«Solo la paura non si può condividere con gli altri e mai scompare del tutto.» Pubblicato da Ensemble, presentato alla Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria di Roma (www.gufetto.press)Var è la catartica e intensa opera, la prima tradotta in Italia, di Saša Stojanovic, divenuto una vera e propria istituzione letteraria in Serbia grazie ai numerosi premi conquistati e all'ideazione e direzione di un festival e di una rivista letterari.
Il lavoro di Stojanovic rappresenta uno sguardo lucido e irriverente sulla guerra, su come questa si insinui spietata non solo a cambiare la vita delle persone ma la loro stessa visione del mondo, nonostante la resistenza che possano opporre. Nello specifico, il conflitto è quello del Kosovo di fine anni '90, ma la visione di Stojanovic potrebbe essere applicata a tutte le guerre.
Il libro non ha una vera e propria trama, ma si presenta come una narrazione evangelica per mano dei quattro evangelisti canonici: Matteo, Marco, Luca e Giovanni, più i due apocrifi Maria Maddalena e Giuda.
I sei narratori raccolgono da trenta persone diverse (trenta come i denari del tradimento di Cristo, trenta come i capitoli del libro) il racconto della stessa persona, Carli, il reale protagonista: da ogni versione emerge sempre la figura di un uomo dall'alto profilo culturale, dotato di coraggio e scarsa considerazione delle gerarchie militari, la cui autorità esiste solo grazie alla guerra e che in tempo di pace non varrebbe nulla.
Carli è un uomo «affetto da febbrile indipendenza intellettuale» che resiste, che non abbassa la testa, ma non potrà non uscire spezzato anche lui dal conflitto.
E tuttavia, ognuno dei personaggi interpellati dagli evangelisti a suo modo resiste. Proprio in loro è evidente l’abilità dello scrittore di dare voce a realtà diverse e si percepisce una profonda sensibilità che gli permette, ad esempio, di immedesimarsi anche in una donna costretta a prostituirsi.
Var racconta spaccati terribili, forti, da pugno nello stomaco, e lo fa nel pieno rispetto delle vite coinvolte nella narrazione, senza edulcorare ma anzi esaltandone l'autenticità, con una vena pressoché neorealista. Perché Saša Stojanovic vuole condurci, senza peli sulla lingua, a un'analisi che prenda in considerazione ogni angolazione possibile: proprio per questo fa parlare tutti.
Fanno da contraltare le voci degli evangelisti, la cui missione di inseguire la verità appare quasi vana, poiché cercata nelle ragioni della guerra e non in quel che ne consegue, ovvero la devastazione di vite e di sogni, e il vuoto che ne rimane, dove facilmente si insinuano ulteriori insicurezze e conflitti.
Con un fare quasi arido, distaccato, gli intervistatori non tollerano digressioni e si ostinano a tornare sull’obiettivo della loro ricerca, trascurando quanto gli uomini abbiano un disperato bisogno di condividere, che altro non è, se non il primo mezzo per giungere alla verità.
Conoscendo la storia di Stojanovic, si coglie la sfumatura autobiografica dell'opera. Ma il valore letterario del libro, rafforzato dallo stile – originalissimo se pensiamo ai numerosi cambi di registro dovuti alle differenti voci narranti, grazie ai quali anche il profferire insulti può acquisire un tono elevato – non è in secondo piano rispetto al suo valore documentario. In questo senso, una menzione va anche alla traduzione di Anita Vuco, per la quale riuscire a restituire in altra lingua le diverse sfumature che caratterizzano e individuano le singole voci, deve aver costituito una vera e propria sfida.
La penna di Saša Stojanovic non ammette sbavature. Ad ogni personaggio spetta il suo dialetto e ad ogni fatto descritto la sua vivida rappresentazione, ed è questo lo strumento attraverso cui l'autore dichiara l'unica verità della guerra: la sua ingiustizia.