LA REGINA COELI @ Fringe Festival geniale cambio di prospettiva sulla cronaca

Si aprono i sipari dell’ultima settimana di questa edizione del Fringe Festival che ha proposto finora un vastissimo ventaglio di progetti, storie e racconti che vedremo disseminati per i teatri italiani durante il corso di quest’anno. Primo spettacolo di questa terza settimana è stato "La Regina Coeli ”, figlio della drammaturga Carolina Balucani e interpretato dall’attore Matteo Svolacchia, unico presente sulla scena, vincitore del Premio Periodico Italiano alla finale del Roma Fringe Festival 2019.

La vita di un uomo disperso

Lo spettacolo inizia lentamente, con una chiacchierata a tu per tu fra l’attore e dei pastorelli, gli stessi che lo hanno ritrovato disperso, come una pecorella smarrita e l’hanno portato in salvo, nel recinto. La narrazione sbanda furiosamente tra inverosimile e ironico, ma riesce comunque a trascinarti in un tempo e uno spazio indefinito che, stranamente, catturano. Piano piano affiorano dalle parole dell’attore le prime avvisaglie di un tema molto più profondo; si svela una cruda analogia o, se vogliamo, una fantasiosa ma pungente correlazione tra la pecorella smarrita e la vita di un uomo disperso, un tossico o un delinquente magari, che viene catturato dalla polizia e richiuso in carcere, luogo che si rivelerà l’ultimo della sua vita terrena; un recinto, appunto, dove le bestie sostano prima di essere condotte al macello .  In questo spazio costretto, fatto di niente, il personaggio immagina la visita tanto desiderata di sua madre che viene ricollegata direttamente alla Madonna, sofferente, piena di domande alla quale nessuno, neanche suo figlio, è in grado di rispondere.

Da questo momento la tematica dell’intera pièce si palesa brutalmente davanti al pubblico attonito ed ecco chiaro che il protagonista reale è l’amore, quello che solo una madre può provare per la sua creatura, quell’amore che non viene scalfito neppure dalla morte o dalle incessanti ingiustizie.

Nonostante lo spettacolo girasse intorno a una macrotema trattato già tante volte, una giusta nota di merito va segnalata nei confronti dell’attore Matteo Svolacchia, che è riuscito a tener testa a un dialogo controverso e soprattutto ha regalato al pubblico un patos a nostro avviso difficilmente raggiungibile, grazie a un grande controllo della mimica e del tono. Il linguaggio usato è quello di un ragazzo della periferia di Roma, dosato e addolcito in molti tratti da un fare ironico e rassegnato. L’originalità dalla quale nasce il bisogno di segnalare questo spettacolo, sta nell’aver proposto un cambio ben strutturato di prospettiva e dato, quindi, lustro al ruolo di queste madri impotenti che vengono trascinate in un incubo senza fine.

Un gioco di luci semplice ma ben dosato arreda l’ambiente scenico, altrimenti troppo scarno. La decisione di proporre un legame tra la figura della madre sofferente e la Madonna mette il figlio nelle condizioni di personificare il Cristo, l’agnello sacrificato da una società che puzza di marcio ed è crudele con gli ultimi. La domanda quindi sorge spontanea: quanto sarebbero state diverse le vite di questi ragazzi se qualcuno fosse stato semplicemente più umano? Quante madri avrebbero potuto sorridere anziché piangere sopra un muro di marmo.

La Regina Coeli

Carolina Balucani
proveniente da
Perugia

drammaturgia e regia
Carolina Balucani con Matteo Svolacchia

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