In questo lungo periodo di chiusura delle attività anche teatrali (fino al 15 giugno), Gufetto ha scelto di capire cosa succede anche in realtà vicine a noi ma fuori dai confini nazionali. Pertanto ha deciso di intervistare Carmelo Rifici, direttore di LuganoInScena che da quest’anno è convogliato nell’Ente Autonomo LAC (Lugano Arte e Cultura). Carmelo ha deciso di condividere con noi alcune riflessioni sul panorama nazionale italiano e sulle differenze con l’approccio che la Confederazione Elvetica ha adottato nel pieno dell’emergenza. Non è la prima volta che la redazione di Gufetto Firenze si confronta con il lavoro di Rifici. La sua drammaturgia e la sua regia sono state protagoniste, tra gli altri, di “Ifigenia, liberata” recensito qui. E avremmo dovuto assistere alla prima di “Macbeth, le cose nascoste” al Teatro Metastasio di Prato.
L.F.: Nel variegato panorama teatrale sono state plurime le scelte fatte dalle varie realtà territoriali per affrontare il blocco totale delle attività sul palco. Ci sono fondazioni che hanno optato per un silenzio di riflessione e di studio e altre che hanno approfittato per la realizzazione di canali radio dedicati. Il LAC ha deciso di mantenere alta l’attenzione del pubblico con una vasta offerta di video in streaming a disposizione del pubblico nella Sala Teatro Virtuale. Come mai questa scelta? Come siete arrivati a maturare questa decisione?
C.R.: In realtà il LAC ha mantenuto il silenzio durante il primo mese di chiusura, stabilendo un contatto con il pubblico attraverso poche mail che cercavano perlopiù di fornire strumenti di lettura della situazione. Solo in un secondo momento si è deciso di riproporre le produzioni fatte ed alcune attività legate al nostro settore di mediazione culturale. La verità è che il LAC ha per il momento una posizione piuttosto chiara: nessun nuovo prodotto artistico via etere e attraverso il web, né abbiamo pensato di creare dei formati specifici. Il LAC è un centro artistico, ospita la stagione di LuganoMusica, dell’Orchestra della Svizzera Italiana e un Museo; per rispetto dell’autonomia di ogni Ente era necessario un compromesso, perché ognuno ha le sue esigenze ed un suo pubblico. Per il momento quindi abbiamo messo sui nostri canali solo il repertorio e gli esperimenti tecnologici che già LacEdu (il settore di mediazione culturale) stava compiendo. È stato anche l’occasione per prenderci il tempo di riflettere e fare un bilancio del lavoro dei primi 6 anni per comprenderne fatica e rigore. Il resto, come direbbe Amleto, è silenzio. In più il LAC è un centro incentrato sull’arte contemporanea pertanto, per una persona curiosa come me, non potrebbe esserci niente di più interessante che inoltrarsi in altri spazi di indagine ma con tempo, contenuti e qualità. Quando abbiamo visto con quanta sollecitudine molti artisti e istituzioni hanno creato progetti adatti al blocco, ci siamo fermati. Arriverà il momento per noi di intraprendere nuove esperienze artistiche, di sperimentare altre forme, ma ora serve tempo per elaborare. Bisogna anche non dimenticare che più volte nella storia i teatri sono rimasti chiusi, anche con risvolti drammatici per gli artisti, ma poi si sono sempre riaperti. Come possiamo immaginare un futuro senza il rito del corpo? Come possiamo decidere adesso di spendere molti soldi per creare piattaforme online e spettacoli virtuali, invece di aiutare gli artisti disoccupati? Io penso che solo dopo un tempo di elaborazione, di progettazione rigorosa e di qualità si possa approdare al teatro online, senza però dimenticare che deve esistere in parallelo o in contrapposizione al rito teatrale, fatto di corpi in scena per un pubblico reale e non virtuale, che sceglie il rito e non se lo porta in casa, anzi che si muove per vederlo. È lo sguardo del pubblico che permette a quel rito di compiersi, altrimenti è Cinema o Video Arte, non Teatro. È un altro mezzo. Speriamo che a nessuno venga in mente di poter rinunciare al mezzo più adatto a ricordare che inquietudini e misteri possono ancora oggi palesarsi tra gli uomini e che senza quei misteri e quelle inquietudini non potremmo chiamarci uomini.
L.F.: Tu, Carmelo, hai la possibilità di lavorare tra Svizzera ed Italia. Quali sono state le differenze nell’approccio al mondo della cultura nel momento in cui si è rivelato impossibile esibirsi dal vivo?
C.R.: La prima sensazione evidente è che ci sia stato lo stesso senso di smarrimento. Poi bisogna ammettere che in Italia sono state prese immediatamente delle decisioni mentre in Svizzera io facevo fatica a spiegare ai miei colleghi Oltralpe che non era possibile continuare a tenere i teatri aperti. Devo dire che all’inizio, Ticino a parte, gli altri Cantoni hanno faticato in modo piuttosto bizzarro ad accettare la situazione, hanno tentato di tenere i teatri aperti fino all’ultimo, mettendo in pericolo il pubblico e gli artisti. Poi, grazie ad una direttiva chiara del Governo, tutto si è fermato. La differenza enorme è stata però nel decidere di sostenere gli artisti prima che le strutture. Infatti il Governo Svizzero ha subito, e ripeto subito, messo il settore della cultura sullo stesso piano di quello dell’economia, dell’industria e di tutto il secondario e il terziario. Ha privilegiato immediatamente gli artisti sugli enti, creando un fondo di emergenza e chiedendo alle Regioni di occuparsi di garantire in modo equo quel fondo. Gli artisti hanno visto versarsi l’80% di tutti i contratti che hanno perso. Chiaramente questo a svantaggio degli enti pubblici a cui si è chiesto alle Città di provvedere. Ma è stata una scelta senza opacità, chiara e diretta. In secondo luogo Prohelvetia, l’ente che l’ufficio federale della Cultura ha incaricato per il finanziamento dei progetti artistici, ha immediatamente istituito un bando di creazione affinché gli artisti potessero immaginare uno scenario possibile. Aldilà dei risultati che speriamo di vedere, è stato per me sorprendente notare l’abisso di trattamento tra la Svizzera e l’Italia. Per un italiano, innamorato perdutamente della nostra cultura, come sono io, vedere questo è un dolore forte. Questo paese è incapace di vedere la bellezza e di dare alla bellezza tutto il valore che merita. Altra differenza: il 27 maggio il Governo Svizzero darà gli strumenti per riaprire sale prove e più avanti i teatri. Vedremo se saranno strumenti attuabili per noi e se ci metteranno in forte difficoltà, ma almeno abbiamo una data. In più è stato chiesto al Comitato per l’Unione dei teatri Svizzeri di lavorare con i virologi per tracciare un possibile protocollo di uso delle sale, in piena condivisione con il Governo, chiaro segno di non mollare la responsabilità ai direttori o ai registi. Non mi pare che il Ministro per la Cultura in Italia abbia fatto anche solo una di queste cose.
L.F.: Guardando oltre la realtà territoriale, che cosa può imparare il mondo del teatro da questa esperienza? Riusciremo paradossalmente a trarne giovamento?
C.R.: Veramente non lo so. Andrei aldilà del settore chiedendoci se impareremo qualcosa. Non sono un ottimista di natura quindi istintivamente mi viene da dire di no. Penso però che alcuni avranno imparato qualcosa ma non la massa. Forse qualche individuo, speriamo non pochi. Questa esperienza dovrebbe lasciarci un segno indelebile dentro, avendo mostrato con ferocia l’importanza del tempo e della nostra vacuità. Non siamo indispensabili in questo universo, ma il tempo lo è. Il tempo è tutto, il tempo ama l’arte e potrebbe restituirle dignità, attraverso la riflessione soprattutto. Purtroppo oggi c’è troppa poca attenzione verso questo concetto unico, logico e metafisico, quotidiano e misterioso, concreto e astratto. Un’epidemia dovrebbe portare sapienza, soprattutto interiore, ma le nostre società sono schiave, non libere, si annoiano in fretta, pensano all’ecologia solo quando glielo si fa notare, sono amorevoli solo in una sfera particolarmente privata, il virus ci ha pure dato la giustificazione a non guardare aldilà di noi. Non un quotidiano o un telegiornale hanno riportato notizie sugli immigrati, sui siriani a Lesbo, niente che non ci riguardasse. Siamo un prodotto, non siamo una società; la globalizzazione ci ha trasformati definitivamente in un prodotto. Non a caso abbiamo subito cercato palliativi al silenzio, farmaci al senso di smarrimento e di mancanza. Questo tempo potrebbe ricordarci che il vuoto è fondamentale quanto il pieno, anzi forse lo supera in possibilità, eppure a Lugano qualche giorno fa, finito il blocco totale, passando davanti ad un McDonald’s si sono viste file lunghissime. Usciti di casa siamo corsi a mangiare un hamburger al McDonald’s. Eppure c’è una possibilità, abbiamo sempre una possibilità. La più semplice e a portata di mano: l’altro è più importante di me, o almeno lo è quanto me. Bisogna veramente imparare l’arte del guardare all’altro prima che a se stessi.
L.F.: Qual è la prossima realistica tappa che come direttore di LuganoInScena ti proponi di raggiungere?
C.R.: Premetto che LuganoInscena non esiste più perché quest’anno abbiamo fondato l’Ente Autonomo LAC, così da evitare malintesi. Non credevamo in una struttura contenitrice che ospitasse il contenuto invece di crearlo. Ora al contrario il LAC è a tutti gli effetti un centro artistico, con una sua stagione di teatro e di danza e con due stagioni di musica sinfonica, oltre al museo. Il mio mandato scade nel 2022 e devo dire che sono molto fiero di quello che è stato fatto in soli 6 anni. Per il momento il mio obiettivo è di consolidare la struttura e la sua squadra di lavoro. Una squadra formidabile ed instancabile. Mi spiace ancora di più pensare che tutto potrebbe riprendere a pieno regime solo nella stagione 2021/22, però così è, quindi lavoreremo dando il massimo affinché tutti i collaboratori possano avere la loro giusta autonomia. Credo in un teatro fatto di competenze e di sinergia fra di loro; non credo in un teatro con un’egemonia ai vertici. All’egemonia preferisco il lavoro di squadra. Un direttore deve avere una visione coerente e forte, ma deve lasciare che tutti abbiano la possibilità di collaborare effettivamente al progetto, deve essere responsabile ma aperto. Vorrei pensare al teatro come un luogo ancora “umanista”, che si occupa di creare contenuti per i propri spettatori, possibilità per i propri dipendenti, conoscenza e sperimentazione per gli artisti.
L.F.: Spazio per una riflessione personale sul tempo sospeso che ci troviamo a vivere.
C.R.: Credo nel tempo e nella sua capacità di lavorare dentro di noi. Mi obbligo a mettere da parte quel pessimismo che mi è congeniale, per non vivere questo momento come una sospensione delle attività, ma come una riflessione su me, una ponderazione. Diciamolo sinceramente: non abbiamo creato un modello perfetto, non abbiamo imparato dalla storia. Se abbiamo fatto quel che potevamo, è abbastanza chiaro che si poteva fare meglio. In questo periodo leggo molto, sono ritornato nuovamente agli amati greci e ho chiesto loro di darmi qualche strumento in più di lettura, mostrarmi qualcosa che ancora non riesco a vedere. Sto rileggendo anche Nietzsche, alla luce dei frammenti inediti che Colli e Montanari hanno pubblicato ormai un bel po’ di anni fa e che per mancanza di tempo e per pigrizia non avevo ancora letto. Leggere Nietzsche oggi è più che mai sorprendente, soprattutto se si evita il filtro romantico. È proprio vero che non si tratta di filosofia ma di mistica. Ecco, credo che, non potendo sperimentare molto, questa proibizione, questo limite, possano farmi scendere in basso. Vediamo se riesco a capirci qualcosa di più. Sono soprattutto vicino agli artisti, così lasciati soli a loro stessi, come se non fossero la colonna portante della cultura teatrale, come se i teatri e i cinema, una volta riaperti, potessero farlo senza di loro. Trovo tutto questo privo di logica, se non quella piccola e sterile logica che tutti conosciamo. Il mio pensiero, le mie angosce e tutto il mio bene va a loro.
è il centro culturale dedicato alle arti visive, alla musica e alle arti sceniche, che si candida a diventare uno dei punti di riferimento culturali della Svizzera, con l’intento di valorizzare un’ampia offerta artistica ed esprimere l’identità di Lugano quale crocevia culturale fra il nord e il sud dell’Europa. All’interno della suggestiva struttura architettonica affacciata sul lago, trova spazio una ricca programmazione di mostre ed eventi, stagioni musicali, rassegne di teatro e danza, insieme a una varietà di iniziative culturali e un folto programma di attività per i giovani e le famiglie. Al LAC ha infatti sede il Museo d’Arte della Svizzera italiana, Lugano nato dall’unione tra il Museo Cantonale d’Arte e il Museo d’Arte della città di Lugano. I suoi tre piani espositivi ospitano la collezione permanente della città di Lugano e del Cantone Ticino, mostre temporanee e installazioni site specific. Una sala concertistica e teatrale da 984 posti, interamente rivestita in legno e dotata di una speciale conchiglia acustica modulare e rimovibile, accoglie invece un ampio calendario di spettacoli performativi e concerti. È la sede principale delle stagioni di LuganoInScena e di LuganoMusica alle quali si affiancano le attività della Compagnia Finzi Pasca e dell’Orchestra della Svizzera italiana (OSI), come pure parte della stagione concertistica della Radiotelevisione Svizzera di lingua Italiana (RSI).
Il LAC resterà chiuso fino a nuovo avviso, ma porterà il teatro nelle vostre case. Visitate la Sala Teatro virtuale e riscoprite le produzioni più importanti degli ultimi anni.
Ogni settimana alzeremo il sipario su uno spettacolo diverso che trasmetteremo in streaming integralmente sul canale Youtube e VIMEO.