Per il primo degli appuntamenti del percorso Il TEATRO DI ROMA PER LA LEGALITA’, il 26 marzo al Teatro Argentina di Roma è andato in scena SANGUE NOSTRO, diretto e interpretato da Fabrizio Coniglio e Alessia Giuliani. Lo spettacolo ripercorre la narrazione del libro Sola con te in un futuro aprile di Margherita Asta, la quale ha partecipato alla scrittura dello spettacolo insieme allo stesso Coniglio e Michela Gargiulo, e racconta la strage avvenuta a Pizzolungo il 02 aprile 1985, nella quale persero la vita sua madre, la giovane Barbara Rizzo e i suoi fratellini Salvatore e Giuseppe Asta.
Per la Rassegna Teatro di Roma per la Legalità abbiamo visto anche DIECI STORIE PROPRIO COSì e PASOLINI LA VERITà.
Le luci si accendono su un palcoscenico occupato soltanto da un tavolo di legno, sulla sinistra, e un vaso di mimose, sulla destra. Ai due lati del tavolo una donna e un uomo iniziano un dialogo che condurrà lo spettatore tra le maglie di un racconto che si svela un passo alla volta, definendo i contorni del destino che ha legato e tutt’oggi lega i due protagonisti, tracciando una linea tra i fatti, che vengono restituiti al pubblico dalle diverse prospettive delle vittime.
L’interpretazione della Giuliani, nel ruolo di Margherita Asta, risulta naturale e ben calibrata anche nei passaggi più intensi. Le parti del dialogo che seguono la trama dei ricordi vengono affidate ad una recitazione, evocativa della Margerita bambina, che non intacca la tensione narrativa provocata dalla ferocia degli eventi raccontati.
Dall’altro lato del tavolo, Fabrizio Coniglio restituisce al pubblico, autentica, l’umanità di Carlo Palermo, il magistrato che arrivò in Sicilia per prendere il posto di Giangiacomo Ciaccio Montalto, quest’ultimo ucciso il 25 gennaio 1983 mentre rientrava a casa senza scorta- L’attentato del 02 aprile 1985 era stato organizzato per colpire Carlo Palermo. Ma lui non è morto.
La recitazione di Coniglio non esita nel portare in scena un personaggio di Palermo che risulta costruito con attenta pertinenza alla realtà, mettendone in risalto anche gli aspetti più ruvidi. L’espressione del senso di colpa, che resta intimo e imperscrutabile, lascia il posto all’immagine dell’ uomo che condivide con Margherita il dolore per l’assenza di risposte, ma che, a differenza della donna, sente sul collo il fiato di chi, pur spartendo le responsabilità con gli autori materiali dei fatti, ancora, impunemente indossa il vessillo delle istituzioni.
Dalle parole dei protagonisti emergono le immagini degli attimi in cui il magistrato venne allontanato dall’aeroporto militare a Bigi, per lasciare la stanza al Ministro Spadolini in visita; delle sere in cui l’uomo, senza alcuna scorta fuori dalla propria abitazione portava fuori i suoi cani per poi ricevere al rientro una telefonata muta; di una chiesa gremita di persone e simboli istituzionali, in cui echeggia la parola “mafia”, nell’incredulità della piccola Margherita, che non capisce cosa c’entri con la sua famiglia quella parola; della macchia di sangue lasciata dal corpo di uno dei piccoli Asta sul muro di un’abitazione.
Attraverso il confronto dei protagonisti viene ricomposto il quadro degli eventi, in un affresco in cui spiccano le tonalità delle coincidenze e delle responsabilità che hanno condotto alla tragica mattina in cui Barbara Bozzi e Salvatore e Giuseppe Asta hanno perso la vita a causa di un’autobomba carica di tritolo.
Uno spettacolo essenziale, quanto immediato e necessario.
Al termine della pièce, i due attori si concedono ancora e si aprono al dibattito con gli spettatori seduti in platea, rompendo gli argini del loro personale coinvolgimento sul tema.
Le poltrone del teatro sono occupate principalmente da ragazzi del liceo, anagraficamente lontani da quegli anni, ma per i quali resta attuale il monito dell’importanza di coltivare un pensiero che sia critico e lasci respiro al beneficio del dubbio piuttosto che adagiarsi su comode convinzioni granitiche, spesso indotte.