Simonetta Caminiti, calabrese, giornalista e altrettanto brava scrittrice. Ha pubblicato lo scorso anno con l'editore Lettere animate, la raccolta di racconti erotici dal titolo "Le ragazze del borgo", scritto con la collaborazione fotografica di Manuel Colombo. Una raccolta di racconti che narra con uno stile preciso e colto la sessualità delle tre protagoniste, Caterina, Elisa, Ily, una sessualità che freme di diventare vita. Ho avuto il piacere di intervistarla e conoscere qualche cosa in più su questo suo romanzo.
D.M: Simonetta giornalista e Simonetta brillante scrittrice. Cosa ha fatto scattare in te, la voglia di raccontare le storie contenute nella raccolta "Le ragazze del borgo"?
S.C: Anni fa, ero ancora una studentessa, e mi innamorai dei diari di Anaïs Nin. Poi, dei suoi racconti contenuti ne Il delta di Venere, che una cara amica mi aveva consigliato. Racconti erotici, ma soprattutto una grande lezione di magia. Di sensibilità, di rigore psicologico, di innocenza. Così cominciai a cimentarmi – io che ho sempre amato scrivere – in qualche prosa lirica erotica, e poi in qualche racconto. È rimasto tutto nel cassetto fino all’anno scorso, quando un bravo fotografo come Manuel Colombo mi ha chiesto di creare insieme un volume di racconti erotici e illustrazioni sue… Ecco come sono nate le mie “ragazze del borgo” che tanto amo. Rispolverando vecchie storie mai sopite.
D.M: Molto spesso anche in amore, oltre che nella vita, si cade in una quotidianità che in qualche modo nuoce al rapporto. Qual è secondo te la via per uscirne?
S.C: Non penso ci sia una via soltanto per non bloccare se stessi e un rapporto nelle piccole asfissie della quotidianità. Certo è che lo stupore è un sentimento da salvaguardare, soprattutto in un rapporto. Non mi piacciono i segreti, soprattutto se protetti da bugie, ma credo che delle piccole striature di mistero giovino a qualunque relazione: anche alle amicizie più longeve. Però temo che coltivare questa capacità sia più un dono naturale, ahimè, che il frutto di tecniche e strategie…
D.M: Per molti autori, scrivere storie significa "liberarsi dal peso di alcune esperienze del passato. È stato così anche per te?
S.C: Questo è successo soprattutto col mio romanzo, “Gli arpeggi delle mammole”, che con “Le ragazze del borgo”. L’adolescenza è quel momento della vita in cui, come non mai, si è transitori, si è in divenire, eppure paradossalmente tutto sembra eterno, destinato al “per sempre”. Più che fatti epocali accadono cose che lasciano dei segni epocali. Come la prima volta di qualunque cosa. In questo senso, scrivere il mio romanzo di formazione mi ha aiutata in questo processo (chiamiamolo di “liberazione”). Ma anche le mie ragazze del borgo mi somigliano abbastanza… Per piccole cose ciascuna, tutte e tre.
D.M: ti appartiene di più e quale personaggio ti ha trasmesso più emozioni mentre lo creavi?
Tra “Le ragazze del borgo”, senza far torto alle mie Lisa e Caterina, quella che è più nel mio cuore è la giovane Ily. Una creatura sola al mondo, convinta che la passione per un uomo sia l’unica cosa di cui è capace, l’unica in cui è brava e in grado di rendere felice se stessa e qualcun altro. L’unica che sembra saziare la voragine che ha dentro mentre insegue, senza saperlo, la tenue innocenza della sua età… Il primissimo fotogramma di Ily apparve sui miei quaderni nel 2011, in una sera d’estate. L’ho amata subito e non mi ha più lasciata.