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Angelica Liddell, intro
Uniche due date italiane, nella stagione di ERT, per il nuovo spettacolo di Angelica Liddell: Liebestod – El olor a sangre no se me quita de los ojos – Juan Belmonte. Lo spettacolo era stato presentato per la prima volta nel 2021 al Festival d’Avignon, sconvolgendone i suoi spettatori.
il teatro non è un tribunale, non ha a che fare con la militanza, può solo concedere alla tragedia il suo diritto e alla poesia di arrivare al pianto e alla pietà (Anna Benedettini, intervista Repubblica, 2013).

Una delle autrici più apprezzate e discusse del panorama teatrale europeo la regista, performer, scrittrice e drammaturga catalana Angelica Liddell (Figueras, 1966) si tiene sempre a metà strada fra il coinvolgere e lo sconvolgere lo spettatore. Per la prima volta in Italia nel 2011 con lo spettacolo Te harè invincible con mi derrota, un tributo alla violoncellista Jacqueline du Pré, successivamente nel 2013 vince il Leone d’Argento a La Biennale Teatro di Venezia. Il suo teatro, divenuto celebre per il suo essere eccessivo e trasgressivo incontra il pubblico dell’Arena del sole di Bologna in un doppio spettacolo, il 29 e il 30 aprile.
L’incontro del torero: amore, morte e vita
Il titolo si apre con la parola “Liebestod”, nome della celebre aria conclusiva del Tristano e Isotta di Richard Wagner, e si conclude con “Juan Belmonte”, torero andaluso di fama internazionale. Da “Liebestod” a “Juan Belmonte”, dall’amore alla morte e dalla morte all’amore, l’uno ricercato nell’altro, si svelano, si determinano. Lo spettacolo si costruisce sull’immaginario della tradizione spagnola del toreare, come elemento vicino alla cultura e società dell’artista. E non è sicuramente un caso che abbia scelto una manifestazione tanto discussa negli ultimi tempi come la corrida, simbolo di una civiltà tradizionalista il toreare è sempre più respingente nei confronti delle nuove generazioni. In questo spettacolo la Liddell sembra voler superare tali discussioni per porre l’accento sulla potenza del rapporto fra il toro e l’uomo al momento dell’incontro-scontro, potenzialmente fatale (Juan Belmonte fra i suoi più celebri rappresentanti divenne famoso per il suo attendere il toro restando fermo, impavido, senza indietreggiare alla rincorsa dell’animale). Partendo da questa immagine la Liddell costruisce la metafora del cercare l’amore e la vita nella sofferenza, nella morte. La paura della morte è superata dalla paura di vivere una vita che non vi si avvicinerebbe abbastanza: una vita lontana dalla morte è una vita lontana dalla vita stessa.

Per un teatro colto
Angelica parla con furore, si dona al palcoscenico con passione, con una forza raramente apparsa sui palcoscenici del nostro paese, specie negli ultimi tempi. Non sorprende che citi come suoi punti di riferimento durante lo spettacolo la poesia di Rimbaud, il cinema di Fassbinder, le figure di Pasolini e Antonin Artaud, tutti personaggi che hanno in comune con Angelica Liddell il loro essere parte fondamentale della propria arte, corpo e spirito. Continuamente stimolata dai suoi studi e dalle sue ricerche, i rimandi e le citazioni ad altri artisti sono molteplici, li rimpiange.
Ma questi punti di riferimento vengono invocati con nostalgia dall’attrice spagnola, cosciente del fatto che la cultura occidentale difficilmente potrà partorirne altre di menti del genere, forse proprio per colpa della cultura occidentale stessa! Non indossa i guanti parlando di come a Parigi, per citarne una simbolica, si insegni alle generazioni future a vivere senza fede, vista come minaccia e accomunata anzitempo alla fede religiosa. L’avere come unico dio la scienza non è convincete, la critica sottile e controcorrente della Liddell sembra profetizzare per le prossime generazioni non altro che aridità mentale. Superare la religione, non eliminarla, estrapolarne i principi e studiarli.
Disincanto
Il messaggio è preciso, non lascia spazio ad ambiguità. Non si può cadere nel paradosso di rivolgersi a chi in quella sala, in questo caso la Leo de Bernardinis dell’Arena del sole, insieme a lei in quel momento non c’è. E per far sì che lo spettatore non si metta troppo comodo sulle “poltroncine rosse”, come ironizza in sala l’artista stessa, a godersi una critica alla nostra società come se non ne facesse parte, ecco che una serie di colpi (che in alcuni casi somigliano ad insulti veri e propri) lo riporta per davvero in presenza, in quel momento, ad essere testimone di un monologo che in fondo è rivolto ad egli stesso.
Il messaggio è preciso, non lascia spazio ad ambiguità. Non si può cadere nel paradosso di rivolgersi a chi in quella sala, in questo caso la Leo de Bernardinis dell’Arena del sole, insieme a lei in quel momento non c’è. E per far sì che lo spettatore non si metta troppo comodo sulle “poltroncine rosse”, come ironizza in sala l’artista stessa, a godersi una critica alla nostra società come se non ne facesse parte. Ecco che una serie di colpi (che in alcuni casi somigliano ad insulti veri e propri) lo riporta per davvero in presenza, in quel momento, ad essere testimone di un monologo che in fondo è rivolto ad egli stesso.
In un tripudio di sensazioni e di forte emozioni lo spettacolo riesce a colpire in modo forte e diretto. In due ore di spettacolo, non semplicissime da reggere in tutti i suoi picchi, lo spettatore viene rimesso al mondo, ma in un mondo diverso rispetto a quello dal quale proveniva. Disincantato ma cosciente, esce dalla sala con gli occhi lucidi e un sentimento misto di riconoscenza e collera nei confronti di Angelica Liddell.

Dati artistici
con Angélica Liddell, Gumersindo Puche, Palestina de los Reyes, Patrice Le Rouzic, Borja Lopez, Ezekiel Chibo
testo, regia, scene, costumi Angélica Liddell
assistente alla regia Borja López
disegno luci Mark Van Denesse
luci Dennis Diels
suono Antonio Navarro
produzione NTGent, Atra Bilis Teatro, in coproduzione con Festival d’Avignon, Tandem Scene National Arras-Douai, Kunstlerhaus Mousonturm (Frankfurt)