Il Fringe Festival continua a sfornare perle di Teatro di compagnie provenienti da tutta Italia. Giovedì 10 sul palco principale ha debuttato un tributo alla Felicità in una Catania mai dormiente degli anni ’60 anzi del 1968 per essere precisi. Nicola Alberto Orfino firma la regia di un quadro realista e i soggetti nella tela sono Roberta Amato, Luana Toscano e Giorgia Boscarino.
LA FELICITA' – Una radiografia popolare
Esordisce dopo qualche giorno dall’apertura dei battenti del Fringe e in seconda serata “LA FELICITÀ”. L’attesa è ben ripagata dalla pièce teatrale che cavalca un anno (il 1968) ma in realtà è radiografia semplice, popolana di tutto un periodo iniziato prima, che perdurerà e che ha lasciato tracce odierne negli usi e costumi della terra di Sicilia o meglio di Catania. Un’isola ben delimitata dal mare dove certe consuetudini una volta approdate come pesanti navi mercantili poi respirate e annidate nella spugna delle persone, fanno fatica ad evaporare e si connaturano sino a permeare e striare ogni cosa. Quei segni, quelle strie sono profondi solchi nell’argilla arsa e non vanno via: rimangono tatuate sulla pelle di chi nasce e muore in questa meravigliosa città e nei suoi dintorni.
Finalmente (e ci riferiamo ad altri spettacoli recensiti in questo Festival all’ex Mattatoio) troviamo un buon dosaggio di luci ed effetti sonori. Le tre attrici suonano a sincrono e sono un piacere per il pubblico. Importano un pezzo integro di Sicilia e di storia a Roma. Una cartolina mai sbiadita dove guardare quello che è stato e che lascia ancora oggi certi residui stantii negli anfratti di città.
La commedia si apre con una litania instancabile e senza fiato, sottovoce, che una delle donne della storia recita mentre fa i suvvizzi di casa: «figghia e suvvizzi, figghia e suvvizzi…» Ogni mese dell’anno nel rosario laico ha il suo epiteto ed è d’accordo quasi ogni membro di quella società, tanto che poi tutti, come in una litania o peggio un coro greco lo recitano sino a raggiungere la sincronia perfetta e dunque il quorum d’intenti. Forse solo in apparenza perché i dubbi comunque fermentano. Si percorrono i vizi e le virtù di quel periodo in bianco e nero. Si fa la lista analitica di quello che rende felici: il corredo Paoletti, il televisore dove vedere Canzonissima e Gianburrasca, la carne Montana in scatola ben stipata in dispensa. Non manca niente. Proprio niente per essere felici. Poi ci sono le scarpe di Spatafora o le paste di Caviezel: unico distintivo a cinque punte di chi conta per davvero e si accinge alla sfilata tra gli occhi attenti del viale e ben puntati verso la prestigiosa calzatura possibilmente lucida perché si noti meglio.
Tutti riti che ci strappano come pubblico dalla realtà della poltrona e dentro una prodigiosa macchina del tempo ci portano indietro a quel ’68 che fuori dalle mura casalinghe è anche l’anno della rivoluzione culturale e del femminismo.
LA FELICITA' – Tre donne, tre storie diverse
Le tre donne e protagoniste hanno storie diverse, ma tutte, affaticate e intente a cercare e trovare la felicità o cercare solo le parole che confermino che sono già felici. Catania intanto cresce, si espande, crescono palazzi come alberi perché vuole essere chiamata la Milano del sud come a guardare sempre a qualcosa oltre il continente, ma sono cosi di masculi che portano i soldi a casa e si spaccano la schiena; alle donne il compito secondario e obbligato di accudire i figli, pensare alle cose di casa: stirare, cucinare, cusiri e quindi tenersi il marito. Ma gli schemi si rompono quando la donna maritata vomita e di continuo che anche lui deve sapersi tenere la moglie. La dichiarazione della dissidente lascia basite le donne che continuano meccanicamente i loro rituali. La felicità è dentro il matrimonio: «i femministi sono tutte buttane!». La felicità è cucinare per il marito anche quando il sole del sud arroventa i fornelli ancora più del fuoco del gas della bombola. La felicità è preparare una cena per amici e parenti, arrivare stremati tanto da vedere allo specchio il fantasma della zia Maria nei propri tratti del viso ereditati e non avere neanche la forza di calzare la collana col doppio giro di perle (anche se molte ambiscono a quella col triplo giro…) e non avere neanche il coraggio di chiedere a lui se può almeno apparecchiare perché cosi di fimmini sono. Quando lei trova quel coraggio lui le inveisce contro e per ben servito le chiede di stirargli la camicia nuova. Felicità è farsi una bella passeggiata a via Etnea, incontrare personaggi stravaganti come Pippu de Pirita e restarci male se non ti fa la pernacchia quando passi per le basole di pietra lavica del vialone. Felicità è vedere il marito che fuma le nazionali senza filtro o mangiarsi ‘n bellu Iris: settanta lire di felicità se vogliamo dargli un valore venale…
LA FELICITA' – Cos’è la Felicità?
Felicità è fare quello che tutti vogliono e non tutti possono fare… come l’agognata cabina alla playa: un box angusto di un metro quadro dove impilare costumi, sdraio, pasta al forno e il nonno. E poi il figlio, necessario o meglio obbligatorio se lei è maritata e non ha un figlio a vent’anni o meno è segno che è malata e non lo può avere: «Stati aspittannu ‘n figghiu? No! Stati aspittannu ‘n figghiu? No!» Ma se la moglie del dott. Micalizzi lavora vuol dire che non se la passano bene. “Mischineddi”. Il lavoro delle femmine in quel ’68 è una vergogna a dispetto dei movimenti di emancipazione che impazzano di bandiere nella lunga penisola nostrana. Ma una delle nostre donne è signurina, e in quella periferia del mondo ha urgenza di vivere e cerca ‘n masculu per sposarsi regolare, ma quella premura è presto delusione: si aspettava chissà cosa dato che tutti ne parlano di quella cosa misteriosa… Il sex simbol agognato rimane Teddy Reno «se c’è riuscita Rita Pavone ca è auta comu nu stuppagghiu perché non ce la posso fare iu ca sugnu megghiu?» La felicità come credenza per fuggire da quella vera, dalla rivoluzione interiore e tutto rimane fermo nel protocollo delle apparenze. Fame di novità sofferta da sempre come oggi.
Sono cambiati i desideri, gli oggetti e soggetti del desiderio: l’essere umano cova e coverà le sue frustrazioni spesso acuite dalla moda, dalla televisione e adesso dai social. Un mondo borghese che cerca di far vedere quello che ha e si inventa persino quello che non ha e non avrà pur di tenere alta la testa nel viale di città dove i giudizi ingrati mormorano sulle bocche dei passanti e fanno un rumore assordante. Un rumore che è anche riverbero dato che quel giudizio non voluto lo si riserva a propria volta a chi passa e non va.
Info:
La felicità
Madè
proveniente da
Catania
di
Madè
con
Roberta Amato, Giorgia Boscarino, Luana Toscano
regia
Nicola Alberto Orofino