Il Globe si è ormai affermato come una solida realtà estiva per i romani e i non romani, che approfittano sempre più numerosi delle serate estive per godere del fresco di Villa Borghese e soprattutto del buon teatro. E se ormai il nostro Globe si è affermato come rifugio sicuro per tutti gli amanti delle opere di William Shakespeare, bisogna riconoscere come quest’anno la programmazione sia molto varia, alternando i grandi classici come La Bisbetica Domata a momenti speciali e unici che permettono di scoprire l’incredibile produzione shakespeariana come nel caso dei SONETTI D'AMORE che percorre i versi più belli del Bardo o i momenti musicali di PLAYING SHAKESPEARE. Molti di questi spettacoli sono stati recensiti da Gufetto nella sezione RASSEGNE-Globe Theatre.
Noi abbiamo avuto la fortuna lo scorso lunedì di assistere a LE OPERE DI WILLIAM SHAKESPEARE IN 90 MINUTI, portato in scena da La Bignami Shakespeare Company di Fabrizio Checcacci, Roberto Andrioli e Lorenzo Degl’Innocenti.
Spettacolo di importazione, vede la luce al Fringe Festival di Edinburgo nel 1987, quando Adam Long, Daniel Singer e Jess Winfield decidono di creare una macchina perfetta per presentare in novanta minuti una versione abbreviata ma esaustiva dell’opera omnia di Shakespeare, dove molto, anzi crediamo tutto, si gioca principalmente sull’affiatamento degli attori che hanno l’arduo compito di raccontare trentasette opere a ritmi sostenuti, senza mai perdere di vista il gioco sul palco e con il pubblico. L’edizione inglese ha avuto un incredibile successo ed è ancora rappresentata in Gran Bretagna; da noi, dopo una precedente versione che vedeva sul palco da Zuzzurro e Gaspare, viene ora portata in scena al Globe di Roma e va dato merito a Checcacci, Andrioli e Degl’Innocenti di non essere da meno dei loro predecessori.
Bisogna ammettere che l’inizio è un po’ ostico: i tre attori infatti si presentano agli spettatori con brevi monologhi introduttivi nei quali si cerca un tono da profondi conoscitori e studiosi shakespeariani, quasi a dire allo spettatore che bisogna stare attenti, perché si assisterà quasi a una versione filologicamente corretta e pura delle opere.
Questo inizio così parlato lascia quasi subito il posto a una comicità dai tempi serratissimi e a un trasformismo divertito e divertente.
Si parte da Romeo e Giulietta, la celebre storia d’amore che tutti conoscono, simbolo dell’amore che supera il male e ll'odio. In questa versione, però, tutto abbiamo tranne che il romanticismo; anzi, ne viene fuori il lato più farsesco e adolescenziale, con chiari riferimenti al sesso e agli aspetti più grotteschi dei personaggi e del testo stesso.
Un inizio entusiasmante in cui il pubblico non solo ride, ma viene coinvolto attivamente con lo sfondamento della quarta parete. Questo è un elemento che nel corso dello spettacolo fa sì che ci sia sempre un livello di attenzione molto alto e, soprattutto, fa in modo che nulla sia preso troppo sul serio.
La grande forza infatti di tutta la messinscena sta nel rendere Shakespeare, il classico dei classici, il maestro per eccellenza del teatro, il drammaturgo inarrivabile, un essere umano come noi, un umile artigiano che ogni tanto – quasi sempre! – prendeva spunto da altri autori, scriveva commedie molto simili, a volte troppo simili, ed era spesso incomprensibile nelle sue metafore.
Ridere di Shakespeare lo rende più vicino e più accessibile e in questo va dato atto ai tre attori, che sono anche i registi della pièce, di avere trovato anche dei riferimenti “culturali” azzeccati: Otello diventa un rap, Tito Andronico è un master chef alla Tarantino e le commedie, troppo lunghe e ripetitive, diventano un unico racconto che sembra un fantasy mescolato a una soap opera.
I novanta minuti sono una cavalcata verso il gioiellino finale, l’Amleto, che viene raccontato più volte fino al momento zero, la condensazione ultima che racchiude la battuta “tutto il resto è silenzio”.
Tutte le opere di William Shakespeare in 90 minuti è uno spettacolo che fa bene all’anima perché nella sua leggerezza fa ridere di gusto, senza mai scadere in volgarità o tormentoni banali.
A questo si aggiunge come punto centrale la bravura oggettiva di Checcacci, Andrioli e Degl’Innocenti, che si dimostrano performers a tutto tondo ricordandoci ancora una volta che il teatro si basa su una fisicità attiva e piena e una recitazione seria e giocosa insieme.
È innegabile, inoltre, la loro complicità in scena e il loro grande ascolto reciproco, che permette ai tre di creare un rapporto intenso con il pubblico che non si sente mai solo e ride con loro in ogni frangente.
E ritorna alla mente l’idea di un teatro che non ha bisogno di molto, se non di attori bravi e presenti, come in fondo era il teatro elisabettiano e come ci ha insegnato un grande maestro del Novecento, Jerzy Grotowski.
Usciamo così dal Globe, che ci ha accolto nel suo sapore di legno antico e sotto un cielo stellato, con l’anima sorridente e con la chiara convinzione che il bel teatro leggero, che per noi italiani è stato spesso un punto di forza, è ancora possibile.
Le opere di William Shakespeare in 90 minuti
Di Adam Long, Daniel Singer, Jess Winfield
Traduzione di Andrea Buzzi
Diretto e interpretato da
Fabrizio Checcacci, Roberto Andrioli, Lorenzo Degl’Innocenti