I freschi in rosa

Apriamo con un titolo, HO GUARDATO UN NAZISTA NEGLI OCCHI di Kathy Kacer  con Jordana Lebowitz, edizioni Sonda. Il resoconto di uno dei più importanti processi a uno degli ultimi criminali nazisti ancora in vita attraverso la testimonianza e il punto di vista di una ragazza di 19 anni che vi ha preso parte. Jordana Lebowitz, agazza canadese di 19 anni – nipote di sopravvissuti ad Auschwitz – alla vigilia del processo a Oskar Gröning, ex membro delle SS conosciuto come “il contabile di Auschwitz”, accusato di complicità in omicidio di oltre 300 mila ebrei – si unisce a un gruppo di sopravvissuti che dal Canada si reca in Germania per prendere parte al processo e testimoniare contro di lui. Jordana ha le idee chiare e vuole assistere al processo come dovere morale nei confronti delle proprie radici e della propria famiglia. Si tratta dell’ultimo vero grande processo a un criminale nazista ancora in vita, un’occasione cruciale da un punto di vista civile e storico di conoscenza e denuncia.

 

Un altro romanzo degno di nota è Figli del diavolo di Liliana Lazar, 66th and 2 nd editore. Nella Romania di inizio anni Ottanta, sotto la dittatura di Ceausescu, vige una drastica politica delle nascite: le donne con meno di quarantacinque anni non hanno il diritto di abortire se non hanno dato alla luce almeno quattro figli. Ne conseguono pericolosi aborti clandestini e continui abbandoni negli orfanotrofi di Stato, costretti ad accogliere i cosiddetti «ï¬gli del diavolo».  un ambulatorio di Bucarest lavora Elena Cosma, un’ostetrica nubile abituata ormai alla solitudine. Elena è sgraziata, mascolina, tutt’altro che bella. Da tempo ha rinunciato all’idea di sposarsi ma non a quella di diventare madre, un destino che le si presenta sotto le sembianze di una bellissima donna dai capelli rosso fuoco: Zelda P, che ha appena perso il marito, ha già due bambini piccoli e non può allevarne un terzo da sola. L’accordo è presto stretto: Elena fingerà di essere incinta e Zelda le cederà il suo bambino in cambio di denaro. I figli del diavolo è una testimonianza storica sotto forma di romanzo, una storia ispirata a fatti realmente accaduti che ci trascina in un capitolo oscuro del nostro recente passato; un libro sugli abusi, sull’orrore perpetrato a danno dei più deboli nell’indifferenza generale, ma anche una riflessione spietata sulla natura umana nel momento in cui la morale cede di fronte agli interessi personali.

Di genere diverso invece, Zucchero nero di Miguel Bonnefoy 66th and 2nd editore. Quando la nave del capitano Henry Miller, leggendario pirata dei Caraibi, si incaglia tra la boscaglia di mangrovie nel Venezuela, del suo favoloso carico si perdono le tracce. Tre secoli più tardi, sul presunto luogo del naufragio si sono insediate diverse famiglie dedite alla coltivazione della canna da zucchero e alla fabbricazione di rum, ma l’eco del tesoro nascosto continua ad attirare avventurieri e cercatori d’oro. Tra questi, l’ambizioso Severo Bracamonte, che abbandonerà presto le sue esplorazioni per interessarsi sempre più alla giovane Serena Otero e alla sua redditizia attività di famiglia.

Nel romanzo Gli abbracci oscuri, invece, l’autrice  Julia Montejo, sorprende il lettore con un romanzo in cui desiderio, intrighi e suspense si insinuano nella vita di una donna felicemente sposata. Un romanzo che scava tra le pieghe della normale vita di coppia, la sua lenta distruzione e le inevitabili domande che è impossibile mettere a tacere: dove ci porterà tutto questo? Esiste una via di fuga? Anche volendo lasciarselo alle spalle, il passato torna sempre a bussare alla porta.  A cosa serve andarsene, dimenticare chi siamo, tradire i nostri ricordi per salvare solo quei pezzi di vita che mostrano il meglio di noi? Queste sono le domande che attraversano le pagine di Gli abbracci oscuri di Julia Montejo, un romanzo che inizia sotto la pelle di Virginia e si snoda poi nella memoria di tutti i lettori.

Di tutte le cose buone Clare Fisher HaperCollins Italia

Un romanzo che tratta con struggente delicatezza temi universali quali la maternità, l’accettazione di sé l’amicizia e l’istinto di sopravvivenza. Cosa succede se hai fatto una cosa terribile… ma quella non è la fine della storia? Beth ha ventun anni ed è in prigione. Si trova lì perché ha fatto qualcosa di terribile e non si aspetta più niente dal futuro. Ma Erika, la sua psicologa, è convinta che ventun anni siano troppo pochi per smettere di vivere, e le chiede di scrivere una lista di tutte le cose buone della sua vita. Beth comincia così a raccontare la sua storia, una storia che si raccoglie intorno a brevi, intensi   lampi di luce: la passione per la corsa, i confortevoli silenzi condivisi con una persona speciale, l’emozione di scoprire, in un pomeriggio qualunque, di piacere a qualcuno, fino alla prima volta in cui ha respirato il profumo della testa del suo bambino e ha capito davvero cos’era la felicità. Ma alla fine della storia la cosa brutta rimane. E a quel punto Beth non ha altro modo per andare avanti se non confrontarsi con essa, riconoscere la verità che si cela dietro il suo crimine.

I fiori non hanno paura del temporale Bianca Rita Cataldi

Un romanzo sul potere delle storie. Sul cercare la propria strada nel mondo. E non arrendersi. La giovanissima autrice è stata finalista al Campiello Giovani. Un romanzo ambientato negli anni ’90. Le musicassette e una macchina da scrivere Olivetti sono elementi centrali del racconto. I personaggi e il microcosmo familiare matriarcale che Bianca Rita ha costruito ricordano un po’ il realismo magico “Ecco cos’è l’amore. Incontrarsi il 30 di febbraio e amarsi sui colori freschi finché non prendono forma. Non era la nonna a essere strana. Eravamo strani noi che ci innamoravamo in un giorno qualunque e facevamo l’amore sulle lenzuola inamidate, noi che dimenticavamo la terra e le radici, il refrigerio delle piogge e la necessità del dolore. Noi che smarrivamo il coraggio, che ci dimenticavamo di lottare, che ci addormentavamo troppo presto o troppo tardi, che credevamo in un dio soltanto o in nessun dio affatto, che non capivamo l’importanza fondamentale del dubbio. Noi eravamo quelli strani.”

Torniamo a segnalare un nuovo romanzo della bravissima Simonetta Caminiti  “Specie meno note di Sirene”,(Pubme) Storie di donne, sorrisi punteggiati dal rimpianto, racconti al confine tra la fiaba e la novella adulta, stralci di diario, fatti di cronaca mutati in prose liriche; infine, dichiarate poesie. Nel corso degli anni, Simonetta Caminiti ha ricamato d’inchiostro fonti di ispirazione disparate, e nei più disparati linguaggi. In Specie meno note di sirene, l’autrice si diletta a raccogliere tutto questo mescolando i generi e sottraendo alla polvere della mensola pagine lontane nel tempo. Il volume, però, si conclude con alcune personali traduzioni italiane di Emily Dickinson, che Caminiti cerca di restituire soprattutto nella fragrante musicalità e nella potenza eterna dei messaggi.

LA MIA IDEA GENIALE (E COME MI HA ROVINATO LA VITA) di Stuart David Il Castoro Editore.

Chi non ha mai desiderato una app che semplifichi davvero la vita? Jack ha avuto un’idea geniale: una app salva-studente! Ora lo attende solo una corsa catastrofica per riuscire a realizzarla.

Jack Dawson ha 15 anni ed è un distratto cronico. Questo gli causa un sacco di guai, soprattutto con gli insegnanti. Così, una mattina, Jack ha uno dei suoi lampi di genio: bisognerebbe inventare un’applicazione che aiuti gli sventurati distratti come lui a rispondere alle domande come “Di che cosa stavamo parlando?”. Ma realizzare un’app non è facile! Riuscirà a cavarsela o la sua Idea Genaiale sarà solo una fonte infinita di guai? Un romanzo ironico ed esilarante, con una carrellata di imprevedibili disavventure che fanno innamorare di questo moderno antieroe!

Come una rana d’inverno  Daniela Padoan Bompiani editore.

“Quella del testimone è una figura inevitabile, che continuiamo a incontrare come perturbante e che non possiamo rendere innocua: sta lì a dirci, con la sua sola presenza, che anche noi avremmo potuto, e potremmo, essere ridotti in cenere, considerati nulla, spogliati della fragile copertura che ci viene dalla nostra appartenenza identitaria, culturale, politica.”

“Considerate se questa è una donna / Senza capelli e senza nome / Senza più forza di ricordare / Vuoti gli occhi e freddo il grembo / Come una rana d’inverno.” Con questa immagine scarnificata Primo Levi, nel celebre incipit di Se questo è un uomo, si rivolge ai lettori evocando donne spogliate della propria identità, non più padrone di quel corpo, quel grembo che è tramite vivente della relazione con l’altro. Daniela Padoan raccoglie in questo libro le testimonianze di tre donne – Liliana Segre, Goti Bauer, Giuliana Tedeschi – sopravvissute al campo femminile di Auschwitz-Birkenau. L’autrice conferisce alle conversazioni il ritmo di una lucida, accorata narrazione fatta di rimandi e relazioni perché, come dice Giuliana Tedeschi, “le donne sono maglie, se una si perde, si perdono tutte”. Nella storiografia dello sterminio nazista le donne sono pressoché invisibili, la loro presenza è sovrapposta a quella maschile e su questa si appiattisce. 

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