INSUBORDINATI e QATAR 2022 @ Più libri Più Liberi: riflessioni sul tema dello sfruttamento del lavoro

Venerdì 9 e domenica 10 dicembre hanno avuto luogo, nell’ambito della Fiera Più libri Più liberi 2022, due  eventi durante i quali si è riflettuto sulle derive del mercato del lavoro, posando una lente di ingrandimento sull’essenziale tema del riconoscimento di diritti e tutele per un impiego sicuro e dignitoso.

Il primo incontro è stato con Rosita Rijtano, giornalista de lavialibera, che intervistata da Riccardo Staglianò, anche lui giornalista, ha presentato il suo ultimo libro, Insubordinati. Inchiesta sui rider, edito da Edizioni Gruppo Abele.

Domenica, Riccardo Cucchi e Riccardo Noury, prendendo le mosse dal libro scritto da quest’ultimo Qatar 2022, i Mondiali dello sfruttamento, edito da Infinito Edizioni, hanno dialogato su Mondiali, diritti umani e sportwashing.

INSUBORDINATI. INCHIESTA SUI RIDER: Sperimentazione di nuovi modelli economici e lavorativi

Insubordinati, edito da Gruppo Abele, a Più Libri Più Liberi

L’utilizzo di termini quali sharing economy, riders e via dicendo fa parte di quel processo di cosmesi linguistica necessaria alla promozione di un presunto volto umano del capitalismo, venduto ai consumatori con una buona dose di ipocrisia.

Staglianò apre la sua intervista a Rosita Ritjano, precisando come in questo nuovo modello di economia, in realtà, di condiviso non ci sia nulla. Nello specifico, i riders, o meglio, ciclofattorini altro non sono che persone che portano cose da un punto A ad un punto B, in biciletta o motorino, molto spesso correndo rischi molto alti, a fronte di pagamenti molto bassi.

Nel settore dell’impiego a mezzo di piattaforme digitali, infatti, assistiamo al paradossale fenomeno del massimo livello tecnologico posto al servizio del minimo dei diritti e, cosa non secondaria, dei guadagni riconosciuti ai lavoratori.

In un contesto sociale in cui il numero totale dei lavoratori che si servono delle piattaforme digitali  per lo svolgimento della loro attività ammonta a circa  570000, la prima domanda che viene posta a Rijtano è come mai sia così importante occuparsi dei riders, che dell’intero mercato occupano una fetta, tutto sommato, abbastanza piccola.

La particolarità dei riders, rispetto a chi magari si affida alle piattaforme di sharing economy per lavori di tipo domestico ed anche ripetizioni o traduzioni, è il fatto di trovarsi per strada, di essere visibili, questo li ha resi un simbolo.

Secondo l’autrice, quello dei riders è il terreno sperimentale del nuovo capitalismo, che un passo alla volta vuole capire sino a dove si può arrivare e su cui si stanno testando modalità di lavoro che vedremo applicare sempre di più anche in settori tradizionali dell’economia. Ad esempio, già ora, in questo campo si è raggiunto il massimo livello di esternalizzazione, arrivando ad esternalizzare una singola prestazione, i riders sono pagati a seconda di quanti pasti consegnano, come se un barista venisse pagato a seconda di quanti caffè prepara al giorno, esemplifica Rijtano.

INSUBORDINATI. INCHIESTA SUI RIDER: L’evoluzione del fenomeno, da lavoretto a lavoro.

Ciò che rende particolare questo tipo di prestazione, che può essere assimilata al cottimo, è il modo in cui le imprese hanno scaricato ogni propria responsabilità nei confronti dei lavoratori e sui lavoratori, i quali, per prima cosa, devono pagare tutto da sé: la bici; quando la mettono, la benzina; non vengono pagati in caso di mancata consegna.

Dall’inizio dell’ingresso delle App nel settore lavorativo, intorno all’anno 2016, ad oggi, è stata riscontrata una trasformazione nella componente relativa ai soggetti lavoratori. Se prima questi erano per la maggior parte giovani ragazzi e ragazze universitari, che beneficiavano della semplicità di procurarsi con tali strumenti un lavoretto, nel tempo è aumentata la porzione delle persone over cinquanta, spesso messe alla porta dal mercato del lavoro senza possibilità di rientrarvi a causa della loro età.

Un altro importante dato che viene analizzato è quello per cui, rispetto al 2018, tra i lavoratori e le lavoratrici che si rivolgono a questo  mercato, la parte del loro reddito composta da lavori di questo tipo è diventata essenziale, passando dal 49% all’80%. In poche parole, il lavoretto è diventato un lavoro che serve a certe famiglie per vivere, secondo una distribuzione geografica che non è omogenea: mentre al nord è la quota degli stranieri ad aumentare, al sud sale quella degli italiani.  E’ bene tenere a mente che si tratta pur sempre di stime di massima, in quanto trattandosi di un lavoro ancora inquadrato come autonomo, molti dati non sono disponibili.

INSUBORDINATI. INCHIESTA SUI RIDER: lavoro autonomo o subordinato?

Ma la vera domanda è, Il lavoro subordinato è davvero l’unico modo di tutelare i riders?

Rijtano spiega come questo libro non vuole e forse non può dare una risposta e si limita a contribuire ad un’analisi del fenomeno, senza alcuna pretesa di brandire la bacchetta magica con cui trovare la soluzione perfetta. Sicuramente però, anche senza sapere se tale soluzione debba essere necessariamente l’inquadramento nella categoria della subordinazione, il primo dato da cui si deve partire è che, ad oggi, questo tipo di lavoro non è autonomo, a differenza di come viene spacciato dalle aziende e lo percepiscono alcuni lavoratori. Basti pensare che I riders non hanno un potere di contrattazione sulle tariffe da applicare per le loro prestazioni.

Come non sarebbe una soluzione indurre gli utenti a non utilizzare più i servizi digitali per le ordinazioni a domicilio, considerato che ad oggi molte famiglie fanno affidamento per la loro sopravvivenza sulle entrate provenienti da tali servizi. Anzi, il suggerimento che viene dato dall’autrice per contribuire positivamente alle condizioni lavorative di chi effettua per noi una consegna è quello di lasciare sempre una buona recensione.

Tra l’altro c’è una fetta di questa categoria di lavoratori che ritiene l’autonomia come la soluzione migliore. Forse anche perché, riflette Rijtano, da un lato l’autonomia è associata a un’idea di libertà che si crede nel subordinato non ci sia, dall’altro, ormai, i diritti dei lavoratori subordinati dipendenti dalle aziende private si sono svuotati al punto da non essere  più ritenuti validi.

INSUBORDINATI. INCHIESTA SUI RIDER: Le rivendicazioni, tra sindacati e autorganizzazione.

Entrambi i giornalisti ricordano anche come l’elevato livello di scolarizzazione caratterizzante questo comparto, soprattutto all’’inizio composto da una maggioranza di soggetti laureati e dottorati, ha sicuramente messo in difficoltà i sindacati tradizionali che hanno cercato di intercettarne le istanze, i quali in un primo momento sono stati quasi del tutto inesistenti, complice anche una generalizzata sfiducia nei loro confronti da parte delle nuove generazioni.

Rijtano racconta che qualche anno fa ha intervistato un rider- ricercatore di Bologna il quale gli ha parlato della nascita di nuove e autonome forme di mutualismo pratico, come ad esempio la creazione di chat anche per consulenze di tipo legale.

Successivamente, anche a causa delle barriere linguistiche e delle difficoltà culturali tra gli stessi lavoratori la questione si è complicata e si è sentita più forte l’esigenza di appoggiarsi a rappresentanti istituzionalizzati, nonostante una buona fetta di lavoratori preferisca ancora l’autorganizzazione.

INSUBORDINATI. INCHIESTA SUI RIDER: Tra regolamentazione ed ipocrisie.

Nell’attesa che anche a livello politico si prenda piena confidenza con le criticità di un modello lavorativo  che, per certi aspetti, pare addirittura sfuggire a qualsiasi definizione di se stesso, si è tentato di disciplinare almeno alcuni aspetti fondamentali legati alle tutele essenziali dei lavoratori. Una di queste è la previsione di un’assicurazione in caso di infortuni.

Ma anche su questo Rijtano mette in guardia su un aspetto paradossale di tale presidio: l’assicurazione a copertura di eventuali infortuni del lavoratore si attiva solo da quando arriva l’ordine sul suo smartphone e dura fino al momento della consegna presso il cliente, qualunque evento dovesse accadere anche un attimo dopo la consegna non riceverebbe alcuna copertura.

Del resto, ogni tentativo di imporre alle aziende che operano in questo settore delle misure idonee a garantire una maggiore tutela dei lavoratori è stato frenato dal ricatto delle stesse di andare via dall’Italia.

Secondo quanto riportato dai due giornalisti, al momento in Italia l’unica azienda ad aver adottato un modello di contrattazione di lavoro dipendente è Just Eat, mediante un regolamento aziendale che prevede di utilizzare diversi regimi orari: contratti di lavoro dipendente full time (40 ore settimanali), part-time (variabile in base alla città e ai volumi di ordini previsti) e a chiamata.

All’opposto ci sono, invece, le aziende che rifiutano di utilizzare questo modello, ponendo ad argomento di tale rifiuto la giustificazione per cui una regolamentazione delle assunzioni non consentirebbe di rientrare nei costi, come se pagare un’inezia i lavoratori e non garantire loro alcun tipo di tutela fosse l’unico modo per risparmiare.

Un atteggiamento che sarebbe, forse, più facile digerire al netto di tutta la retorica che accompagna l’autopromozione di tali soggetti che piuttosto che ammettere come il loro principale obiettivo sia aumentare di anno in anno il fatturato, si proclamano intenzionati a rendere il mondo un posto migliore, dimenticando, come fa notare ironicamente Staglianò, che l’antico modo di pagare le tasse è sempre efficace.

QATAR 2022. I MONDIALI DELLO SFRUTTAMENTO: Lo sportwashing.

Qatar 2022, edito da Inifinito edizioni, a Più Libri Più Liberi

Un altro termine con cui ci siamo trovati a familiarizzare in questi ultimi mesi è sportwashing, ossia l’organizzazione di eventi sportivi da parte di un Pese, al fine di ripulire la propria immagine e reputazione, distogliendo l’attenzione mediatica dalla violazione dei diritti umani.

E’ quanto avvenuto, ancora una volta, in occasione dei mondiali di calcio quest’anno svoltisi in Qatar

Riccardo Cucchi, giornalista ex radiocronista di calcio, sfrondando ogni superfluo giro di parole, inizia l’incontro  mettendo chi lo ascolta subito di fronte al costo umano che è stato pagato per la costruzione di stadi, alberghi, infrastrutture, che hanno fatto da scenario a questo imponente spettacolo sportivo.

Il giornalista e Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, danno il via ad un’approfondita riflessione che partendo dalle vite sacrificate per la realizzazione di questo evento arriva ad  interrogarsi su quale sarà il  futuro del calcio se perderà del tutto i suoi valori.

QATAR 2022. I MONDIALI DELLO SFRUTTAMENTO: La violazione dei diritti umani.

Dall’anno dell’assegnazione, avvenuta nel 2010 e per dodici anni, c’è stato un colpevole silenzio sulle disumane pratiche di sfruttamento del lavoro che sono state messe in atto in Qatar a danno degli operai, la maggior parte dei quali immigrati da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh, Sri Lanka.

Stiamo parlando di datori di lavoro che hanno sequestrato il passaporto ai lavoratori, stipendi non pagati per anni, ore di lavoro non riconosciute, multe in caso di assenza dal luogo di lavoro, della necessità di pagarsi gli alloggi dove dormire. Stiamo parlando di 6.500 uomini morti di lavoro.

Ecco, alla maggior parte delle famiglie di queste persone, al momento, non è stato riconosciuto alcun risarcimento perché i decessi sono avvenuti, in molti casi negli accampamenti dove rientravano la notte, stremati dalla fatica, e per questo non sono stati considerati come morti sul lavoro.

Come tutti sappiamo, le date dei mondiali 2022 sono state cambiate in ragione delle insopportabili temperature che il Qatar raggiunge nei mesi estivi. Naturalmente il riguardo avuto per la salute di calciatori e spettatori non è stato riservato anche ai lavoratori, che non hanno mai interrotto i turni di lavoro.

Quasi mai sono state svolte autopsie, adducendo la strumentale giustificazione per cui le famiglie  di origine si sarebbero opposte per motivi religiosi. Nel 2017 c’è stato un risarcimento totale di 230 milioni di dollari, insufficiente a coprire tutte le perdite subite. Per questo Amnesty International ha iniziato un’azione con cui richiede alla FIFA ed al Qatar 460 milioni di dollari.

QATAR 2022. I MONDIALI DELLO SFRUTTAMENTO: Il calcio ha ancora la sua anima?

Il calcio può davvero accettare di giocare a queste condizioni?

Inevitabile chiamare in causa la FIFA, la quale ha, senza dubbio, omesso di attivare tutte le necessarie forme di controllo, non adempiendo all’onere di vigilanza e monitoraggio di cui assume la responsabilità nel momento in cui seleziona il Paese per l’assegnazione dei mondiali.

Viene spontaneo chiedersi se questo sport abbia venduto la propria anima. Può accettarsi davvero che sia organizzato un evento di tali dimensione in un Paese che proibirà le riprese fuori dagli stadi?

Cala la disillusione sulla capacità di uno sport come il calcio di trasmettere valori positivi, soprattutto quando la FIFA minaccia di ammonire dei giocatori che vorrebbero scendere in campo con al braccio la fascia recante la bandiera arcobaleno, simbolo della comunità LGBTQIA+

A maggior ragione se poi quei giocatori cedono al ricatto, facendo un passo indietro a discapito di un messaggio di inclusività che poteva essere lanciato in mondovisione.

Per questo risulta ancora più evidente l’ipocrisia dell’istituzione calcistica per eccellenza, nel momento in cui, spontaneamente i giocatori di una squadra come quella dell’Iran rifiutano di cantare l’inno, rischiando molto di più di un cartellino giallo.

QATAR 2022. I MONDIALI DELLO SFRUTTAMENTO: Smettere di voltarsi dall’altra parte.

 E’ chiaro a tutti che il calcio ormai sia quasi prima un’industria che uno sport, ma è pur sempre un’industria che produce passione. Per questo nessuno pretende che sia il calcio da solo a cambiare il mondo, ma che almeno abbia la forza di dire che può essere cambiato. Del resto, come dice Noury, da qualche parte si dovrà iniziare.

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