Morgan Lost: non restate soli al buio

Ucronie e visioni distopiche in tricromia, citazioni cinematografiche e letterarie, ma anche elementi di sopraffina detection combinati con un “thrilling” dai perversi virtuosismi. Il nuovo personaggio di casa Bonelli si presenta sin dalle prime pagine con uno sfoggio introduttivo da capogiro, consegnando le proverbiali carte in regola per assurgere a folgorante novità editoriale nel panorama fumettistico. Il nome con cui si fa chiamare è Morgan Lost, e invita tutti i suoi lettori a “non restare soli al buio”: uno slogan che, negli ultimi mesi, non soltanto ha lanciato la campagna di presentazione ma anche lasciato trasparire – attraverso i social, facebook in primis – la perfetta caratura autoriale di cui sono impregnate le sue storie.

Il creatore, inventore e “padre” di questa nuova sfida a fumetti risponde al nome di Claudio Chiaverotti, il quale, per chi si fosse sintonizzato con trent’anni di ritardo fra le pagine del fumetto seriale, rappresenta uno degli scrittori più prolifici e visionari nel paesaggio italiano della letteratura disegnata: sono sue, infatti, alcune fra le storie più apprezzate e riuscite nel cosiddetto “periodo d’oro” di quell’icona a fumetti nota come Dylan Dog; ma non soltanto: perché la sua prima e meravigliosa creatura, il cavaliere di ventura Brendon, ha appassionato migliaia di lettori attraverso un poetico e sognante scenario post-apocalittico.

Proseguendo nell’analisi di Morgan Lost, per prima cosa, non si può non notare un’importantissima novità: l’utilizzo della tricromia, che in questo caso avviene attraverso l’aggiunta del colore rosso alle tonalità del grigio e al classico bianco e nero. Se l’effetto inizialmente potrebbe ricordare quel capolavoro che è il “Sin City” di Frank Miller, in realtà Morgan Lost sperimenta in direzione volutamente diversa: l’elemento del rosso, infatti, non è semplicemente utilizzato per “spezzare” l’armonia dei disegni ma, in questa fattispecie, assume una valenza quasi pittorica e, di conseguenza, la colorazione impregna le ambientazioni della storia trasformandosi da orpello estetico a elemento che assume un impatto narrativo vero e proprio. Morgan Lost è infatti daltonico e, attraverso il filtro della tricromia, ci viene mostrato il mondo del protagonista attraverso i suoi occhi. E non solo: l’immaginaria e ucronica città di New Heliopolis – dove è ambientata la storia – non è una mera presenza “scenica” ma diventa essa stessa personaggio.

Per capire meglio questo valore aggiunto, cercando di evitare “spoilerosi” riferimenti, basti sapere che le vicende sono ambientate in una distopica e oscura metropoli degli anni ’50 in cui le tecnologie e la burocratizzazione sono inversamente simili a quelle dei nostri giorni. Muovendosi attraverso raffinate metafore, l’autore Chiaverotti, infatti, riesce a dosare sapientemente alcuni elementi di feroce critica sociale: nel telegiornale “JackPoker”, ad esempio, viene mostrato in tutta la sua grandezza, o bassezza, un orwelliano potere dei mass-media dove i Serial Killer vengono considerati alla stregua di novelli tronisti o di star acclamate. Emblematica, sotto questo punto di vista, la frase rivolta da una fan a un serial-killer: “Sei bellissimo, Wallendream, vieni a uccidere anche me!”.

Se proseguiamo l’analisi narrativa, emergono, come detto in apertura, numerosi elementi cinematografici; soprattutto nella natura stessa della vicenda che, attraverso un crescendo di “flashback” scontornati da vignette bordate di rosso, arriva a implodere con tutta la sua valenza narrativa in uno strepitoso finale “cliffangher” diviso in due tempi. Esattamente come in un film. Per non parlare delle numerose e gustosissime citazioni che evitiamo di elencare per non rovinare il piacere della sorpresa: di par nostro, i riferimenti più apprezzati sono quelli a “Metropolis” di Fritz Lang e a “Blade Runner” di Ridley Scott. Senza dimenticare alcuni personaggi “sopra le righe” e decisamente tarantiniani, ma anche la vertiginosa velocità del ritmo narrativo – come in un John Carpenter d’annata – che si scaglia in pieno sin dalle primissime battute: quasi a voler ricordare, per citarne uno, il film “The Fog”, dove non si ha nemmeno il tempo di leggere i titoli che si entra subito nella vicenda.

Last but not least, un applauso a scena aperta è da dedicare ai sontuosi disegni di Michele Rubini che, ne siamo sicuri, avrà avuto non poco filo da torcere per rappresentare graficamente i serratissimi e continui cambi di scena, insieme ad alcuni perversi piani di inquadratura partoriti dalla mente di Chiaverotti. Tanto per fare un esempio, vedasi la terza vignetta di pagina 21 con una bellissima soggettiva di Morgan Lost intento a scovare un serial killer nascosto tra i manichini; oppure, per restare in tema di “regia”, l’ultima vignetta di pagina 13 che conclude la rappresentazione di un efferato omicidio, con l’inquadratura che si sposta in esterno sull’edificio dove – attraverso la finestra – si intravedono vittima e assassino: praticamente, una sorta di “dissolvenza” cinematografica per la pagina successiva.

Si potrebbe continuare ancora a lungo, ma si rischierebbe di rovinare il piacere della sorpresa. Unico avvertimento durante la lettura: non restate soli al buio!

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