FORMICHE @ Teatro Argot Studio: Una reclusione autoimposta

In scena al Teatro Argot Studio, il 9 maggio scorso, FORMICHE, scritto e diretto da Saverio Taviano, con Alessio Bonaffini e Saverio Taviano, primo appuntamento di Inventaria, VII edizione, la festa del teatro off.

Il pubblico entra nella sala del teatro Argot quasi nel buio. Si intravedono sul palco due personaggi. Uno a terra, seduto sulla destra, davanti ad un vecchio televisore, si intrattiene con un sonoro e fastidioso videogioco. L'altro con le brache calate, sulla tazza di un lurido cesso, occupa la scena al centro, in fondo. I due uomini si sono ritirati dal mondo in una specie di microcosmo caverna, dove vivono soli, insieme. Alessio Bonaffini, sul cesso, affetto da diarrea cronica non può tirare lo sciacquone, perché assecondando un immaginario post-apocalittico, non solo credono di essere tra i pochi sopravvissuti rimasti sulla terra, ma anche che non ci sia più acqua.  L'altro, in pigiama, Saverio Tavano, anche autore e regista, è ossessionato dalle formiche che vede salire dalle assi del pavimento e invadere la tana-caverna; passa il suo tempo ad ucciderle con pesticidi che sparge e spruzza ovunque.

Nel corso dello spettacolo (durata 30 min.), i due litigano, si azzuffano, mostrano la loro interdipendenza ma anche l'insofferenza che provano l'uno per l'altro, si lanciano in reciproche oscenità ma poi, ogni volta, tornano ad abbracciarsi, sentitamente. Sul finale viene tirato lo sciacquone, l'acqua c'era. L'ipocondria, l'asocialità, la lunga descrizione del mondo fuori deserto, la paura di tutti coloro che non sono lì dentro, insieme a loro: elementi che hanno costruito l'immagine di quello scenario post-apocalittico di cui si è parlato, in realtà, nel momento in cui il cesso viene scaricato, si svela essere paranoia delle menti dei due hikikomori.

La storia è semplice, adatta a dei tempi brevi. La scrittura non sempre convincente, spesso l'oscenità creava disgusto, ma altre volte noia. La regia non ha aiutato di certo: esporre il fallo mentre si costringe il capo dell'altro alla sua vicinanza, per la potenza del gesto, deve risultare assolutamente necessario. Altrimenti potrebbe risultare una soluzione facile per catturare l'attenzione del pubblico. Pubblico che per di più non si scandalizza. Il problema, nel linguaggio così come nella regia, non sta nell'effetto scioccante o scandaloso di alcune suggestioni o immagini, perché purtroppo, vista l'abitudine dello spettatore contemporaneo al truce, non è facile scuotere con questi mezzi. L'attenzione che si riceve usandoli è pari al tempo di un ghigno che non riesce ancora ad essere risata. Un fallo nudo in scena non crea di per sé una reazione forte, di qualsiasi tipo. È il contesto, la circostanza, che determina la potenza del gesto. In trenta minuti un gesto del genere non si è preparato, né si è risolto. Un gesto del genere è risultato solo una “trovata”, banale escamotage, non necessario per giunta! I due attori hanno manifestato di certo sintonia scenica, ascolto reciproco, dialogavano davvero! Cosa rara.

Il pubblico si è divertito grazie alla tipica comicità siciliana di cui non si vorrebbe creare stereotipo, ma su cui la regia e gli attori stessi hanno giocato.

In odor di Vladimiro ed Estragone i due attori/personaggi non sono riusciti a mettere l'animo dello spettatore in contatto con quello di chi, come loro, decide di isolarsi, di uscire dal mondo. Né, a maggior ragione, la storia poteva essere astratta a metafora dell'angustiante vita delle metropoli contemporanee; entrambe, intenzioni espresse nelle righe di presentazione dello spettacolo. Questi Vladimiro ed Estragone non vivevano l'attesa, descrivevano un'unica immagine, quella del degrado prevalentemente fisico di due uomini che si autorecludono, sperando di far ridere.

Info:
FORMICHE
scritto e diretto da Saverio Tavano
con Alessio Bonaffini e Saverio Tavano
assistente alla regia Gianluca Vetromilo
collaborazione artistica Armando Canzonieri e Nicola Buongiorno
foto di scena Angelo Maggio

Sezione Spettacoli

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