LA GENERAZIONE DEL DESERTO di Lia Tagliacozzo @ Manni Editori: dalle storie alla Storia, rammemorando per l’oggi e il domani

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Non un semplice libro sulla Shoa – se semplice può essere un qualsiasi libro sulla Shoa– ma un percorso a ostacoli, duro e doloroso per chi ha scritto e per chi legge; una ricerca costante di verità che forse non avrà mai fine, ma che spinge a non dimenticare il passato, a non chiudere gli occhi sul presente oggi.

“Per noi, prossimi ad uscire dal deserto, è una ferma chiamata alla riparazione del mondo come responsabilità individuale e collettiva. Senza scordare i nomi sulla colonna infame. Senza scordare i giusti che agirono per il bene. Per noi e per il mondo intero un po’ di gentilezza”

In questo articolo:

Storie di famiglia nella Storia che incombe

Lia Tagliacozzo, autrice di La generazione del deserto edito da Manni, è una donna e una scrittrice che, con forza e con grazia, ha scelto nel corso degli anni di raccontare la storia della sua famiglia, anzi delle sue famiglie, come lei stessa afferma.

I suoi nonni, sia per parte materna che per parte paterna, e i suoi stessi genitori hanno vissuto la Shoa; a voler essere precisi, perché la precisione è necessaria in tempi in cui il politically correct ci porta a tollerare anche prese di posizione ed esternazioni ambigue, scaltre e poco convincenti, le due famiglie hanno innanzi tutto vissuto l’orrore e la vergogna tutta italiana delle leggi razziali del 1938, venendo esclusi dal lavoro, dalla scuola e progressivamente costretti a nascondersi e a fuggire.

Tagliacozzo racconta tutto questo ma non solo: le sue parole ricostruiscono il clima e le scelte di tante altre persone che, in quei tempi oscuri, hanno preso posizione, chi collocandosi fra i giusti, chi fra gli infami.

Attraversare il deserto

Oggi chi racconta è la seconda generazione di quelle famiglie che, sopravvissute in qualche modo alle persecuzioni, hanno tentato di ricostruirsi, consapevoli dei buchi incolmabili lasciati dall’orrore. Lia Tagliacozzo non ha vissuto quegli anni, è nata e cresciuta in un'epoca di pace ma ha scelto di proseguire il racconto dei testimoni, sentendo il peso della storia personale e collettiva.

Tutto il volume si racchiude intorno a questa metafora tratta dal Pentateuco: gli ebrei, guidati da Mosè, attraversano il deserto per raggiungere la terra promessa, un viaggio pieno di prove e ostacoli; in questo lungo tragitto, Dio dona loro le Tavole delle Leggi per insegnare che essere liberi significa assumersi la responsabilità di seguire o meno i suoi dettami.

E oggi, cosa significa attraversare il deserto? È una risposta complessa, perché riguarda la propria schiavitù interiore, il modo in cui ognuno di noi la affronta per emanciparsi, per assumersi la responsabilità di essere liberi, soprattutto per chi, come la nostra scrittrice, si trova di fronte all’eredità dell’essere figlia di sopravvissuti.

Ecco che allora questo volume, così imponente nei suoi contenuti e nel tenore con cui tutto viene raccontato, diventa per lei e, di riflesso, per il lettore un percorso duro e doloroso attraverso domande difficili da fare e risposte che forse non arriveranno mai, attraverso emersioni improvvise che aprono squarci nel processo di ricostruzione e che spingono a continuare a interrogarsi.

La storia dunque non è fissata nel tempo, immobile e indifferente, ma si propaga fino all’oggi e ci aiuta, tutti indistintamente, ad attraversare il deserto.

Arnaldo Tagliacozzo: raccontare per ribellarsi all’infamia e all’oblio

Ecco allora che le storie familiari di Lia Tagliacozzo assumono anche per noi identità e risvolti profondamente diversi.

Arnaldo Tagliacozzo è il nonno paterno, proprietario di una sartoria, viene venduto ai nazifascisti che occupavano Roma da un infame, E. G.: viene catturato, passa da Fossoli (campo di internamento italiano), arriva ad Auschwitz dove muore come molti, troppi esseri umani innocenti. Arnaldo aveva già una moglie e tre figli e aveva già vissuto, prima della cattura, una tragedia legata alle persecuzioni.

Il 16 ottobre 1943, il giorno del rastrellamento del ghetto di Roma, i nazifascisti avevano portato via sua madre Eleonora, suo fratello Amedeo e sua figlia Ada, una bambina di otto anni. Di loro si sa che finirono ad Auschwitz, la loro fine possiamo immaginarla.

“Di lei come degli altri deportati della mia famiglia so solo come sono morti. In questo l’infamia nazista ha vinto: non ha cancellato la memoria della loro morte, ma quella della loro vita”.

Ed è vero, della loro vita tutto sembra essere perduto e per questo lo sforzo tenace e insopprimibile di ricostruire quel che si può è un atto di coraggio e di ribellione, perché quelle vite non siano solo silenzio.

Storia di un giusto

Tacere è però, per chi è sopravvissuto, un mezzo con cui salvarsi. Molti testimoni, prima di parlare, hanno aspettato: certo è che raccontare non è facile, ricostruire l’orrore vissuto scava nel profondo e non è detto sia una liberazione.

Il silenzio è anche un patto per proteggere chi è venuto dopo di loro, come la stessa Tagliacozzo afferma parlando della famiglia Cividalli, il ramo materno. Una famiglia lacerata come tutte le altre da perdite incolmabili, nonostante sia riuscita a scappare in Svizzera.

Come? Semplice, per l’intervento di un Giusto, Giuseppe Dani, che ha scelto di proteggere, aiutare e sostenere quella famiglia e lo ha fatto perché era quello che bisognava fare.

Ecco allora che noi, nati e cresciuti nell’Europa unita e senza confini, ci dobbiamo chiedere cos’è il bene? Perché la verità è che il male è banale, come dice la stessa Hannah Arendt: noi immaginiamo il cattivo di turno pronto a distruggere tutto e tutti, un essere inarrivabile. Ma la Storia ci insegna invece che chi commette il male è spesso un uomo grigio, privo di qualsiasi peculiarità, un piccolo essere umano incurante, che segue il flusso degli eventi senza porsi alcun dubbio, alcuna domanda. Il bene invece richiede spinta volitiva, fede in ciò che si è, capacità di scegliere e di chiedere.

Il male non è coraggioso. Il bene lo è, sempre.

Cosa resta?

È partendo da qui che bisogna ri – cominciare.  LA GENERAZIONE DEL DESERTO non è semplicemente un libro sulla Shoa, è molto di più. Lia Tagliacozzo racconta quella che è la sua stessa storia con uno sguardo partecipativo al presente, perché non serve a nulla il ricordo se questo ricordo non mette radici nelle coscienze dell’oggi, se questo ricordo non fiorisce e non spinge ad agire perché davvero non accada più. La memoria non è un atto sterile, che dura un giorno, ma è un continuo gerundio, esiste “solo se è continuamente compientesi e mai atto compiuto. Richiede sforzo di cuore, riCORdarsi, e di testa, ramMENTare”.

Solo così, in questo sforzo lungo come la Storia collettiva e individuale, possiamo poi agire nel nostro presente, creare un atteggiamento che in sé abbia tenerezza e rispetto per ciò che è stato e una chiara, precisa presa di posizione nel presente. Se è vero che noi siamo figli di ciò che è stato, è anche vero che siamo più anziani di chi ci ha preceduto, perché sulle nostre spalle c’è la coscienza rammemorante del passato, nel bene e nel male. Ed è proprio qui che si cela la nostra responsabilità: dobbiamo costantemente ricordare che siamo liberi solo se partecipiamo all’oggi, se continuiamo a interrogarci sull’oggi, se, in un mondo in cui certi orrori sembrano bussare di nuovo, non li banalizziamo, ma li guardiamo in faccia e facciamo quello che va fatto, scegliamo il bene perché “non debba più accadere”.

CASA EDITRICE: Manni Editori

AUTRICE: Lia Tagliacozzo

COLLANA: Pretesti

ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2020

PREZZO: euro 16,00

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