LA VOCE UMANA @Teatro di Documenti: il file rouge di una moltitudine

Nel febbraio del 1930 lo scrittore e drammaturgo francese Jean Cocteau presentò alla Comédie Française una drammaturgia inedita intitolata La Voix humaine, un tentativo di rappresentare la relazione tra due persone attraverso un solo personaggio.

Questo esperimento continua al Teatro Di Documenti, dal 17 al 22 ottobre, con la voce umana dell’attrice Siddhartha Prestinari, guidata dalla regia di Rosario Tronnolone.

Un atto unico che racchiude ed esprime in meno di un’ora il dolore della solitudine e la disperazione dell’amore umano, attraverso un’unica voce che sembra universale. 

Sono passati circa sessant’anni dalla morte dell’autore, ma la “La voce umana” che ci ha regalato, perpetua una potenza relazionale incredibilmente capace di farci catturare e riconoscere ancora.

L’amore di Cocteau, incarnato nel corpo e nella voce di Siddhartha Prestinari, non è un’amore giovane e spensierato.

Piuttosto, è un amore corroso dal tempo e denso di sofferenze, intrecciato in un passato a tratti sfuggente ed ignoto e in un presente fatto di solitudine e malinconia.

Un amore vertiginoso, che trattiene le lacrime ed esplode in un riso apparentemente isterico, ma che probabilmente è stato vissuto dagli spettatori in sala. Ed è questo aspetto che lo rende umanamente condiviso e compreso, più di uno scontato lieto fine.

Sul palco bianco del Teatro Di Documenti, Prestinari si staglia come unica forma di colore, una presenza oscura isolata, o rinchiusa, all’interno di una stanza. Dal setting teatrale agli oggetti scenografici, tutto è bianco, limpido e fastidiosamente puro. E a macchiare questo candore, un corpo che si trascina a fatica da un punto all’altro della stanza, trascinando con sé ciò che resta del suo amante: il ricevitore di un telefono.

Un corpo che porta avanti la storia di un amore passato, che ha ancora delle cicatrici molto sanguinose. L’amore tra questi personaggi è ancora vivo, superstite nei ricordi e nella paranoia della donna che ha una voce ma non un nome, che non si sente più chiamata, e che potremmo essere tutti/e. 

La voce umana parla ad un oggetto inanimato, muto, inerme: un telefono.

Il telefono che diventa simbolo di un muro quanto di un ponte di collegamento, uno strumento a cui siamo sempre più legati e dipendenti, tanto da non soffermarci più di tanto sulle sue sfumature. In fondo, oggi come allora, ci divide o ci avvicina? Non sarebbe corretto dare un’unica risposta, e Prestinari ci mostra abilmente la sua duplice identità e il suo mutevole effetto. Un personaggio dalle lacrime vive e dai sorrisi spenti, fatica a rimanere aggrappato alla vita stessa, che per il momento porta il nome di un uomo.

LA VOCE UMANA DI PRESTINARI

La sua voce calda, articolata e ben modulata sembra perfetta per rappresentare quest’opera, per accompagnare gli spettatori all’interno di un viaggio che ha in superficie un solo protagonista, e che sia eroe o vittima non fa alcuna differenza.

La sua bravura e la preparazione di Prestinari si è manifestata in diversi punti: non solo nei momenti in cui portava avanti la narrazione, ma anche nei silenzi e nella modulazione dell’espressione emozioni

Ogni singola parte del suo corpo stava comunicando, non solo la sua voce, in un insieme di contrasti tra verità e apparenza che muoveva sinuosamente la scena e permetteva al pubblico di entrare nella sua turbolenta emotività.

Sebbene il nome stesso dell’opera punti l’attenzione sulla voce della protagonista, i momenti di silenzio riempivano la narrazione tanto quanto la parola, caratterizzati da un ascolto attivo e affamato che faceva quasi immaginare l’interlocutore del telefono.

Siddharta Prestinari, attraverso una regia semplice e pulita di Rosario Tronnolone, ha dato vita non ad un solo personaggio, ma a due contemporaneamente, ma soprattutto alla loro forma di legame, una relazione che non parla solo d’amore o di divisioni, ma anche di individualità e di moltitudine.

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