Odyssey è un’opera incredibile che riesce a riconciliare con il poema omerico anche chi, come me, lo ha subito nella traduzione di Ippolito Pindemonte i cui versi non trasmettono i valori universali evidenziati, invece, dall’eccezionale regia di Robert Wilson (uno dei pochi registi capaci di segnare ogni lavoro con il marchio della genialità, un Maestro come Ronconi o Strehler) realizzata sul testo di Simon Armitage.
Armitage (Huddersfield, 1963) – uno dei maggiori poeti inglesi come testimoniato dal titolo di ‘Millennium Poet’ assegnatoli nel 1999 – scrive per la radio, la televisione e il cinema e ha una notevole dimestichezza con i classici: la riscrittura dell’Odissea è del 2004 per la BBC.
Alle origini di Odyssey vi è una riflessione fatta da Wilson (Waco/Texas, 1941) quando ragazzo al suo primo viaggio in Grecia fu costretto ad assistere a una noiosissima riduzione teatrale dell’Odissea. Il regista racconta di aver pensato: “Ma deve proprio essere così? per me dovrebbe essere più lieve”.
Quando a distanza di molti anni ha accettato l’offerta del Piccolo Teatro di Milano e del Teatro Nazionale di Grecia di portare in scena l’epopea di Odisseo (Ulisse per i Romani), ha mantenuto fede a quell’intuizione giovanile realizzando un’opera in cui levità e ironia coinvolgono lo spettatore facendogli vivere il simbolico viaggio di Odisseo come proprio e in cui le vicende del poema possono essere lette in un’ottica attuale: ognuno di noi è un Odisseo che naviga tra ostacoli imprevisti e imprevedibili verso una meta che appare a volte vicina e a volte, invece, irraggiungibile e con il trascorrere degli anni anche noi perdiamo i compagni con cui avevamo iniziato il viaggio. Armitage e Wilson esaltano la modernità di Ulisse guidato e condizionato da quella molla che ha permesso agli uomini di migliorare la propria esistenza: la necessità di ‘conoscere’.
Come Odisseo non bisogna mai rinunciare alle proprie mete e/o sogni o sentirsi appagati da quanto si ha rifiutando sfide e relativi pericoli: difendere lo statu quo accelera la sconfitta a livello sia individuale sia di umanità.
Omero (IX secolo a.C. circa) raccolse e rielaborò in forma poetica nell’Iliade e nell’Odissea racconti che provenivano dalla tradizione popolare trasmessa oralmente per secoli da aedi e rapsodi, ma occorre attendere il VI secolo a.C. per averne la prima stesura scritta voluta dall’ateniese Pisistrato, anche se il racconto orale prevarrà ancora per molto tempo (in Egitto per esempio fino al III secolo d.C).
Wilson fa dell’origine favolistica dell’Odissea l’essenza e la forza di Odyssey non solo perché l’aedo seduto sul bordo del palcoscenico accoglie il pubblico o perché le avventure e sventure di Odisseo sono raccontate (e commentate con ‘moderna’ ironia) dalla regina dei Feaci a Nausica, ma anche perché tutto lo spettacolo con un sapiente e fantastico gioco di colori (l’incredibile gamma dei blu, il rosso delle scene più violente…) e di luci assume un andamento tra sogno e favola in cui gli attori si muovono a volte come sagome nere sullo sfondo luminoso, a volte danzando come ‘pupi’ mossi da fili invisibili.
Fili guidati dagli Dei (il cui Olimpo è rappresentato con raffinata giocosità) che riflettono diatribe e difetti umani.
Lo spettacolo interagisce con il pubblico avvolgendolo con i giochi di luce, con lo spazio che si dilata e contrae creando con armonica immediatezza situazioni e ambienti diversi (indimenticabili le scene di Polifemo, il canto delle sirene, la discesa agli Inferi, il passaggio di Scilla…) o con la sottile suspense che fa vivere con il fiato sospeso un finale conosciuto.
Wilson guida lo straordinario gruppo di attori come un direttore d’orchestra: la musica è un’altra chiave del fascino di Odyssey in cui la recitazione in greco moderno (sovratitoli in italiano e inglese) diviene un fluire di note in perfetta armonia con le musiche composte ad hoc da Thodoris Oikonomou (pianista e arrangiatore per compositori come Theodorakis e registi come Anghelopoulos) che le esegue dal vivo.
Altra splendida intuizione è far interpretare Calipso, Circe e Penelope dalla stessa attrice (la bravissima Maria Nafpliotou, statuaria ed eterea), quasi tre diversi aspetti della femminilità cui si contrappone una Nausica ancora infantile e scanzonata. Infine Odisseo non più eroe epico, ma uomo moderno (o forse d’ogni tempo) illuminato dalla curiosità intellettuale e che si adatta alle situazioni per trarne il massimo vantaggio allo scopo di conseguire i propri fini.
Odyssey è teatro allo stato puro e come tale comprensibile da tutti e fonte per tutti d’intelligente divertimento. Da vedere e rivedere.