URANIA D’AGOSTO@Teatro Argot Studio: una solitudine siderale

Al Teatro Argot Studio è andato in scena, dal 27 febbraio al 1 marzo, URANIA D’AGOSTO, scritto da Lucia Calamaro, interpretato da Maria Grazia Sughi e Michela Atzeni.

La scena è arredata con mobilia ospedaliera. Sulla sinistra un letto di ferro e un comodino stracolmo di libri Urania, in fondo un tavolo e una sedia e sulla destra, davanti a un televisore, un sedile coperto da un panno, su cui giace addormentata di sbieco la protagonista, Maria Grazia Sughi. Nel grosso schermo si susseguono suggestive immagini di corpi celesti, facenti parte di un documentario sulla vita nell’universo. D’un tratto la donna si sveglia e la prima frase che proferisce sarà ripetuta molte volte durante lo spettacolo, a testimonianza della sua alienazione e dell’assenza di collegamento con la realtà: “Che ora è?”.

Il totale isolamento in cui vive come un’eremita, con la sola compagnia di una scimmietta di peluche, sembra non avere confini, è privo di contorni delimitati. Non sappiamo né da quanto è lì, né perché. Lei stessa stenta a ricordare la sua storia, non ricorda nemmeno se avesse un fratello oppure due. Avvolta in questo bozzolo separato dal mondo, al riparo dalle dolorose relazioni con gli altri esseri umani («uno sorride alla gente, gli vuole bene e loro se ne vanno»), la donna, che più tardi scopriremo essersi data il nome di Urania, dipana un monologo sconnesso, straziante, commovente.

Da questo emerge, accanto al timore suscitato dal minaccioso mondo reale, che incombe fuori dalle quattro mura, a metà tra una casa e una clinica per malati, in cui si è segregata, lo struggimento verso di esso e il desiderio di uscire dalla sua profonda condizione di solitudine. Il confine tra realtà, ricordi e immaginazione si sfalda, fino a rendere plausibili delle fantasie onnipotenti come quella di avere il potere di trasformare le persone in acqua: «le persone si sciolgono in lacrime a un mio “come va?”» e «la loro consistenza a forza di piangere muta, prima vengono bagnati e poi non viene più nessuno». Le fantasie, popolate dai personaggi degli innumerevoli Urania letti dalla protagonista, diventano visibili e tangibili anche per il pubblico: tre strane figure (e un’astronauta), interpretate da Michela Atzeni, si aggirano sul palco, silenziose ed enigmatiche, svolgendo azioni simboliche e interagendo appena con Urania, che solo a tratti si accorge di loro, lasciandosene accarezzare o prendendole a male parole. Finché all’improvviso giunge netta la decisione: «esco!». Seduta sul suo scooter elettrico, su un palcoscenico ormai senza più mobili, completamente spoglio e tutto azzurro come Urano, l’anziana signora gira in tondo salutando i passanti, riprendendo piano piano contatto con il mondo esterno. Lo spettacolo è notevole dal punto di vista estetico, producendo immagini di grande impatto, come quella in cui Michela Atzeni compare sulla scena nei panni di un’astronauta, sedendosi su uno sgabello a suonare il violoncello, mentre intorno lo spazio è tutto di un azzurro intenso e piano piano si accendono tante piccole luci a formare intorno un bel cielo stellato. La recitazione è molto coinvolgente e l’effetto emotivo è amplificato dalla delicata e malinconica colonna sonora che accompagna costantemente il monologo della protagonista. Un testo originale e una regia ben costruita rendono URANIA D’AGOSTO uno spettacolo a cui vale certamente la pena assistere.

 

 

Info:

URANIA D’AGOSTO
di Lucia Calamaro
adattamento e regia Davide Iodice
con Maria Grazia Sughi e Michela Atzeni
scene Tiziano Fario
costumi Daniela Salernitano
aiuto regia Giusi Salidu
elaborazioni sonore Davide Iodice
training e studi sul movimento Michela Atzeni
luci Loic François Hamelin
sarta Adriana Geraldo

Foto presa dalla pagina FB del Teatro Argot Studio

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