Le Genoveffe @ Napoli Teatro Festival: altro che Cenerentola.

20 luglio prima assoluta e unica replica per LE GENOVEFFE, progetto di Francesco Campanile prodotto da Teatri di Carta, che cancella dalla favola il personaggio di Cenerentola e il lieto fine.

Napoli Teatro Festival a Palazzo reale tra fiabe e realtà

Il bellissimo Giardino Romantico di Palazzo Reale, che così amabilmente dialoga con il Maschio angioino e la Galleria Umberto I dalla sua terrazza, intrattiene il pubblico nell’attesa che la scena si animi. La serata è particolarmente bella e c’è ancora luce alle nove di sera. Anche il palco ancora non riesce ad essere davvero buio, se pur vuoto. Quattro catini sul pavimento fanno intendere che stanno per entrare quattro personaggi. E infatti così si inizia, con l’ingresso e la danza scomposta delle abluzioni delle quattro sorelle Misericordia, Catena, Addolorata e Fortuna, sulle note e le parole del brano di Tosca, Il terzo fuochista. Scelta interessante come colonna sonora, perché dà molto forte il senso dell’infantilità di queste sorelle, che giocano con l’acqua e si fanno dispetti, facendo già intuire che la loro gioia è fittizia e molto fragile.

Le Genoveffe, donne che non sono donne

Altro elemento che ovviamente non può non saltare all’occhio è che le quattro sorelle sono interpretate da quattro uomini. E il messaggio di questa scelta, direi, è inequivocabile fin da subito: sono donne che non sono donne, c’è una femminilità castrata, mai maturata, desiderata e mai realizzata, che sarà la vera protagonista di tutto lo spettacolo. Le sorelle sono tutte diverse tra loro, c’è quella rassegnata e autoritaria (interpretata da Salvatore Veneruso), quella troppo traumatizzata per parlare (Ciro Pagano), quella che si rifugia nella Madonna (Vincenzo Castellone) e quella che si ribella (Nicola Tartarone). Insomma, una rosa di possibili reazioni a una madre dittatrice e crudele che almeno nei fatti è certo più matrigna di quella di Walt Disney, pur non avendo figliastre. Una madre di cui si sente il peso per tutto il tempo, senza che esista fisicamente in scena. Solo inizialmente, una sedia a rotelle vuota, con cui Misericordia ha uno strano rapporto fisico di sottomissione, lascia intendere la presenza della diabolica genitrice, in un effetto estetico che sarebbe piaciuto ad Alfred Hitchcock, probabilmente.

Le Genoveffe: sottrazioni e addizioni alla favola di Cenerentola

In questo spettacolo Cenerentola non c’è, ma in realtà ce ne sono quattro, di cui una è un po’ più Cenerentola delle altre. Si chiama Catena (nome evocativo), quella che disperatamente sogna e affronta le angherie delle sorelle, troppo spaventate dalla madre per non assecondarla. È lei ad inseguire il lieto fine che però, siccome questa decisamente non è una favola, come potete intuire non ci sarà. Anche la fata madrina non c’è, ma c’è: un ruolo simile infatti possiamo darlo all’allucinazione paterna di Catena, personaggio onirico che, con movenze da Pulcinella e volto informe sotto una calza, rappresenta la forza della ragazza di uscire da una orribile situazione con orgoglio e guadagnarsi la sua occasione. Insomma, uno spettacolo fatto di sottrazioni ed addizioni rispetto alla ben nota favola, e il risultato cambia, e come se cambia.

Se Cenerentola è la favola della speranza, del “tutto può succedere”, de “il tuo momento arriverà”, quello qui rappresentato è invece un mondo senza nessuna ombra di speranza, dove al massimo è concesso sognare, a patto di assumersene la responsabilità e il prezzo. Un mondo in cui sei troppo goffo per l’abito della festa e troppo colpevole per meritare anche una bambola.

Davvero un’atmosfera molto deprimente, che non lascia tregua dallo sconforto praticamente dall’inizio alla fine, in un cerchio di claustrofobia che si chiude tornando alla stessa colonna sonora iniziale di Tosca. “C’era una bambina con le sue scarpine blu… Tre colpi a finire e la notte tornò, da allora rimase a sognare e i colori per sempre con sé si portò.”

Spettacolo interessante, messaggio poco originale ma sempre efficace spunto di riflessione.

Non c’è che dire, uno spettacolo ben interpretato e ben diretto, con delle trovate scenografiche molto interessanti, come quella di rendere l’ambientazione dello spaventosissimo pozzo usato per le punizioni attraverso tessuto nero che intrappola l’attore. Ho percepito un ottimo affiatamento tra gli attori che hanno saputo interagire con intensità e ben rendere le presenze (anche quelle che non si vedevano) e le assenze. Un lavoro da apprezzare, in grado di valorizzare il talento degli interpreti in dei ruoli tutt’altro che scontati, quindi vale certamente la pena vederlo. Mi resta un dubbio, riguardo il messaggio: sottolineare la trappola che a volte la famiglia può rappresentare, seppur con una operazione piuttosto creativa e ben strutturata, sospetto sia poco originale e un po’ scontato. Tuttavia, bisogna riconoscere che dirlo trasformando una favola in un’anti-favola dai tratti estremamente realistici, ha certamente il valore di una convinta sottoscrizione del concetto.

Concludo poi con una riflessione, che riconosco ispirata dallo spettacolo: se la famiglia è una condanna e può diventare una trappola tale da cui è impossibile sfuggire, allora cosa si può fare per ritrovare un briciolo di speranza, per cambiare qualcosa? Si può cercare almeno di essere e di costruire famiglie migliori per i nostri condannati congiunti, evitando di precipitare nella spirale del rancore e dell’amarezza, senza per questo chiudere gli occhi e la coscienza.

LE GENOVEFFE
Una favola amara

PROGETTO E REGIA FRANCESCO CAMPANILE
DRAMMATURGIA FRANCESCO CAMPANILE, TIZIANA TESAURO
MOVIMENTI COREOGRAFICI CHRISTIAN LA SALA
CON VINCENZO CASTELLONE, CIRO PAGANO, NICOLA TARTARONE, SALVATORE VENERUSO VOICE OVER GENNARO MONTI
SCENE NICOLA TARTARONE
REALIZZAZIONE SCENE GIOVANI TEATRI
COSTUMI GIOVANNA NAPOLITANO
DISEGNO LUCI PACO SUMMONTE
FONICO LORENZO  LER
ORGANIZZAZIONE GIUSY MELLACE
UNA PRODUZIONE TEATRI DI CARTA
IN COLLABORAZIONE CON ARTEA

PALAZZO REALE – GIARDINO ROMANTICO
20 LUGLIO ORE 21.00; 23.00
DURATA 1H
PRIMA ASSOLUTA

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