Ricardo Menéndez Salmón, BAMBINI NEL TEMPO (Una cosa piccola ma buona)

Premio Juan Rulfo per I cavalli blu, ultimo racconto della raccolta Gridare, lo scrittore spagnolo di nascita e internazionale quanto a fama Ricardo Menéndez Salmón nel 2014 ha dato alle stampe Bambini nel tempo, tradotto in Italia da Claudia Tarolo per Marcos y Marcos (2015). Un libro complesso, che guarda alla vita, al dolore e alla morte attraverso la letteratura.

Romanzo composto di tre capitoli, tre racconti autonomi eppure interrelati – La ferita, La cicatrice, La pelle –, Bambini nel tempo mutua il titolo da un altro romanzo, quello di Ian McEwan, del quale condivide lo stesso tema centrale: la scomparsa di un bambino, la perdita di un figlio. Se ne distanzia, tuttavia, nella misura in cui il protagonista coincide con il narratore-scrittore Antares: con una figura, cioè, che non può fare a meno di guardare alla propria vita senza riflettere sulla narratività di quanto in essa accade, dalla quale discende la forza metaletteraria del romanzo.

Attraverso i tre capitoli, Bambini nel tempo racconta il dolore lacerante della perdita di un figlio e della conseguente irreparabile frattura nella coppia di genitori, Elena e Antares (La ferita); il desiderio da parte di quest’ultimo di restituire, raccontandola, un’infanzia negata, ossia quella di Gesù, e di colmare così un vuoto, riparare un danno che in entrambi i casi può trovare risarcimento solo attraverso le parole (La cicatrice); la restituzione, infine, di ciò che va perduto con la più incomprensibile delle perdite, sotto nuove spoglie (La pelle). Il tutto non solo legato assieme dal motivo, trattato con enorme sensibilità e cura, dell’infanzia (interrotta, dimenticata, incipiente) ripreso e variato nelle tre parti, ma anche passato al vaglio della letteratura, qui intesa come l’insieme delle opere lette, amate, studiate dal protagonista; come professione che lascia un segno profondissimo e indelebile sulla sua identità; come strumento di difesa dalla vita, esorcismo, esercizio di analisi e comprensione della realtà e dell’umanità circostanti, seppur non sempre efficace.

«E si chiese se per caso la letteratura non fosse che un’altra forma di religione, un’altra pratica superstiziosa per combattere la morte con un’arma fantasmagorica: la parola. I suoi libri gli parvero lì in quel minuto di pace dentro la chiesa, come l’ennesimo grido umano nella lotta contro il destino comune.»

Lasciando da parte il titolo e la breve ma intensa sintesi del racconto di Carver (Una cosa piccola ma buona, anch’esso incentrato sulla perdita di un figlio), Salmón chiede al suo personaggio di riflettere sul senso del fare e del fruire la letteratura, sui suoi limiti di fronte all’abisso che si spalanca talvolta nella vita e, ciò nonostante, sulla sua inevitabilità. Antares reagisce al dolore infertogli dalla morte prematura di suo figlio scrivendo un libro: quasi una colpa, per un padre che riesce a trovare un modo per sopravvivere, anziché cedere alla follia. Dopodiché, forse a simboleggiare lo smarrimento di chi ha sempre creduto nel potere delle parole e l’impotenza della scrittura di fronte al dolore più devastante, lo stesso Antares – la stella più luminosa (il “cuore”) nella costellazione dello Scorpione, il dimenticato – si cela nell’isola di Creta con un altro nome, avendo sepolto insieme al figlio, all’amore, alla vita, anche “l’unico bagaglio” di cui materialmente non aveva osato disfarsi: il libro sull’infanzia di Gesù. Nell’isola greca, colma di echi letterari anch’essa, Antares si riconcilia con una vita che si era conclusa con la morte e la separazione, ritrova la fiducia nelle parole e nella scrittura, e ritorna a nuova vita grazie alla donna che porta in grembo il piccolissimo pesce che sarà un bambino.

«Tu hai senso solo come narrazione»; «la vita ha senso solo come narrazione». Se consideriamo le acquisizioni teoriche di Jerome Bruner – capofila della psicologia culturale – sull’importanza della narrazione quale strumento di costruzione della realtà e dell’identità personale, di attribuzione di significati al mondo e alle esperienze che impediscono loro di travolgerci, il romanzo di Salmón può essere considerato il racconto di un corpo a corpo con la vita e con la letteratura, che quasi coincidono. Il bisogno di comprendere, riscattare, metabolizzare, ricordare, la salvezza e la consolazione, tutto viene cercato nell’atto ancestrale del narrare.

Con lo stile ineccepibile, la prosa espressiva e perfettamente commisurata al tono dolente della storia e al ruolo di primo piano assunto dalla letteratura – quasi un personaggio tra gli altri – di Bambini nel tempo, Ricardo Menéndez Salmón consegna ai lettori “una cosa piccola ma buona”. Scrivere e leggere sono “una cosa piccola ma buona”, per dirla ancora con il pasticciere del racconto di Carver.

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