Sant’Oreste in Rete… Percorsi e Tracce: arte all’aperto e salute ambientale per un nuovo stile di vita e di cultura @ Sant’Oreste, Roma

“La natura, e in particolare il Monte Soratte, meritava più attenzione da parte mia, ma gli spazi vuoti e misteriosi del monastero sono stati un richiamo più forte”. Così si esprime Daniela Beltrani, direttrice artistica di PAR®Performance Art in Rome, riguardo alla residenza d’artista organizzata in partnership con Ilaria Paccini nel territorio del comune di Sant’Oreste, in provincia di Roma. Questo paesino posto nei pressi dell’antica via consolare Flaminia, ad agosto è diventato un palcoscenico inconsueto, dove l’arte contemporanea è stata invitata a dialogare con il suo territorio ed il suo passato ricco di storia e cultura. Il tutto all’interno del calendario di Sant’Oreste in Rete… Percorsi e Tracce: arte all’aperto e salute ambientale per un nuovo stile di vita e di cultura, rassegna di eventi artistici realizzata con il contributo della Regione Lazio, promossa dal Comune di Sant’Oreste con la collaborazione di Museo Pinacoteca di Palazzo Caccia Canali, ProLoco di Sant’Oreste, e Associazione Avventura Soratte.

 

Dal 17 al 21 agosto 2020 l’artista Monica Argentino ha svolto la sua personale residenza nella Sala delle Bettine, all’interno del Monastero di Santa Croce, nel cuore di Sant’Oreste. Qui la sua video art ha sviscerato le disarmonie della società moderna, dando voce a coloro che sono posti ai suoi margini, come oggetti abbandonati perché ritenuti inutili. Accanto al suo lavoro, dal 17 al 29 agosto 2020 altri otto artisti sono stati ospitati nel Monastero di Santa Maria delle Grazie, sul Monte Soratte: Alessia Matrisciano, Beate Linne, Chiara Cappelli, Daniele Casolino, Francesca Conte, Ilaria Paccini, Valerio Giacone e Daniela Beltrani. È in questo luogo che ciascun artista, scelto uno spazio dimenticato – ma un tempo adibito a camera da letto, sala da pranzo, biblioteca o luogo di preghiera – l’ha trasformato in punto di partenza di un percorso di riflessione sulle potenzialità del proprio linguaggio espressivo. A Sant’Oreste si è così cercata quella fusione degli orizzonti – la Horizontverschmelzung di Hans-Georg Gadamer – che solo l’arte può attivare, realizzando l’avvicinamento di passato e presente entro i confini dell’idea di Bellezza.

La stessa Beltrani rivela di essersi innamorata della biblioteca del convento, come se un insopprimibile déjà vu l’avesse spinta nell’abbraccio silenzioso di libri impolverati e oggetti dimenticati. Anche una falena e uno scorpione morti, testimoni di stagioni ormai dismesse, hanno offerto il loro contributo a una riflessione sull’abbandono come categoria esistenziale nell’installazione La poetica dello spazio. In un’epoca di emergenze – sanitaria, climatica, economica –, l’artista è colui o colei che, nelle stanze silenti di un convento fuori mano, ci ricorda l’importanza del ritiro in noi stessi.

 

Tra le mura di questo luogo consacrato, sembra di sentir riecheggiare la poetica delle “buone cose di pessimo gusto” di Guido Gozzano, quasi si riuscisse a cogliere, proprio qui, il riemergere di una visione crepuscolare della realtà. Oltre un secolo fa il poeta torinese tentò di opporsi all’irruenza in versi dei futuristi, profeti di una vicina vittoria delle macchine che si realizzò nella tragedia della Prima Guerra Mondiale. Animati da un analogo spirito di distacco dal frastuono del presente, gli artisti chiamati sul Monte Soratte hanno dato corpo e voce a composizioni e performance lontane dalla caducità del contingente perché rivolte alla categoria dell’universale che, solo, giustifica per Aristotele il ricorso all’arte.

 

Un esempio di questa ricerca dell’eterno si è avuta con la performance Messa-a-terra/Grounding di Daniela Beltrani. Il 22 agosto 2020, di fronte al sole calante, l’artista ha invitato il pubblico a salire in cima al Monte Soratte, fino all’eremo di San Silvestro. Il romitorio domina la valle del Tevere fin quasi al mare, conservando i resti di una chiesa costruita nell’VIII sec. d. C. sul luogo del tempio dedicato all’antico dio Sorano. In un contesto di intensa bellezza naturalistica, leggende pagane di cui è rimasta poca traccia si intrecciano ad architetture paleo-cristiane, fino a giungere al XVI secolo, quando in soli otto anni sei frati francescani rimangono colpiti a morte da fulmini. Questa è la storia raccontata dall’artista come premessa alla sua performance, insieme ai consigli per evitare contatti letali con i fulmini sulla montagna e alla spiegazione della messa a terra di protezione volta a disperdere nella terra, per l’appunto, le masse metalliche che potrebbero trovarsi in tensione. Elettricità naturale e quella generata in ambienti antropici costituiscono il punto di partenza per una metafora che riguarda la tensione umana generata da emozioni potenti e potenzialmente distruttive, che deve essere gestita con accortezza per non causare danni anche fatali sia al nostro corpo che alla nostra mente. La performance artist gestisce la carica elettrica di tali emozioni che, attraverso la sua praxis, vengono riversate nel terreno. Un novello rito apotropaico che connette la storia di un luogo carico di energia a pratiche moderne di Mindfulness per la gestione delle emozioni.

 

Valerio Giacone si è invece interessato ad alcune cartoline da lui recuperate, sempre negli spazi conventuali, e a cui ha deciso di dare una nuova vita attraverso la sua arte. Il disegno è diventato in questo caso lo strumento di connessione tra un passato a lui sconosciuto e il presente a cui sono state richiamate in vita le epistole. Un’intromissione che solo apparentemente viola la riservatezza dei messaggi, mentre in realtà, con tatto e delicatezza, offre una seconda giovinezza a oggetti altrimenti votati al silenzio dell’abbandono. Il convento si trasforma così nel Castello dei destini incrociati, dove a ciascun visitatore è offerta la possibilità di rileggere un racconto altrimenti silenziato per sempre.

 

Scendendo dal Monte Soratte, ci si imbatte negli spazi di Palazzo Caccia Canali, dove Ilaria Paccini ha esposto i suoi Destini incrociati, opere in acrilico su cartone ondulato. Di nuovo un oggetto povero ed umile, a cui l’artista concede l’onore riservato alle tele. Paccini, quasi provocatoriamente, sfida le sale disegnate secoli or sono da Jacopo Barozzi da Vignola per esporre le sue Grandi Carte, grazie alle quali indaga momenti di rara intimità. Questi tarocchi moderni sono un monito agli attimi della vita su cui nessuno si sofferma, perché effimeri come il battito d’ala di una falena. Eppure è in quegli attimi che importanti relazioni possono nascere o estinguersi, così come in un attimo Adamo ed Eva fecero la scelta che cambiò la storia del mondo; ma la Eva di Paccini pare preparata alla caduta perché, a differenza del compagno, indossa scarpe da ginnastica. Quasi avesse pianificato quell’uscita dall’Eden che ora, a Sant’Oreste, si è trasformata in una seconda opportunità per tutti, oggetti, artisti e pubblico. Sotto gli sguardi benevoli di dei pagani e santi cristiani, depotenziati i fulmini emotivi che talvolta ci abitano e riaperti gli armadi impolverati della memoria, l’estate di Sant’Oreste è stato tutto questo: un salto nel vuoto, che si è poi rivelato pieno di occasioni e materiali riciclabili. Perché l’arte non butta via niente, ma a tutto riesce a dare una nuova vita.

 

NOTA del redattore: La dottoressa Anna Di Giusto ha visitato Sant’Oreste dal 21 al 23 agosto 2020. Per un archivio completo degli eventi tenutisi durante la rassegna e per gli eventi del fine settimana finale 10-11 ottobre 2020, consultare il link.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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