L'ATTESA @ Fringe Festival: l'ossessione della maternità 

Nella cornice delle più gelide giornate invernali di Gennaio, gli spettacoli del Fringe Festival si affermano sempre più come una valida alternativa di intrattenimento e aggregazione nella Capitale, proponendo le opere e le nuove idee che, prossimamente, potrebbero essere premiate nel territorio del teatro internazionale. Non solo comuni serate di spettacolo, ma contenuti di livello, condivisione e connessioni. In queste serate i membri della redazione di Gufetto si affaccendano nel coprire tutte le nuove proposte, nell’intento di restituire la visione più completa possibile del ricchissimo ricamo artistico e culturale della manifestazione, comprensiva anche di un'accattivante esposizione di libri, tra cui spiccano i numerosi gioielli narrativi della casa editrice “Il seme bianco”.

Abbiamo assistito ad “ATTESA”, uno spettacolo nato dall’idea di Elena Oliva, di cui l’attrice è protagonista insieme ad Alessio Esposito (Compagnia Madiel).
Un cubo trasparente rappresenta il fulcro visivo della scena: dapprima è il luogo dell’infanzia dove la protagonista bambina disegna e gioca con il cugino; in un secondo momento si trasforma assecondando il tempo e trasformandosi in un piano bar durante il susseguirsi di serate in discoteca; successivamente nello smartphone come porta d’ingresso per strampalati incontri virtuali, poi in una camera da letto,  in uno spazio di confidenze traumatiche, e infine in un altro luogo che ha le sembianze di un ospedale. Il cubo, simbolo di un porto sicuro e al contempo di una prigione psicologica di modalità ripetitive non risolte, diventa dunque un punto di riferimento fisso tra passato e presente, nonché elemento portante della gestione dello spazio scenico, insieme alle luci che sottolineano ed esaltano il movimento degli attori e la successione dei momenti della storia.

Ne emerge un’efficace narrazione per immagini, dinamica e vivace; il pubblico è coinvolto, interagisce, non resistendo alle provocazioni ironiche e al richiamo di una risata facile.
Questi elementi visivi combinati a una recitazione dal ritmo sostenuto e dall’espressività brillante possono essere considerati elementi sufficienti a vivere l’opera come uno spettacolo ben riuscito, soprattutto per il tentativo di esprimere tematiche impegnative attraverso momenti estremamente attuali e divertenti, che strizzano l’occhio alle debolezze e alle stravaganze d’ognuno di noi.

 

Si percepiscono, tuttavia, chiare problematiche relative al messaggio, che sembra essere confuso in partenza: una bambina traumatizzata dalla mancanza del padre, sviluppa una chiara ossessione per il desiderio di maternità. La possibilità di avere un bambino, quali aspetti colmerebbe (o replicherebbe) ? Quali nodi traumatici vengono toccati con esattezza? Inoltre, qual è la personalità della protagonista al di là di questa personale storia drammatica vagamente accennata? La pièce scalpita a ritmo sfrenato per dirci qualcosa, ma esattamente dove vuole colpirci? Questi sono solo alcuni degli interrogativi aperti, che fanno pensare più ad una potenziale idea ancora abbozzata, ma che possiede tutto lo spazio necessario per potersi ulteriormente sviluppare.

Le lacune di una narrazione più completa incidono sull’identificazione con il personaggio da parte dello spettatore (che non può ridursi alla sola ossessione per maternità) e dunque sulla sua risposta emotiva. Seppur forte di aspetti come il ritmo, la comicità, le immagini, rimane l’esigenza di un approfondimento narrativo, su cui poter ancorare l’aspetto simbolico altrimenti sospeso tra le troppe alternative senza risposta. La scelta di un finale aperto, sembra apprezzabile se prima lo spettatore è messo nella posizione di vagliare le diverse ipotesi che, nel caso specifico, risultano molto sfumate e confuse, in un vago assemblaggio di immagini emotive non sufficientemente giustificate dalla trama.

Info:
Attesa
Madielproveniente da
Basilicata

ideato da
Elena Oliva

drammaturgia e scene
Dino Lopardo

con
Alessio Esposito e Elena Oliva

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