MACBETH WILL NEVER DIE @ Teatro Tordinona: un’ora di purezza attoriale

Ha debuttato il 28 Novembre e resta in scena fino al 3 dicembre, nella Sala Pirandello del teatro TD IX TORDINONA il Macbeth di Pierpaolo Sepe. Protagonisti otto attori, affiatati e ispirati, che danno vita a un’ora intensa e ricca di emozioni e immagini.

“Salve a te, Macbeth”: questa la prima battuta del nuovo spettacolo di Pierpaolo Sepe. Entrando nella sala, gli otto interpreti (Federico Antonello, Marco Celli, Giulia De Luca, Paolo Faroni, Vincenzo Paolicelli, Noemi Francesca, Biagio Musella, Marco Trotta) sono seduti a proscenio e fissano gli spettatori che mano a mano prendono posto. Da qui in poi, il contatto fra il palco e la platea diventa inscindibile: le linee di forza, gli occhi che cercano e scrutano da una parte e dall’altra, in un continuo dialogo, creano un respiro comune che pervade la sala in ogni angolo.

In un’ora si assiste a un turbinio di partiture fisiche che si susseguono con un ritmo sempre più incalzante e danno la netta spirale di odio e violenza che lo porta al potere ma che segna anche la sua fine precipitosa.
Non ci sono parole però: per un ‘ora tutto è affidato esclusivamente ai corpi e alle energie degli attori che costruiscono la storia con l’aiuto di pochi elementi scenici. Danno così vita a immagini poetiche e altrettanto crudeli: se Lady Macbeth è letteralmente accecata dalla lettera che la informa della predizione delle tre streghe, al punto di comparire con la stessa attaccata sul volto, è ancora più forte il suo continuo toccarsi il ventre, come a sottolineare la sua immensa capacità generatrice e l’altrettanto immensa capacità distruttiva.
Suggestiva la scena del pugnale, quando Macbeth, spinto dalla moglie, compie il primo dei suoi delitti: l’assassinio di Duncan il re. Ecco che marito e moglie sono insieme, a prima vista sembrano lottare uno contro l’altro, spinti su due strade divergenti, per poi ritrovarsi entrambi con le mani coperte da guanti rossi. Il sangue è stato versato e non si può più tornare indietro.
Ancora più potente e parossistica la scena del banchetto, subito dopo l’uccisione di Banquo, l’uomo leale e valoroso, compagno fedele fino a quel momento di Macbeth. È qui che emerge in modo più chiaro la relazione che lega Macbeth e Lady Macbeth, i nostri due protagonisti. Sono amanti, sposi, amici, complici in ogni efferatezza, vittima e carnefice l’uno dell’altra. Ed è per questo che alla morte della donna, il dolore di Macbeth è straziante.

Macbeth, l’uomo che si è fatto re, afferra quel corpo ormai inerme, lo sostiene in un abbraccio doloroso, tenta addirittura un goffo ballo, che non è altro che un tentativo estremo di ritrovare vita in quelle braccia che lo hanno trascinato al delitto. E poi lo abbandona, si siede sul suo trono e aspetta la sua fine, sempre più vicina. Solo a questo punto recupera la parola, si lascia andare a una delle più belle riflessioni scritte da Shakespeare: “La vita è solo un’ombra che cammina: un povero attore che incede e si agita sul palcoscenico, e poi non lo si sente più: è una storia raccontata da un idiota, piena di rumori e di rabbia, che non significa niente”. È tempo che Macbeth muoia, torni a quel proscenio da cui è partito e dove lo aspettano gli altri suoi compagni di avventura.
Gli attori sono un unico corpo in movimento: non escono mai dalla scena, ma rimangono seduti ai lati del palco, presenti e vigili. Questo rende ancora più evidente il loro affiatamento. Gli sguardi che si lanciano da un lato all’altro riempiono gli spazi vuoti e ci danno la conferma che per fare teatro sono sufficienti attori vivi, creatori della loro presenza scenica, qualità sempre meno riconoscibile oggi.

La regia di Sepe è sintetica: non c’è bisogno di chissà cosa per raccontare questa storia. Basta andare alla sua essenza per capire su cosa puntare. Lo scopo è delineare un mondo oscuro dove le ombre dominano e fagocitano tutto. E così diventa comprensibile la scelta di ridurre l’opera shakespeariana ai momenti centrali, la parola deve scomparire per permettere alle immagini e ai suoni di diventare prorompenti come l’ascesa e la caduta di Macbeth.
Unico appunto, forse, è che questa essenzialità non aiuta chi non conosce il Macbeth originale. È difficile, senza il sostegno della parola, comprendere e riconoscere tutti i passaggi e sembra di assistere semplicemente a uno spettacolo in cui un uomo e una donna cedono alla violenza per poi esserne distrutti.
La riflessone che portiamo a casa è però fondamentale: ancora oggi i classici ci parlano, ci raccontano di noi, del nostro mondo e delle nostre ambizioni. Sono ancora lo specchio più limpido dell’animo umano e, come tale, possono riflettere le nostre perversioni e i nostri desideri. Ecco perché, come Macbeth, non moriranno mai.

Info:
Teatro Tordinona – Sala Pirandello

Dal 21 Novembre al 3 Dicembre ore 21
MACBETH
Traduzione di ANDREA MAFFEI
Regia PIERPAOLO SEPE
con
Federico Antonello
Marco Celli
Giulia De Luca
Paolo Faroni
Vincenzo Paolicelli
Noemi Francesca
Biagio Musella
Marco Trotta

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