Il 26 e 27 luglio al Napoli Teatro Festival l’interessante interpretazione che Mario Scandale fa del testo di Jo Lattari, Il dolore di prima. Un prima che per lui è più presente che mai.
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NTFI20 alla Fagianeria: questo si che è un Festival all’aperto
Finalmente la mia scelta di spettacoli mi porta alla Fagianeria del Complesso di Capodimonte, che ero proprio curiosa di vedere in allestimento da Napoli Teatro Festival 2020, ma di certo non mi aspettavo un’ambientazione così suggestiva. Si passeggi
a per i viali del bosco illuminati nel buio da lampioni e lucine colorate che indicano il percorso, si arriva poi ad ampi spazi battuti da una gradevolissima brezza estiva e decorati da luci inconfondibili.
Lo spazio per la platea è ampio e così piacevolmente immerso nel verde che se invece di essere costretti a queste sedie di plastica avvitate al pavimento potessimo assistere comodamente stesi su sdraio da campeggio portate in autonomia, faremmo invidia all’americanissimo Ravinia Festival.
Il dolore di prima secondo Lattari, secondo Scandale e secondo noi.
La scenografia che già si vede sul palco mantiene una certa fedeltà con il testo, almeno negli elementi essenziali, ma non del tutto: come prima cosa, noto che non ci sono porte grandissime o porte piccolissime come avrei potuto aspettarmi. È già chiaro quindi che Scandale darà al testo un suo taglio, e devo dire che poi l’operazione si sviluppa chiaramente, ma attraverso alcuni dettagli, senza sconvolgere certo i (non)dialoghi o i gloriosi logorroici monologhi che della scrittura della Lattari sono il fulcro.
Sul testo si può parlare per ore e ore. L’autrice crea questo gruppo di ruoli in cui qualunque essere umano può riconoscere qualcosa e in cui qualunque essere umano riconoscerà probabilmente qualcosa di diverso, perché su una cosa sono certamente d’accordo autrice e regista (e io con loro): nessuna famiglia risparmia dei dolori, qualche dinamica disfunzionale e un passato grande o piccolo con cui fare i conti, prima o poi o per sempre.
Tuttavia, a seconda di quello che nei personaggi della Lattari avete trovato leggendoli con l’occhio della vostra esperienza, vi ritroverete o meno nell’interpretazione che ne fa Scandale, e pure di quella potete trovarne una vostra. Insomma, se vedete questo spettacolo, preparatevi a diverse ore di successiva introspezione familiare più o meno consapevole, a diverse notti insonni anche, se il portfolio della vostra infanzia è corposo abbastanza.
Il dolore di prima secondo FIGLIA
Ma restiamo sui dettagli della messa in scena, la FIGLIA di Scandale sta immaginando tutto, ogni cosa avviene nella sua testa, ricordi, supposizioni, paure, riflessioni, anche le reazioni degli altri. Quindi il punto di vista è sempre il suo. E questo è importante capirlo perché altrimenti si noterebbe uno squilibrio forte nella caratterizzazione dei personaggi, dal momento che gli altri tre (e mezzo) appaiono quasi come delle caricature. Anche QUELLO, fisicamente presente solo tramite il triciclo, diventa sempre più ingombrante nelle riflessioni di FIGLIA, al punto che l’oggetto in scena viene cambiato due volte in un crescendo di dimensioni e di inciampi.
Questa ragazza è ossessionata dal suo passato, intrappolata nell’incomunicabilità con i suoi familiari, una incomunicabilità snervante, da cui neanche scappare è servito a liberarsi. Una incomunicabilità che è un nodo che non si scioglie e non si scioglierà mai, insieme distanza incolmabile e legame indissolubile con persone non scelte ed insostituibili, in un intreccio di rapporti che, non c’è niente da fare, è il tessuto di base della sua personalità. La FIGLIA di Scandale ripercorre questo prima alla ricerca di un dopo, in effetti, ma più lei stagna nel prima, più il dopo si allontana. “Per molto tempo sono stata interessata al perché. Ora ispeziono le foto e cerco di vedere il prima e il dopo”, così comincia il testo di Lattari. E il concetto di prima e dopo torna più volte, con più significati e più punti di vista, anche nello spettacolo: un continuo andare avanti e indietro nel tempo attraverso i confronti, i ricordi, l’analista.
Il dolore di prima: nulla di oggettivo ma tanto su cui riflettere.
È uno spettacolo che lascia lo spettatore attento con molti spunti filosofici su cui riflettere riguardo la famiglia, l’imprinting, la genetica, il sentirsi accettati, il senso di responsabilità, cosa è davvero giusto e cosa è davvero sbagliato. Elementi oggettivi a cui appigliarsi non ce ne saranno praticamente mai: il padre soffre e muore, ma non si sa di che, la madre forse è malata, ma non si sa di cosa, la sorella ha una famiglia propria ma viene nominata solo come giustificazione, il fratello è solo “quello” e neanche appare mai, tutti insieme vivono una vita piena di sfortune ma non si sa quali, o almeno non tutti ne hanno la stessa idea.
Confesso che per me è stato piuttosto estenuante, probabilmente per motivi del tutto personali, ma proprio per questo non posso non riconoscere che lo spettacolo arriva dove deve arrivare: ricostruisce lo stato d’animo di FIGLIA al punto in cui è, nel bene e nel male, con tutte le sue percezioni. Alla fine ti viene proprio voglia di abbracciarla e tirare un gran respiro profondo insieme a lei.
Il dolore di prima al Napoli Teatro Festival: grandi complimenti ad alcune interpretazioni.
Tale efficacia è comunque senz’altro anche merito di grandi attori, prima tra tutti Valentina Picello (FIGLIA) che io ho trovato davvero eccezionale, autentica e talmente credibile che ho immaginato debba essere finita in analisi per forza dopo questo personaggio. Perfetta a mio avviso anche Betti Pedrazzi (MADRE), perché per rendere così convincentemente un personaggio insieme tanto simpatico e tanto irritante, ci vuole decisamente del talento, da manicomio quasi. Devo dire che l’interpretazione che mi convince meno è proprio quella di Arturo Cirillo (PADRE), che avrei preferito più lamentosa e lenta, anche nelle microscopiche gocce di saggezza che a FIGLIA sembra di ricordare, piuttosto che “pulcinellesca”, serena e cantilenante come invece mi è apparsa, ma immagino che semplicemente io e Scandale potremmo avere un’idea diversa di come la protagonista debba rammentare tale genitore.
Il Dolore di Prima: forse c’è un dopo.
La cosa più importante è che alla fine, quasi esausta, FIGLIA sembra ritrovare una bozza di sorriso, quando intravede la possibilità di accettare la sua famiglia per come è, perché in fondo nessuno ha delle vere e proprie colpe e lei stessa non può considerarsi estranea a quella coreografia patologica che è l’unico modo in cui sanno vivere. Con questa possibilità FIGLIA intravede anche l’opportunità di non sentirsi più sola, e noi, seduti di fronte a lei, l’eventualità che ci sia un non detto “e vissero non proprio felici e non proprio contenti, ma almeno meglio di prima”.
Uno spettacolo da consigliare ma con consapevolezza.
In definitiva, un progetto filosoficamente impegnativo e certo una bella prova tecnica superata con lode. Da consigliare? Direi proprio di sì, solo magari, se siete di quelli che non amano scavare, andateci dopo aver fatto una seduta di yoga, presa una camomilla e col numero di telefono dell’analista a portata di mano. Buona visione e buon lavoro.
Foto di scena: Sabrina Cirillo (ag. Cubo), Manuela Giusto
IL DOLORE DI PRIMA
DI JO LATTARI
REGIA MARIO SCANDALE
CON BETTI PEDRAZZI, ARTURO CIRILLO, VALENTINA PICELLO, PAOLA FRESA
SCENE FRANCESCO FASSONE
LUCI CAMILLA PICCIONI
COSTUMI NIKA CAMPISI
VIDEO LEO MERATI
COLLABORAZIONE SCENOTECNICA FLAVIO DOGLIONE
FONICO JACOPO RUBEN DELL’ABATE
ASSISTENTE ALLA REGIA DIEGO PLEUTERI
FOTO DI SCENA E GRAFICA MANUELA GIUSTO
IL TESTO È EDITO DA CASTELVECCHI EDITORE
PRODUZIONE CRANPI, MARCHE TEATRO, FONDAZIONE SIPARIO TOSCANA-CENTRO DI PRODUZIONE TEATRALE, SARDEGNA TEATRO
CON IL SOSTEGNO DI TEATRO BIBLIOTECA QUARTICCIOLO
CAPODIMONTE – FAGIANERIA (INGRESSO DA PORTA MIANO)
26, 27 LUGLIO ORE 21.00
DURATA 1H+20MIN
PRIMA ASSOLUTA