Grazie a Teatro Dell’elfo, il 21 e 22 luglio possiamo gustarci per la prima volta in assoluto la versione italiana del particolarissimo testo di Moisés Kaufman, The Laramie Project. Ed è proprio il caso di dire che non si smette mai di imparare.
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Napoli e il Palazzo Reale incorniciano The Laramie Project
Non so se Kaufman avrebbe mai immaginato di vedere la sua idea messa in scena in un contesto come quello in cui ce la serve il Napoli Teatro Festival, in questa assurda estate 2020. Il Cortile d’Onore di Palazzo Reale, un palco ampio e scuro e non più di cento sedie avvitate al pavimento (come COVID comanda) tutti abbracciati da un solenne colonnato sovrastato dalle alte finestre bianche e spente della loggia, che sembrano guardare in giù come occhi curiosi col sopracciglio alzato del frontone che si solleva direttamente sulla scena. Un gran dispiego di telecamere e macchine fotografiche dimostrano che c’è molta attesa per questo spettacolo.
Ma quando si spengono le luci, prima che il palco si animi, lo sguardo ha il tempo di abituarsi al buio e sentirsi ricoperto da una tela di stelle tessute su un cielo profondamente blu e limpido, che ti fa cominciare con un sospiro di meraviglia e buona disposizione: Napoli, a volte, se glielo chiedi con garbo, con certe cose ci sa proprio fare.
The Laramie Project al Napoli Teatro Festival: da Kaufman a Bruni-Frongia
Ferdinando Bruni, Francesco Frongia ed Emanuele Aldrovandi si cimentano nella traduzione e messa in scena in italiano dell’originale progetto di Moisés Kaufman, e lo fanno con molto successo, diciamolo pure subito. Complici un’ottima compagnia di attori precisi e versatili, e il sapiente uso delle luci e dei suoni senza virtuosismi invadenti, lo spettacolo è indubbiamente riuscito, interessante, molto coinvolgente, e se non fosse per la seduta in plastica che non lascia distrarre le terga, le due ore passerebbero d’un solo fiato, trattenuto.
Gli eventi che ispirarono il progetto sono noti: nel ‘98 il giovane studente omosessuale Matthew Shepard viene aggredito, torturato e lasciato morire legato a una staccionata da due coetanei nella cittadina di Laramie, Wyoming, Stati Uniti d’America, 26687 abitanti.
Se l’America e il mondo intero ne furono sconvolti, come si fa a capire davvero cosa è successo, come si è arrivati a tanto, e cosa cambia dopo un avvenimento del genere? Come si fa a trarre un insegnamento da tale tragedia? Come dice lo stesso autore, l’insegnamento può venire solo dal capire in cosa Laramie è uguale al resto della nazione (o del mondo) e in cosa è diversa. Nel suo stile, poi, parlano i fatti, anzi proprio gli atti ufficiali, le dichiarazioni reali, con ben poco romanzo, e il teatro diventa documentario.
Tuttavia, stavolta, invece di approfittare “solo” dei documenti processuali che lo hanno ispirato per Atti Osceni (Gross Indecency), Kaufman va a procurarsi gli atti direttamente di prima mano, coinvolgendo la sua coraggiosa compagnia: in un anno e mezzo si reca ben 6 volte con loro a Laramie per condurre oltre 200 interviste e raccogliere materiale di ogni genere, da cui nascono i più di 60 personaggi del Project. Un lavoro estenuante, di cui, ritengo, dovremmo essergli tutti grati.
Il Seme della Violenza: il trucco c'è ma non si vede.
Dunque, gli otto eroici attori italiani che compaiono subito sul palco senza quasi mai lasciarlo, hanno il compito di rendere tutti i personaggi: un’operazione che non ammette sbavature, pena il caos e il mal di testa degli spettatori. I passaggi da un personaggio all’altro sono affidati solo a pochi elementi caratterizzanti – che si fa fatica a definire costumi eppure ne giocano egregiamente il ruolo – e a variazioni vocali e mimiche a volte sorprendenti. Il tutto avviene sempre sotto gli occhi del pubblico che però non ci fa caso, tanta la discrezione e la grazia con cui sono realizzati.
Paragonandolo al concerto di una band, uno dopo l’altro ogni attore ha occasione di mostrare il suo assolo migliore, e di dare forma al suo talento: mi sento di menzionare almeno Marta Pizzigallo, che entra e esce da ruoli maschili e femminili, Marcela Serli, che davvero in un paio di occasioni ho addirittura pensato fosse una nona attrice entrata mentre non ero abbastanza attenta, Francesca Turrini impeccabile ad ogni trasformazione, Ferdinando Bruni e Giuseppe Lanino, perché davvero il monologo del padre della vittima, Dennis Shepard, e gli aggiornamenti sulle condizioni di Matthew di Rulon Stacey strappano il cuore dal petto con una credibilità che va oltre quella che la sola lettura del testo riesce già a trasmettere.
Al primo cambio di scena, quando si spengono le luci, la platea è muta e assorta, ancora concentrata sulle ultime parole ascoltate e l’applauso parte in ritardo: quando il pubblico intero ha bisogno di qualche secondo per riprendere il senso della realtà è sempre un buon segno.
Il Seme della Violenza al Napoli Teatro Festival: grazie Matthew.
Abilità e talenti a parte, c’è da dire che anche l’idea di portare in scena questo “documentario teatrale” in Italia, nel 2020, è senza dubbio da apprezzare: questo testo, che il Tectonic Theater Project ha sempre inteso come messaggio di denuncia contro tutte le discriminazioni, resta attuale, purtroppo, ancora dopo 20 anni dalla prima rappresentazione di Denver, e diventa un’occasione per ricordare a tutti gli italiani moderni – di cui buona parte ostenta un’emancipazione intellettuale che tuttavia ancora si traduce troppo spesso nella negazione di certi fenomeni – che al diritto universale di vivere ed esprimersi con pienezza e serenità ancora ci dobbiamo arrivare.
Dice la signora Johnson, ad un certo punto, “Tutti i crimini sono crimini d’odio”. Certo, in qualche modo si. Ma si può odiare qualcuno così, gratuitamente, solo perché non ne condividiamo lo “stile di vita”? Ripetere il mantra del “vivi e lascia vivere” come se fosse un’attitudine positiva, come se fosse un pregio, non assolve Laramie, e neanche il mondo, dalle sue responsabilità, non può ridurre un fenomeno d’odio, che è culturale e coltivato, al gesto crudele di due incoscienti che, come dice il dr. Cantway alla fine del primo atto, in fondo sono, incredibilmente, solo ragazzi.
Dunque, senza altri commenti, credo si possa solo concludere, come da vent’anni, con Thanks Matthew. E stavolta ci aggiungerei anche un grazie a Teatro dell’Elfo e un bel grazie a Bruni e Frongia. Mi raccomando, fatecelo rivedere ancora e spesso.
Foto di scena: GIUSVA CENNAMO
Il SEME DELLA VIOLENZA. The Laramie Project.
DI MOISÉS KAUFMAN E DEL TECTONIC THEATER PROJECT
REGIA FERDINANDO BRUNI, FRANCESCO FRONGIA
TRADUZIONE EMANUELE ALDROVANDI CON FERDINANDO BRUNI, MARGHERITA DI RAUSO, GIUSEPPE LANINO, UMBERTO PETRANCA, MARTA PIZZIGALLO, LUCIANO SCARPA, MARCELA SERLI, FRANCESCA TURRINI
LUCI MICHELE CEGLIA
SUONO GIUSEPPE MARZOLI
ASSISTENTE REGIA ALESSANDRO FRIGERIO
ASSISTENTE SCENE ROBERTA MONOPOLI
ASSISTENTE COSTUMI ELENA ROSSI
COPRODUZIONE TEATRO DELL’ELFO, FONDAZIONE CAMPANIA DEI FESTIVAL – NAPOLI TEATRO FESTIVAL ITALIA
IN COLLABORAZIONE CON FESTIVAL DEI DUE MONDI DI SPOLETO
PALAZZO REALE – CORTILE D’ONORE
21, 22 LUGLIO ORE 21.30
DURATA 2H
PRIMA ASSOLUTA