiamente rappresentato anche all’estero – occorre riconoscere il merito di percorrere fin dall’opera d’esordio (L’odore assordante del bianco, 2005) la difficile strada di trattare temi della società contemporanea (ingiustizie, impotenze più o meno di comodo, assassinio di giornaliste, speculazioni finanziarie…) che molti vorrebbero ignorare per vivere tranquilli senza porsi troppe domande (e soprattutto risposte) salvo poi chiedersi come certi eventi negativi possano accadere e cercarne i colpevoli, naturalmente al di fuori della propria inerzia.
7 minuti è la richiesta della nuova proprietà (una multinazionale) al consiglio di fabbrica espressa consegnando una lettera alla portavoce dei lavoratori al termine di una lunga riunione in cui il nuovo management si è profuso in assicurazioni sul non prevedere licenziamenti o delocalizzazioni. Una richiesta apparentemente piccola piccola cui vuole un sì o un no per iscritto entro poche ore.
Il testo di Massini e l’abile regia di Gassmann aprono il lavoro con una specie di prologo: le dieci rappresentanti del consiglio di fabbrica (il personale è totalmente femminile) in attesa del ritorno dalla riunione della loro portavoce discutono sull’incerto futuro e sulle paure dovute anche alla crisi internazionale che può coinvolgere l’azienda in cui operano sebbene sembri essere in ottima salute.
Occorre precisare che Massini si è ispirato a fatti realmente accaduti in Francia a Yssingeaux (Alta Loira) nel gennaio 2012 verificatisi tra il personale (tutto femminile) di un colosso industriale (la Picard & Roche) e i dirigenti, espressione del nuovo gruppo di controllo. Massini integra il tema già appassionante di per sé della dignità dei lavoratori (come non ricordare il bellissimo Due giorni, una notte dei fratelli Dardenne) con altri come la progressiva sostituzione degli antichi proprietari (che comunque erano uomini che vivevano nell’azienda che spesso avevano creato) con nuovi management, espressione di gruppi finanziari per i quali le società sono solo grafici di redditività e i lavoratori dei numeri. Vien quasi da rimpiangere l’antico ‘Sciur padrun da li beli braghi bianchi’.
Cos’è la rinuncia a sette minuti di pausa di fronte al mantenere il posto di lavoro? Apparentemente nulla e, infatti, dieci delegate decidono per il sì e non vorrebbero nemmeno discutere. L’unica a opporsi è Bianca (eccezionale per intensità e misura l’interpretazione di Ottavia Piccolo) che vuol esporre i propri dubbi e parlarne prima di arrivare a una conclusione di cui in futuro potrebbero pentirsi causando un pericoloso precedente.
S’innesta lo schema uno contro tutti (tipo La parola ai giurati) in cui progressivamente alcune delle delegate cambiano opinione con l’emergere dei temi di fondo della dignità del lavoro, del non rinunciare ai diritti acquisiti, del non regalare lavoro gratuito alla proprietà. Sette minuti al giorno sono seicento ore al mese di produzione a costo zero per l’azienda, ma pagate con un ulteriore sacrificio dal personale. A cosa serve, però, produrre di più quando la crisi economica in atto deriva anche dall’accumulo di prodotti invenduti nei magazzini? Non è forse un grimaldello per far perdere diritti acquisiti con l’approvazione (determinata da un subdolo ricatto) dei lavoratori: di qui la richiesta di una risposta scritta ufficiale.
Massini introduce anche altri temi come le diverse necessità generazionali, il fatto che il personale oggi è spesso multietnico per cui gli immigrati si portano dentro paure ed esperienze che contrastano con il livello di dignità esistente nei paesi occidentali. È la scomoda realtà delle masse d’immigrati spregiudicatamente utilizzate per abbassare il livello dei diritti dei lavoratori.
Il testo di Massini ha trovato in Gassmann un’ottima regia che utilizzando anche esperienze cinematografiche conferisce tensione ed esprime la coralità del gruppo senza rinunciare a evidenziare le singole storie che giustificano le posizioni personali e il tormento delle decisioni.
Autore e regista inoltre sono stati coadiuvati da un gruppo di attrici di ottimo livello che non ha sfigurato di fronte alla performance della Piccolo.
Uno spettacolo da vedere e su cui riflettere nella quotidianità e nel momento delle scelte.