CHIUSO PER SOLITUDINE, la piecè che Gufetto ha visto per i suoi lettori è una raffica fitta di episodi incollati dalla matrice unica della spiacevole solitudine dentro la quale ci si confina o ci confinano gli altri a detrimento della stima personale. Qui non si allude a persone che amano stare un po' da sole per diletto, ma a chi brutalmente rimane in compagnia della propria solitudine. Cattiva compagnia. Non c'è alternativa.
Drammaturgia di Orlando Placato con Cristina Aubry e Oreste D'Ippolito. La regia è dell'attenta Anna Maria Loliva
Assenza di dialogo. Nessuna replica. Un solo eco: la propria voce riverberata nel vuoto delle quattro mure di città dove rimbalzano esistenze claudicanti. Difettose. E' risaputo che si può essere soli, solissimi… dentro un mare di persone. Ma non è sempre colpa degli altri. Non c'è filantropia certo nei viali della vita e di città, ma la solitudine attecchisce forte e pianta solide radici anche quando la gente c'è, ti circonda ma parliamo solo a noi stessi. L'ego ristagna e diviene humus organico che prolifera solitudine.
Siamo spesso noi la causa della incomunicabilità. La solitudine si decompone: diviene un virus contagioso che diffonde il silenzio e genera personaggi inquieti nella cloaca metropolitana.
Qui, nella pièce, se ne contano ben dieci di casi clinici. Ma sono solo stereotipi che assomigliano ad altri mille o milioni. Gli attori danno vita e fiato alternato ai solitari personaggi in dieci variopinti monologhi che divertono e fanno riflettere. E' un crescendo di fattispecie caratteriali sino ad arrivare al più solo dei soli. C'è anche qui come in altre commedie contemporaneee, quell'accusa ridondante ai social di cui non si può più fare a meno, alla virtulità internettiana: una overdose di realtà fittizia che offende e castra i reali rapporti carnali, epidermici. Miti angusti e velleitari che fomentano frustrazioni soffocate o espresse in vizi estremi mai soddisfacenti. Un serbatoio insaziabile di desideri inarrivabili che lasciano l'avversa solitudine l'unica forma dove rintanarsi al pari di bestie antropomorfe.
Dal cilindro l'autore sforna una prodigiosa carellata di mostri e casi grotteschi: la dottoressa dominatrice incline al bondage, la pentita che avrebbe voluto darla, il mini dotato in cerca del fallico riscatto e intanto segue una cronaca in diretta fintamente partecipe, la donna in carriera che si parla addosso in un giro tortuoso di perifrasi e slogan. Tra il serio e il faceto si dipana piano il complesso fil rouge della pièce sino al finale forte e attuale casualmente nel giorno precedente alla condanna del mostro di Guidonia: Giuseppe Rocchi, il pedofilo che adesso marcirà in carcere per appena vent'anni per gli abusi commessi contro almeno undici inermi bambini.
Il palco del Fringe accoglie due professionisti lontani dal coro del Teatro indipendente. Spicca a nostro avviso la classe e conclamata bravura della Aubry che cavalca con disinvoltura la sua ricca collana di personaggi e alterna comicità a commozione quando, in quest'ultimo caso, dà voce ad una donna che perde il figlio da subito e si protegge dentro un alibi forte come quell'amore avito di madre.
Info:
Chiuso per solitudine
Oreste D’Ippolito
proveniente da
Roma
di
Orlando Placato
con
Cristina Aubry e Oreste D’Ippolito
regia e adattamento scenico
Anna Maria Loliva