Dal 16 di luglio al 2 di agosto è in scena al Silvano Toti Globe Theatre il “RE LEAR” con la regia di Daniele Salvo. Una rappresentazione al Globe è sempre una sfida particolare per un regista teatrale; non solo: si deve adattare a un luogo singolare che mira a riprodurre la struttura del Globe shakespeariano (e quindi, lo spazio assai ristretto, il contatto con il pubblico più vicino del solito, il parterre senza sedie, il palcoscenico con grandi balconi, e, non per ultimo, il cielo stellato sopra le teste degli attori e del pubblico, il quale risente molto del calore di una “notte di mezza estate”, a 37 gradi poi…).
Il nuovo Globe, situato tra gli alberi di Villa Borghese, ha una sua semantica molto forte e per questo assoggetta chi lo affronta. Nel suo richiamo così rigoroso alla tradizione seicentesca l'edificio è anche un progetto d'avanguardia. Di conseguenza, la messinscena qualsiasi all'interno di questo spazio è condannata a oscillare tra la tradizione e la contemporaneità: troppa modernità svaluterebbe il contesto architettonico (che è un punto di forza di questo teatro), mentre un'attenzione eccessiva all'autentico lo renderebbe museo (che per la sua natura statica e conservatrice è l'esatto contrario del teatro che vive di “movimento”).
L'intento di portarci un po’ di vita – o meglio, riportare, visto che lo spettacolo fu già proposto nel 2013 allo stesso “Globe”– si legge bene, per esempio, nelle Note di regia distribuite nel dépliant illustrativo, dove è messa in rilievo la giovane età di quasi tutti gli attori (che, a occhio, aggira attorno alla media di 35 anni…). Nel 2015 puntare sui “giovani” non è più una cosa nuova: il populismo politico recentemente l'ha sfruttata fin troppo. Oggi, oltre alla giovane età, si richiede anche l'esperienza e la personalità.
Quest'ultima ad alcuni degli attori presenti sul palco manca, il che diventa un problema con la trama shakespeariana così ricca di travestimenti; considerando che alcuni attori svolgono due ruoli diversi all'interno dello spettacolo (come Tommaso Ramenghi che recita il Duca di Borgogna e Curan), si fa presto a confonderli un po’ tutti. Ma per certi aspetti, questa banda di giovani che si aggira per il palco diventa invece uno strumento molto efficace. Dal punto di vista plastico si crea spesso il movimento violento, cupo e insieme elegante dei branchi di maschi più o meno armati. Così è in tutti gli episodi dove Lear compare con la propria scorta o al momento del suo incontro con alcuni soldati francesi. È sempre spettacolare e violento anche il Duca di Cornovaglia (Marco Bonadei).
Gli elementi coreografici si accordano in una maniera molto ben studiata con l'utilizzo degli spazi e gli effetti visuali e sonori. Confinando talvolta con i musical moderni, talvolta con il cinema (specie quando si propone un lieve sottofondo sonoro a un monologo), lo spettacolo propone molto di più di quel che si aspetta dal Globe e in questo decisamente vince.
La carica di effetti speciali, specie nel campo del sonoro, sarebbe molto più facile da reggere, pure per quelle 4 ore che lo spettacolo dura, se non fosse per la sonorità prodotta dalle voci degli attori. Le continue grida raramente vengono spezzate dalle frasi dette con un tono normale o con le pause di silenzio. E invece ci vorrebbero.
Alla prima apparizione del personaggio di Cordelia (recitato da Mimosa Campironi) la sua voce la distingue dal coro. Ha una vocetta adolescenziale, molto toccante nell'atmosfera generale dell'odio e della menzogna alla corte del re. Negli episodi successivi anche lei comincia a esprimersi con una voce bassa, rabbiosa e rauca, perdendo molto della propria individualità. Tra i tre personaggi femminili questo cambio di intonazione si addice a uno solo, quello della sorella maggiore Goneril (Marcella Favilla), nella quale si associa alla fortissima carica erotica espressa dall'attrice che si cimenta persino nelle simulazioni – assai convincenti! – degli atti sessuali o della masturbazione.
Nella sua parte risultano perfettamente accordati il personaggio, l'espressione vocalica, la plasticità e il carisma dell'attrice stessa. Ne deriva una Goneril interessante e sorprendente. Un aspetto, quest'ultimo, mancante ai personaggi centrali, Lear e Glochester (rispettivamente, Graziano Piazza e Francesco Biscione), che sembrano invece riassumere l'intera tradizione delle rappresentazioni del dramma shakespeariano, con tanta bravura ma senza sorprese.
La completa rivisitazione del personaggio con successo indiscusso è invece il Buffone, recitato dalla meravigliosa Selene Gandini. Un ruolo difficile sia dal punto di vista fisico che da quello prettamente attoriale viene svolto dall'attrice con leggerezza e passione. È un Buffone tragico e saggio quello di Shakespeare, ma è insieme un clown, un acrobate e un nano delle corti barocche. Uno strano giullare leale e genuino che accompagna anche nel pericolo il suo sovrano umiliato e disilluso. Perciò, la morale che lo spettacolo riesce veramente a trasmettere non è “la tragedia dei padri incapaci di capire i loro figli”, come promettono le Note di regia nel dépliant, bensì il fatto che ci sia gioventù e gioventù.
Ce n'è una che non presenta alcun merito tranne quello (talvolta peraltro discutibile) di giovane età. E ce n'è un'altra, quella responsabile, creativa, portatrice di cambiamenti forti e decisivi.
E poi… non è che per davvero il Buffone astuto sia un po’ il personaggio centrale dei nostri tempi?