È una sera di mezza estate, fresca: ha appena piovuto e il legno del Globe Theatre profuma ancora di antico. Oggi va in scena PLAYING SHAKESPEARE (che tornerà in scena ancora e ancora in Agosto, Settembre e Ottobre), per la regia di Loredana Scaramella. È uno spettacolo pomeridiano, le scuole sono chiuse: non c’è molto pubblico. Ci fanno accomodare sul palco. Lo scricchiolio delle assi ricorda che stiamo entrando in scena.
Un tavolaccio di legno, sgabelli, sedie: un’atmosfera da vecchia locanda che crea un suggestivo contrasto con l’occhio di cielo aperto del teatro, con il girotondo delle gallerie. C’è aria di convivialità, una curiosa intimità. Cosa conterrà quella cesta sul tavolo?
Il tempo di un pensiero ed entrano tre musici: mandolino, chitarra e tamburelli. In fila, in ordine, vestiti di nero, prendono posto su tre sedie, in fondo; davanti a loro tre leggii, in legno. Ecco la prima sorpresa: la musica. Di Shakespeare siamo abituati all’incanto delle parole, che sole tessono mondi, intrigando il lettore tra metafore e figure di senso, ma la musica, la musica arte, puro suono, vibrazione, ritmo. Un arpeggio, una ballata, entra in scena il canto (in inglese): Matteo Mauriello, intenso nell’interpretazione e agile nel passaggio alla prosa, in una dinamica che attraversa l’intero spettacolo, sospeso tra la leggerezza della melodia e la profondità del recitato. È un’alchimia vincente, che suggestiona e consente di attraversare con ironia leggera anche i passaggi più ostinatamente didascalici. Ma andiamo con ordine. Chi meglio di Puck può introdurre lo spettatore nel magico mondo delle ombre shakespeariane. Ombre che, come evocate, compaiono in scena: tre uomini e due donne, sempre vestiti di nero. Anche i costumi raccontano di un altro Shakespeare: non quello laccato e impomatato degli abiti d’epoca e dei pennacchi, ma quello sobrio del dietro le quinte, dell’uomo e della sua storia.
Proprio dalla storia si parte: Loredana Scaramella prende parola e si fa guida, inciampa occasionalmente nel recitato, ma mantiene la rotta con maestria, senza perdere l’attenzione del
pubblico, mentre lo accompagna attraverso le vicende che portarono alla costruzione del teatro, dei teatri nella Londra elisabettiana e poi delle abitudini, usi, costumi, alla scoperta del mondo che
circondava il Bardo.
Inserti didascalici, dicevamo, che denunciano l’impostazione didattica dello spettacolo, certamente diretto alle scuole, ma che, piacevolmente, non lo esauriscono, vivacizzati d un’ironia discreta e corale, che coinvolge il pubblico scardinando la potenziale chiusura sentenziosa del docente e motivando a un ascolto più attento, attendendo con curiosità la prossima battuta.
La funzione didattica, si diceva, è forse l’aspetto superficiale di uno spettacolo che rivela, invece, una profondità maggiore, dove attivando cortocircuiti tra storia e letteratura, accompagnati dal calore della musica, il mondo shakespeariano si ricompone per frammenti.
Una fondamentale funzione distensiva è data dall’azione corale: gli attori tessono un gioco di sguardi, fanno eco l’uno all’altro, si muovono e si incontrano, si avvicinano al pubblico e lo interpellano, mantenendo vivo l’interesse per ciò che sta per accadere. Travolgente, nel suo passare da comparsa a protagonista, Roberto Mantovani, capace di dare una profondità vivida di caricatura al racconto leggero della voce narrante.
Gustosa la scena del Falstaff ubriaco che mima con un cuscino in testa e uno spadino di legno il rimprovero del re al proprio figlio.
Ma, come detto, non c’è un reale protagonista, se non forse lui, l’assente, e forse inesistente, Shakespeare; piuttosto un’armonica polifonia, accesa di tanto in tanto dal guizzo degli assoli.
Ecco Loredana Piedimonte, magica interprete del prologo del Riccardo III, ed esilarante, energica compagna, nel doppio in napoletano con Vincenzo D’Amato: un duo sopra le righe. Già, perché in questo balordo convegno shakespeariano, entra anche il napoletano, e il siciliano, intonato ancora una volta dal bravo Matteo Mauriello. Tanto è riuscita l’impostazione di gruppo, che c’è il rischio di dimenticare Mauro Santopietro, invece è lì, sempre sul pezzo, da buon gregario non perde occasione di rimandare, di spalla, le frecciate ironiche, i guizzi comici ai suoi compagni; e sul finale, è lui a intonare, con un assolo improvviso, l’uscita in minore dallo spettacolo. No, non cantando, ma con una potenza espressiva che sprigiona musica nelle parole.
E poi arriva, il finale, un canto nostalgico, dolce e amaro, come quando l’alba sta per sorgere sulla locanda dove gli ultimi avventori, tra i fumi dell’alcol, riprendono la via del ricordo, e dalla malinconia di tante vite passate nasce spontanea una solidarietà di voci sommesse, ma fiere.
Sono gli applausi, tanti a rompere l’incanto, a ricordare che sì, siamo su un palco, a teatro, che in questa sera di mezza estate ha smesso di piovere e, mentre traboccano pensieri ordinari sulla via di uscita, si ha come la sensazione che sia successo qualcosa. Qualcosa di bello.
Visto il 2 agosto 2019
Prossime repliche
12, 13, 14 Luglio – 2, 3, 4, 23, 24, 25 Agosto – 6, 7 Settembre – 4, 5 Ottobre ore 18.30 – 8 Settembre – 6 Ottobre ore 16,00
Playing Shakespeare
Regia di Loredana Scaramella
PRODUZIONE: Politeama Srl
Interpreti
(in ordine alfabetico)
ROBERTO MANTOVANI
LOREDANA PIEDIMONTE
CARLO RAGONE
MAURO SANTOPIETRO
LOREDANA SCARAMELLA
Musica dal vivo
Trio WILLIAM KEMP
DIREZIONE TECNICA
Stefano Cianfichi
DISEGNO LUCI
Umile Vainieri
DISEGNO AUDIO
Franco Patimo
PHr: Herbert Natta