All’interno dell’edificio della Pelanda, sulle alte volte che riparano dal gelido cielo notturno di questo gennaio 2020, si snoda un intricato percorso di rotaie dal sapore tetro. Un intreccio ferroviario ribaltato che un tempo serviva al ferale trasporto delle carcasse dei suini. Questo sito veniva utilizzato per la lavorazione degli animali, teatro di un’ecatombe, lager per le bestie. Trasformato in un raffinato spazio per eventi, la strada ferrata sottosopra ha assunto nuovi significati di rinascita, lasciandosi alle spalle gli scenari mortiferi per i quali era stata costruita. In questa nuova veste le porte che si aprivano alla fine dell’esistenza, adesso danno spazio alla creatività, assurgendo il ruolo di asilo per evocazioni artistiche, offrendo casa a ben due sale teatrali. In una di queste sale abbiamo assistito al Fringe Festival, nello specifico, in questo articolo, vi parleremo di due spettacoli.
GOODBYE MR. G
Partiamo dall’assunto che il teatro è narrazione. Quale che sia il soggetto dello spettacolo, il suo messaggio, l’epoca in cui si svolge, ci si aspetta che venga narrata una vicenda, e la vicenda deve essere composta (ma anche scomposta) da un inizio, uno svolgimento e una fine.
In questa pièce non è presente nessun elemento narrativo, oppure se c’è è stato maldestramente oscurato. Presentata come “un cortese invito alla veglia funebre del signor G.”, liberamente ispirato alle “Avventure di Pinocchio” e con la premessa di vivere un viaggio onirico, assistiamo ad un’accozzaglia di scarsa chiarezza dove lo spettatore viene continuamente sballottato in uno spazio/tempo incomprensibile che avrebbe la pretesa di narrare le vicende di un defunto, padre single, e della problematica figlia vittima di droga, violenza e omofobia.
Una trama inconsistente portata in scena con un pot-pourri di personaggi rubacchiati qua e là dall’opera di Collodi, che mette a dura prova anche la più tenace voglia di comprensione da parte dello spettatore.
Personaggi astrusi che entrano ed escono dalla scena senza una solida motivazione. Fossero stati scortati sul palco un gatto e una volpe reali, il quesito sarebbe stato comunque il medesimo: perché?
E da questo non salva neppure la nota in un comunicato stampa che ho ricercato in rete dove, cito testualmente, “I personaggi di Geppetto e Pinocchio (Il signor G e la figlia n.d.r.) perdono il loro nome in quanto starà al pubblico cogliere il parallelo con le vicende de Le Avventure Di Pinocchio”. Non spetta mai allo spettatore cogliere i parallelismi, ma è compito di chi calpesta il palcoscenico offrirglieli.
I dialoghi asfissianti, coi quali i poveri personaggi collodiani sono costretti dall’autore a interloquire tra loro, sono una cacofonia di fraseggi indecifrabili, dove tutti dicono una cosa qualsiasi e tutti rispondono fischi per fiaschi.
La confusione che regna sovrana, farcita da goffi siparietti di mimica totalmente scoordinata e da balletti raffazzonati di cui non si sentiva assolutamente il bisogno, viene accentuata dalla totale mancanza di uno schema, di un tema portante da perseguire.
Tipico esempio di teatro che si definisce presuntuosamente dell’assurdo, ma che scade miseramente per essere un “assurdo teatro”. È terribile che ancora oggi si scambi la sperimentazione con il “fare cose strane”, senza uno scopo, una ragione. Niente di più sbagliato. La sperimentazione è una precisa ed accurata ricerca di narrare una storia in modo alternativo, ma deve essere fatta con rigoroso criterio. Una cosa è salire sul palco e immergersi in cose fatte a caso solo perché ci piace farle (o non siamo in grado di farle bene), altra cosa è mettere in scena la ricerca di un nuovo mezzo comunicativo con cognizione e autorevolezza. Perché il teatro è prima di tutto comunicazione tra il palcoscenico e la platea.
L’interpretazione ovviamente non regge a causa delle sopracitate criticità dello spettacolo. Dove nessun messaggio viene consegnato, anche con tutto l’impegno e la buona volontà, la recitazione resta fine a se stessa, incapace di sorvolare il proscenio e giungere agli spettatori. Pur riconoscendo una certa professionalità dei giovani attori, i personaggi non si schiodano da un piattume a dir poco inquietante.
La mancanza di una forte diversificazione dei vari personaggi portati in scena, senza un mutamento di registro tra l’uno e l’altro, unificati, peraltro, da una cifra stilistica sempre uguale, viene risolta con un cambio costumi che di originale non ha nulla.
Incomprensibile è anche la nota sul volantino: “Sconsigliato ai minori di 13 anni”. Partendo dal presupposto che un minore di tredici anni non capirebbe nulla di ciò che viene presentato, non sono presenti scene di nudo, neppure parziale, non una volgarità gratuita, parolacce o una qualsivoglia azione violenta che potrebbe arrecare un eccesso di turbamento. Ci si chiede nuovamente perché, quindi. Scelta di marketing?
Una nota di merito va senz’altro a Veronica Nolte che, seppur lasci grossi dubbi sulla sua regia, ha donato un’apprezzabile nota di colore alla propria recitazione. Inoltre, in tutta sincerità, è amabilissimo il monologo finale della figlia del signor G dove la giovane, seduta su un tappeto d’erba sintetica, in un luogo amato dal padre, rievoca il funerale al quale non ha potuto essere presente. A fine monologo apre l’urna cineraria del defunto da cui escono, librandosi nell’aria, non ceneri, ma leggere e impalpabili bolle di sapone.
Riconoscendo i toni aspri di questa recensione, che mi sono totalmente estranei, ma che ho trovato necessari per comporre la mia analisi, resto aperto ad un confronto con la compagnia, qualora volesse spiegarmi quale fosse il reale obiettivo della messa in scena di “Goodbye Mr. G”.
Di tutt’altra stoffa è lo spettacolo proposto da Patrizia Schiavo, cavallo di razza del teatro romano, nato come risposta al suo ormai celebre IL LABORATORIO DELLA VAGINA.
PENIS PROJECT
Patrizia Schiavo indossa nuovamente i panni della “Dottoressa”, ma si sposta dentro mutande più ingombre: quelle maschili.
Penis Project, modello prototipo de “Il Laboratorio Del Pene” (che debutterà questo maggio all’Off/Off Theatre di Via Giulia, n.d.r.) si offre come contraltare del “Il Laboratorio Della Vagina” mettendo sotto processo il pene e la creatura al quale esso è… attaccato.
Presentandolo come un programma definibile di “terapia sociale”, la regista e attrice lo ambienta in una sorta di reality show. Costantemente seguiti dalla voce e dalla presenza di una terapista, Patrizia Schiavo per l’appunto, quattro uomini si spogliano (letteralmente e interiormente) degli abiti e di scomode impalcature culturali. Lo scopo non è quello di far demolire il maschio da una spietata forza amazzone e neppure di ridicolizzarlo, ma di analizzarlo e guidarlo verso una nuova forma.
Fra quiz, sedute di terapia di gruppo ed esperimenti, i quattro partecipanti scandagliano la propria virilità, esponendosi davanti agli occhi di una telecamera che li filma in presa diretta, cercando un nuovo posto in una società in piena evoluzione ancora troppo maschilista.
La Schiavo non vuole né demonizzare, né mettere a tacere il ruolo maschile. Al contrario lo lascia parlare, spingendolo oltre il limite e portandolo a confessare l’inconfessabile. Passando attraverso violenze, timidi amori, rabbie, fragilità, incertezze di ruolo, la Dottoressa accompagna gli uomini (e le donne) in un acervo di nozioni sul pene provenienti da differenti epoche e luoghi del pianeta. Il pene come forza vivificatrice e feconda, essere mutevole ed erettile, universalmente sacrale e rappresentato ovunque, immersi come siamo in un fallocentrismo che trova corrispondenze sia in natura che nel nostro quotidiano.
Questo fallocentrismo si manifesta nella società anche nelle sue forme più corrotte e meschine, come una malattia interiorizzata e funesta che miete vittime in ambo i sessi, soggiogati da un patriarcato che fatichiamo a sradicare, sia dentro che attorno a noi.
Durante tutto lo spettacolo non si sosta mai su un solo tema emotivo. La Schiavo tesse opere ricche di sfumature, crea viscerali voli pindarici inserendoli in un caleidoscopio multisensoriale. Mescola la comicità alla tragedia, il grottesco (nell’accezione positiva del termine) ad un moderno linguaggio teatrale.
La messa in scena è curata e l’opera riflette perfettamente l’iconica firma dell’autrice. La regia è penetrante e si diffonde sul palcoscenico con grande maestria. Siamo di fronte a scelte raffinate, come quella di riprendere con una telecamera lo spettacolo e proiettarlo su uno schermo posizionato sul fondale. Un occhio che punta il palco, e proietta ciò che vede in un doppio di voyeurismo ed esibizionismo.
L’aggiunta di contributi video e musicali si fonde perfettamente alla drammaturgia, sostenendola senza spezzarne il ritmo.
La recitazione ha una marcata presenza stilistica, resa respirabile dalla libertà degli attori di parlare nei propri dialetti e con le proprie sfumature, senza soggiogarsi a una dizione costrittiva, rendendo i personaggi più comuni e avvicinabili dal pubblico.
La stessa regista entra ed esce dalla scena, altezzosa come una regina e materna come una Madonna, interagendo con i suoi “pazienti” senza nessuna remora. L’interpretazione di tutto il cast è carnale, precisa, calibrata e altamente professionale.
Questo spettacolo è un’opera di grande spessore, esempio di come si può maneggiare il teatro cercando nuove formule e nuovi strumenti di comunicazione. Dove la narrazione sa essere chiara e lo scopo preciso. Un divertissement che sa girare pagina e far sprofondare lo spettatore in un teatro intimista e talvolta toccante. Schiavo prende tutto quanto e lo piazza sul tavolo creando un puzzle emotivo da costruire non solo con gli attori, ma anche con il pubblico, coinvolgendolo astrattamente a partecipare, ora ridendo, ora riflettendo.
GOODBYE MR. G
Aliens With Extraordinary Abilities
drammaturgia Eric Paterniani
regia Veronica Nolte
con Eric Paterniani, Giulia Martinelli, Veronica Nolte e Leonardo Maltese
musiche di Lodovico Zago
creato da Valeria Iacampo, Veronica Nolte, Eric Paterniani
in collaborazione con Vox Animi
Info Penis Project
Compagnia Nuovo teatro
con la collaborazione del Cam (Centro ascolto uomini maltrattanti)
Drammaturgia e Regia: Patrizia Schiavo
Attori in scena: Filippo Carrozzo, Antonio De Stefano, Emanuele Durante, Tommaso Lombardo, Patrizia Schiavo
Attori in video: Gabriele Ansini, Mimmo Chianese, Alessandro De Feo, Michele Fazzitta, Osmìn Lima Espinosa, Jacopo Mauriello, Eugenio Marinelli, Oronzo Salvati, Simone Veltroni
e con la partecipazione di Andrea Bernetti, psicoterapeuta fondatore del CAM (centro di ascolto uomini maltrattanti) di Roma
Video: Giulia Brazzale
Sound: Alessandro Capone
Scenografia: Marianna Ferrazzano
Aiuto regia: Sarah Nicolucci
Collaborazione: Silvia Grassi, Davide Romeo