VINCENZO ALBANO: Emergenza sanitaria e Teatro, quali prospettive?

Da venerdì 28 agosto e per tutti i venerdì di settembre, la città di Cetara, borgo di pescatori incastonato in Costiera amalfitana, ha ospitato lo scenario della quarta edizione di Teatri in blu. Questa iniziativa è stata finanziata e promossa dalla Regione Campania attraverso la Scabec S.p.A., in sinergia con Erre Teatro e l’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Cetara. La rassegna quest'anno si è svolta nell’incantevole Piazzetta Grotta, a differenza delle tre edizioni precedenti nelle quali gli spettacoli prendevano il largo sulla tonnara Maria Antonietta. La magia però è rimasta intatta!

A conclusione della rassegna abbiamo raggiunto Vincenzo Albano, direttore artistico di Erre Teatro e della rassegna teatrale Metaverso Teatro che abbiamo recensito negli scorso anni (VEDI TUTTI GLI ARTICOLI nella sezione teatro-Salerno di Gufetto!).

Vincenzo, a proposito della pandemia che ha costretto anche il teatro ad una dolorosa chiusura e ripensamento degli spazi in un' ottica di maggiore sicurezza, in una recente intervista, Fabrizio Arcuri ha detto che: “ è l’edificio ad esser stato messo in crisi non il concetto di teatro, quindi il teatro si riappropria degli spazi all'aperto e della possibilità di intervenire e prendersi cura dell’imaginario delle persone” (cfr  https://www.teatroecritica.net/2020/07/arcuri-e-il-dopo-short-e-ledificio-ad-esser-stato-messo-in-crisi-non-il-concetto-di-teatro/ ). 
Ciò vale anche per il tuo Progetto di "Teatri in blu"? 

Teatri in Blu nasce quattro anni fa', da un’idea che però aveva preso forma ancora prima in stretta connessione tra espressioni artistiche e contesto territoriale. Nasce pensando alle bellezze tanto uniche quanto emozionalmente globali di Cetara, e non da un ri-pensamento all’aperto consequenziale al Covid. C’era già la volontà di immaginare un programma di eventi che entrasse in relazione con gli spazi e i tempi di un luogo, che diventasse esperienza condivisa del territorio che li ospita, per il tipo di relazioni generate e per il dono di un ricordo. La piazza, la Torre, la tonnara da pesca in navigazione come inedito palcoscenico sull’acqua, è proprio l’immaginazione, in questi anni, ad averli resi possibili spazi extra-ordinari di un programma culturale. A causa della pandemia abbiamo dovuto rinunciare ad alcuni dei più identitari tra questi, ma l’idea originaria è rimasta intatta, anzi, man mano sta trovando una sua giusta fisionomia. Immagino un progetto più ampio e con i connotati di un piccolo festival costiero in collaborazione con più Comuni. La posizione strategica di Salerno, tra due coste meravigliose, quella amalfitana e quella cilentana, non è per nulla da sottovalutare.

L'emergenza sanitaria ha interrotto e impedito la conclusione della V stagione di Mutaverso, ma tu durante il lockdown non hai mai smesso di lavorare con Erre Teatro con l'iniziativa un “teatro da leggere” che ha permesso di leggere stralci di opere teatrali direttamente dalla pagina FB di Erre Teatro. Quale pensi sia il valore delle parole in questo periodo storico così particolare? 
Più che un’ iniziativa direi che è stata la personale reazione a una mancanza, guidata dagli umori del giorno e dal piacere della lettura, e non da un calendario predeterminato di pubblicazioni. Credo nella compiutezza ed autonomia della scrittura drammaturgica rispetto alla sua traduzione scenica, nel percorso creativo che dalla pagina scritta le parole compiono sì verso il palcoscenico, ma anche nella mente del lettore, incantandolo in modo del tutto soggettivo. In questo credo risieda il loro valore più nobile, nella capacità di produrre “effetti”, di stimolare abbandoni romantici, nel loro essere “soglie” emotive e sentimentali, oltre che culturali.

Come possono i piccoli teatri con i loro piccoli spazi essere in grado di rispettare le normative Anti-covid e di sostenere le spese necessarie per allestire gli spettacoli? 

Pur volendo e inventando nuovi modi per riprendere a lavorare, ben poco si può fare così come ad oggi sono le cose, senza contare le contraddizioni evidenti nella scure che investe il teatro rispetto ad altri settori dell’economia, le fragilità e le esclusioni “sistemiche” per quegli operatori e quegli spazi che svolgono una fondamentale funzione di promozione culturale a livello territoriale. Interessanti sono tuttavia i numeri di un recente sondaggio dell’AGIS – Associazione Generale Italiana dello Spettacolo – che dimostrano quanto sia stata praticamente nulla la percentuale di contagi dalla riapertura ad oggi, n. 1 su circa 350.000 spettatori. Il dato è assolutamente rilevante, come si legge nel comunicato, soprattutto in correlazione con l’aumento dei casi a livello nazionale. Detto ciò, se i numeri configurano un settore responsabile e rispettoso dei protocolli, sarebbe auspicabile intanto una revisione immediata di alcuni limiti, in particolare legati alla capienza delle sale.

Credi che la tecnologia possa supportare la messa in scena cercando di sopperire alla mancanza di spazi sul palcoscenico? 

Con la tecnologia il teatro può avere sì una relazione, a volte anche artistica e drammaturgica, esperienziale, ma credo solo come cassa di risonanza di un messaggio specifico e della sua antica e immutata liturgia. La funzione del teatro è rivoluzionaria proprio perché anacronistica, perché è tempo dell’ascolto e dello sguardo in compresenza, corpo e corpo. Si è tanto parlato, forse anche troppo, della Netflix della Cultura, di streaming, on-line e così via. Mi allineo a chi sostiene che siano argomenti interessanti, certamente, ma che col teatro c’entrano molto poco, se non nulla.

Quale strada potrebbero seguire i lavoratori dello spettacolo affinché sia riconosciuto il loro prezioso contributo nel rendere vive le città che li ospitano? 

La pandemia ha creato occasioni di confronto e dibattito più o meno organizzato, discussioni partecipate e plurali, dato tempo e spazio per unire e/o ri-unire istanze oltre ogni generale frammentarietà. Credo tuttavia che il discorso abbia connotati più ampi perché le fragilità del settore sono sì sistemiche ed economiche, ma in fondo anche legate a un più ampio disvalore civile e sociale che subisce la cultura, per contrastare il quale si fa molto poco. Il riconoscimento di cui mi chiedi non può prescindere anche da un più ampio percorso educativo che deve ricominciare a partire dalle nuovissime generazioni. Va ricostruita prima di tutto una comunità di spettatori.

Alla luce degli scarsi interventi statali nei confronti del mondo culturale, cosa pensi debba essere ripensato e cosa può essere migliorato? Quali sono le urgenze che, anche al di là della pandemia, non possono essere più ignorate? 

La pandemia ha reso ancora più marcate le crepe generate dalla disattenzione verso la natura atipica di un settore e di una professione cui urge invece dare riconoscimenti e leggi specifiche, al di là dell’offerta di sostegni d’emergenza, che in ogni caso hanno tenuto poco conto del tipo di attività, mission, struttura e bisogni dei beneficiari, livellando tutto, penso ad esempio all’extra-FUS. In questo senso, è più che mai necessaria una concreta mappatura delle realtà operanti nello spettacolo dal vivo e delle loro diverse vocazioni. Questo non vuol dire creare gerarchie, ordini e livelli di importanza, piuttosto acquisire consapevolezza della diversità di ognuno e far fede a “parametri” legati al lavoro artistico, che è altra cosa dall’attitudine artistica e/o creativa. Questo servirà forse anche alle Istituzioni, soprattutto a livello locale, per orientare meglio il servizio pubblico (culturale) dovuto ai cittadini, dando ossigeno e rispetto a tutti, ma in linea con missioni, competenze e obiettivi specifici.

Foto GM Produzioni

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