Pubblicato da Meridiano Zero, L’estate più piovosa di Milano è il romanzo d’esordio del giornalista Pierluigi Spagnolo.
L’estate più piovosa di Milano è una di quelle pensioncine arredate con poco gusto, che per ragioni di forma – forse l’aggiunta di un televisore – ottengono una terza stella, immeritata. È perlomeno questo l’effetto che sembra dare il libro al momento del check-in, quando all’apertura della porta già si annusa l’aria stantia del solito immaginario da finestra chiusa. All’abbandono, ripresi i pochi bagagli di un soggiorno che sapevamo breve, con l’animo riposato di chi finalmente torna a casa, ci si volta e si nota l’orwelliana epigrafe d’entrata che prima era sfuggita: «Nell’epoca dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario». Allora il quadro si fa più chiaro. Lasciamo la metafora e andiamo al testo.
Da Orwell al sottotitolo si palesa l’intento editoriale nella specifica volontà di collocare il romanzo entro le direttive dell’opera-denuncia, della fiction informativa, che in termini commerciali significa offrire un prodotto milanese su vicende milanesi nel prima e nel pieno della clamorosa esposizione milanese. Allora, almeno per ragioni di competenza, si dovrà preparare il lettore a non ricevere ciò che comprerà. Il libro di Spagnolo non è un’indagine romanzata. Si può senza troppi scrupoli attribuire il fatto all’audacia sfrontata dell’editore più che all’autore, e di questo si potrà immaginare facilmente il retroscena.
Il romanzo narra quattro storie parallele, condotte a un incrocio finale nel quale si svolge la parte più interessante del romanzo e anche meglio proposta. Forse avrebbe funzionato come racconto, in una versione più scarna e concisa. E difatti uno degli elementi più difficili a superarsi durante la lettura è questa abbondanza voluta, che non è solo un difetto dell’intreccio. L’opulenza descrittiva stanca. Poi gli ammiccamenti continui a menti medie, moraliste, compiacenti. Lo sguardo su «esistenze ai margini e di storie difficili» è troppo centrato e altrettanto facile. Non c’è alcuna proposta di complicazione, le vicende sono come si sono sempre immaginate, lo scenario angoscioso che si vorrebbe restituire è di un grigiore non necessario, eccessivo, scontato. L’occhio è costretto a un bagno di realismo sfacciato, dichiarato, ma ripetutamente smentito dall’ovvietà delle scelte tematiche e sceniche di finzioni prese in prestito. Espressioni stereotipate, stilemi stereotipati, immagini stereotipate. È un prodotto tipografico, non creativo.
Nota di merito va alla regia del testo. L’organizzazione offre una modalità frammentaria, affiancata, sovrapposta delle vicende che in qualche modo aiuta il testo a presentarsi vivace e attraente. Nonostante le mancanze qui notate, per una lettura leggera, disinteressata, senza pretese d’arricchimento, il romanzo di Pierluigi Spagnolo può prendere posto sul comodino e poi essere magari regalato a un amico un po’ antipatico. Io lo consiglierò a tutti i miei prediletti.