Là€ DOVE FINISCE LA TERRA di Dà©sirà©e e Alain Frappier @ Add Editore: la memoria del Cile di ieri per capirne l’oggi

Là dove finisce la terra sembra una normale graphic novel, ma è molto di più. Parla del Cile, il cui etimo potrebbe ricalcare il titolo del libro, narrato dal protagonista Pedro Atías Muñoz, un esule cileno. Al suo sguardo si sovrappone quello dei due autori francesi, Désirée e Alain Frappier, che trasfigurano la sua biografia per mezzo di una ricerca stilistica inesausta, volta a emozionare come un viaggio a piedi nudi nella Storia. Non è per caso che in Francia certi fumetti si chiamano romans graphiques.

Su quest’opera aleggia come un santo protettore (seppur mai citato) Proust, evocato fin dalla scelta del narratore autodiegetico. L’autore della Recherche invitava a dotarsi di nuovi occhi prima di avventurarsi in luoghi esotici; e infatti i Frappier rimettono in discussione il loro sguardo, imbevuto di cultura occidentale, per poter rileggere una pagina di storia che a loro non apparterebbe, finché, grazie alla potenza creativa del racconto, riscopriranno il tempo ritrovato del narratore.

Pedro Atías Muñoz si trova ormai da tempo in esilio in Francia, quando incontra gli autori a una cena fra amici. Da lì comincia il gioco di coincidenze che avvicina in poco tempo i tre, fino ad arrivare a questa splendida rilettura della memoria del Paese posto ai confini del mondo. Si tratta di una manciata di decenni che precedono di poco il Cile di Pinochet. Ma sono appunto gli anni in cui Pedro vede formarsi la sua coscienza di cittadino responsabile e fermamente socialista, lui che è nato in una famiglia abbiente della sinistra colta, lui che fin da bambino adora quel padre giornalista, impegnato a condannare le iniquità di una nazione ricca ma ingiustamente governata.

Il sottotitolo recita Cile 1948-70, ma lo spazio temporale coperto è ben più ampio. Come già la Yourcenar prima di lui, Pedro non è in grado di rispondere alla domanda primigenia postagli dagli autori, “Dov’eri la sera dell’11 settembre 1973?”, se non riannodando fin dove possibile i fili della sua storia familiare. Tutto ebbe allora inizio con il viaggio del nonno paterno, quell’Antonio Atías che, partito nel 1900 dal Libano, ricca provincia dell’Impero ottomano, voleva tentare la fortuna negli Stati Uniti, ma scese alla fermata sbagliata.

In Cile il nonno venne sempre chiamato turco, a rimarcare il fatto che fosse uno straniero, per quanto circondato da discendenti di altri stranieri. Per restituire il giusto spessore all’antenato, il simbolo dell’albero genealogico della famiglia è quindi un maestoso cedro del libano. Il destino del nonno, sradicato dal Medio Oriente e mai veramente accolto nel Nuovo Mondo, si è poi riflesso come una maledizione sul figlio e sul nipote, ma anche sui tanti che, come Sepulveda, riusciranno a salvarsi dalla feroce dittatura realizzata grazie al forte sostegno della CIA. Per tutti loro il futuro avrà il sapore amaro dell’esilio. Ma è proprio l’insanabile contraddizione esistenziale dell’esule, mai a casa in nessun luogo, che forse ha permesso a Pedro di coltivare con forza i ricordi dei suoi anni cileni. E in Francia, terra che ha elevato la memoria a materia filosofica, quando è ormai anziano conosce i Frappier, durante una cena che riecheggia il più celebre tè con petites madeleines.

Di fronte a questo prezioso crogiolo di ricordi, la maestria dei due autori sviluppa il racconto attraverso vari stili e linguaggi iconici. Dal disegno realistico ai toni struggenti dell’acquerello, dalle fotografie ritoccate alla composizione di collage, dalla resa panoramica in stile giapponese a pagine quasi totalmente bianche o nere, ma in cui l’occhio è invitato a cogliere almeno un elemento di dissonanza, come in un gioco di abilità. Tante sono le tecniche messe in atto dai Frappier per ricostruire un caleidoscopio di esperienze individuali, intrecciate a momenti cruciali della Storia del secondo dopoguerra. Perché il Cile è stato probabilmente il più importante esperimento di anti-rivoluzione delle Americhe. Il governo di Washington, dopo lo smacco subito a Cuba, ha regalato al Cile non solo la più longeva delle dittature militari del Sud America, ma anche l’attuazione del feroce neoliberismo del professor Friedman. Ai suoi Chicago boys è toccato l’onere del radicale smantellamento del welfare cileno, tanto che ancora oggi – e le rivolte del 2019 lo testimoniano – l’eredità di Pinochet fa sentire i suoi gravosi strascichi: sanità e istruzione private costosissime e sempre più carenti, pensioni sotto la soglia di povertà, impunità dei corrotti. Il Cile di oggi è nato nel 1973, quando è stato distrutto il sogno di Allende.

La varietà stilistica cerca di ricalcare l’ampio spettro esperienziale del protagonista, sorprendendo a ogni pagina il lettore, fino al confine ultimo della terra. L’imponente paesaggio del Cile è ritratto in una tale maestà, da far quasi dimenticare per un attimo gli intrighi della Guerra fredda e i cantieri in costruzione della dittatura. Alla ricerca di un rapporto profondo con il suo Paese, Pedro si incammina per andare a vedere quei confini imbevuti di silenzio e immensità: 1035 chilometri percorsi a piedi, a cavallo, in autostop e infine in nave. Durante questo viaggio, egli comprende il divario che lo separa dai suoi compagni di scuola, imbevuti di pregiudizi e quindi incapaci di socializzare con un’umanità più vicina alla natura. L’avventura qui si colora dei toni riflessivi del Bildungsroman politico, che ricalca in parte i Diari della motocicletta di Che Guevara, eroe ammirato e teneramente rimpianto da un Pedro non ancora ventenne.

È probabile che la sua capacità affabulatoria sia un’eredità del padre, giornalista impegnato nel Cile di Allende, tanto che questi gli commissionò il discorso di ringraziamento dopo la vittoria elettorale. Il fumetto non è però interessato a un’asettica verità storica, perché rimane comunque ancorato al punto di vista di Pedro. Non si tratta infatti di un saggio di storia, ma di un continuo spostamento dal particolare all’universale e viceversa. Se da un lato il racconto si addentra nelle macchinazioni della realpolitik alla Kissinger, dall’altro ricostruisce con perizia la scuola, il teatro, la passione per il calcio e la famiglia di Pedro.

Questi ricordi non susciteranno l’interesse degli accademici, ma grazie al roman graphique riescono a diventare materia vigorosa, esperienza simulata di vita vissuta che, grazie all’immedesimazione catartica, permette di apprendere tutto ciò che non è contemplato nei manuali scolastici. Nei troppi particolari ignorati dalla Storia, trovano così spazio le tante storie che permettono di comprendere e affezionarsi, di rimando, anche alla Storia delle date e dei nomi altisonanti.

Là dove finisce la terra è un’opera rivolta a un pubblico interessato a comprendere gli avvenimenti al di là dei numeri, per entrare nelle case e nelle vite dei cileni che hanno camminato, ignari, verso le pagine buie del finale. Come scrive il compianto Sepulveda nella prefazione, questo è un viaggio nella memoria di un Paese che “un giorno recupereremo: quel giorno torneremo a essere cittadini liberi del Paese dove finisce la terra”.

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