Il valore della Memoria @ Più libri più liberi: Sami Modiano e il rumore della memoria

Hurbinek era un nulla, un figlio della morte, un figlio di Auschwitz. Dimostrava tre anni circa, nessuno sapeva niente di lui, non sapeva parlare e non aveva nome: quel curioso nome, Hurbinek, gli era stato assegnato da noi (…) Hurbinek aveva tre anni, era nato ad Auschwitz e forse non aveva mai visto un albero; Hurbinek, che aveva combattuto come un uomo, fino all'ultimo respiro per conquistarsi l'entrata nel mondo degli uomini, da cui una potenza bestiale lo aveva bandito; Hurbinek, il senza-nome, il cui minuscolo avambraccio era pure segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek morì ai primi di Marzo 1945, libero ma non redento."
Parole tanto orribili che qualcuno ha provato e prova a smentire quelle di Primo Levi; parole che seppur efficaci sembrano non essere abbastanza davanti alla malvagità reale degli eventi che le ispirano. Inizia tutto da un breve passo da La Tregua del già citato Levi, interpretato dall'attore Luca Zingaretti, conosciuto ai più per aver dato vita al mondo del maestro Camilleri ma che qui presta voce e bravura per una causa diversa, in qualche modo più alta: la memoria storica.

Dietro di lui, il sopravvissuto Sami Modiano, lo storico Marcello Pezzetti e il giornalista e scrittore Pierluigi Battista sul podio della conferenza Il Valore Della Memoria, tenutasi nella Sala Nuvola.

Come una ruota gigantesca che qualcuno prova a fermare, la cultura ha mille raggi che la sorreggono, il peso dei libri parte da quello delle parole e della memoria, anche di chi ha visto l'inferno e ci ritorna a gamba tesa per il bene degli uomini.
La sala gremita di studenti, almeno cinquecento ragazzi, smette di mormorare appena il tema diventa chiaro: sì perché ci vuole un po' affinché l'uomo sia disponibile ad aprirsi a temi così delicati e poi si viene catturati dagli eventi della lunga notte che ha travolto l'Europa e il mondo intero meno di ottant'anni fa.
Gli interventi di Sami Modiano, sollecitati dalle domande di Pezzetti e Battista, sono struggenti, esprimono una rabbia al limite della sopportazione, dirigono ferocemente la mente degli ascoltatori verso incubi atroci e poi, come un oceano che si ferma, consolano: la dolcezza, la fame di amore negato troppo a lungo, che Modiano trasmette, stupiscono.
Due momenti topici hanno fatto vibrare la sala: il ricordo, sempre vivo, arrabbiato di quello che è stato il mondo degli ebrei precedente alle leggi razziali, un mondo normale dove i bambini andavano a scuola e il freddo era lontano. Una realtà che viene spesso minimizzata ma che aiuta a capire quanto è stato forte l'impatto con quello che è seguito dal 1938 in poi, una normalità troppo perfetta che Sami riporta a noi quasi con disprezzo.
E poi arriva il paradosso, la fine che non è la fine, la vita di chi è sopravvissuto, la liberazione in un mondo impreparato di pochi Lazzaro tornati dagli inferi.

Sami racconta la sua liberazione da Auschwitz come l'inizio di un altro calvario, un altro periodo di stenti davanti a una realtà sconvolta. Lo sapevano, tutti erano al corrente del gioco mortale, ma nessuno seppe affrontare le conseguenze o aiutare chi ce l’aveva fatta.

E quanto stride forte quell’autista che aspetta il signor Modiano e i pochi altri che come lui sanno cosa vuol dire non avere niente, non essere nessuno, non avere voce neanche per se stessi.
Come mai ha aspettato sessant’anni prima di parlare, di ritornare in quel luogo e donare la sua testimonianza?”
“Perché a un certo punto, nel 2005, ho capito che come altri anche io dovevo rompere il mio silenzio, anche io dovevo raccontare il mio dolore, la mia sofferenza! Lo devo dire perché è necessario che si dica; i ragazzi devono sapere”.
Sguardi acquosi e penne veloci segnano sentieri di inchiostro sui fogli, nei brevi momenti di silenzio si sente il rumore della memoria che scorre e, grazie a uomini coraggiosi, va avanti

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