LEAR. LA STORIA@ Globe Theatre: la liberazione dell’anima dall’irrazionale

La storia, è l’adattamento della più grande tragedia shakespeariana, che mescola insieme inganno e ingratitudine, follia e malattia, corruzione, superbia e delirio, ma soprattutto sintetizza personaggi e scene attraverso immagini simboliche. Sul palco del teatro elisabettiano di Villa Borghese, Lear avanza verso il centro della scena su una lettiga spinta da sua figlia Cordelia (Silvia Siravo) e dal Conte di Kent (Filippo Brazzaventre), come a mostrarci da subito uno dei punti fermi della storia: sono loro le uniche persone che non lo tradiranno.

Lear è la storia di un re accecato dal suo potere, quella di un Dio onnipotente e quella di un Dio che si fa uomo, e sacrali risultano essere alcune immagini, come quella in cui Kent cerca di far ragionare il suo padrone prendendo le difese di Cordelia, scena nella quale Lear ci ricorda il Dio michelangiolesco che allunga il suo dito verso Adamo, solo che qui Lear è di spalle e le sue braccia sono in tensione come a disegnare nell’aria un arco che sta per scagliare una freccia, il dardo che ucciderà simbolicamente il suo fedele uomo.
È da questo momento che infuria il delirio di onnipotenza del vecchio re, quando Cordelia, la figlia più giovane e anche la più amata, non riesce a edificargli con parole il suo sincero amore, perché le manca “quell’arte liscia e untuosa di parlare a sproposito”, che appartiene invece alle sue sorelle, Regana (Luigi Tabita) e Gonerill (Roberto Pappalardo), serpentine, ambigue, sintesi della libido femminile e del potere maschile, il cui unico obiettivo è prendere il potere ceduto dal padre a tutti i costi e con qualsiasi mezzo, giustificando machiavellicamente il fine. Altre volte Lear appare meno divino e più simile ad un uomo: come Gesù spezza il pane per i suoi discepoli dicendo loro “prendete e mangiate”, così lui porge la sua corona a Gonerill e Regana affinché la spezzino e la dividano tra di loro. Anche nell’ultimo atto apparirà al centro scena con in testa una corona di spine.

I simbolismi continuano lungo tutta la messinscena: l’abdicazione al trono e la divisione del suo regno “in tre parti uguali” viene rappresentata anche attraverso la “lacerazione del costume” di Lear, del suo mantello fatto di terre, una cartina geografica strappata di dosso a pezzi. Parallelamente, presso il castello di Gloucester si sviluppa un’altra storia: il Conte (Sebastiano Tringali) ha dato ordine di uccide il figlio legittimo, tratto in inganno dal suo secondo figlio, Edmund (David Coco), che legittimo non è. Se Lear non vede perché ebbro del suo potere, Gloucester “non vede perché non sente”, ed entrambi perdono, a causa della loro cecità, il loro amore più caro e sincero. Interessante è qui la costruzione scenica del castello sviluppata su due piani: sul piano scenico Edmund è al buio, sul piano- corridoio Edgar appare illuminato da luci blu e avvolto in un mantello rosso, immagine pittoresca che ricorda un quadro rinascimentale, dove il rosso rappresenta il valore simbolico della luce e della bellezza interiore, emanazione divina, che contraddistingue gli uomini della giustizia; Edgar appunto.

La scenografia nei 5 atti è essenziale ma sufficiente a ricreare l’ambiente, come le bianche colonne del palazzo del Duca d’Albania, dimora di Gonerill o le sedie cubiche, i dadi dorati, del palazzo del Duca di Cornovaglia, dimora di Regana. Ci convince la scelta registica di simbolizzare e di sintetizzare personaggi e scene, purtroppo, però, in alcuni punti la messinscena perde ritmo e si percepiscono dei vuoti, dei tempi morti, nonostante la notevole bravura degli 11 attori sul palco, che in alcuni momenti raggiungono un’elevata intensità: Tringali, che ci accompagna nella sua trasformazione da re a uomo e padre; Rigillo che riesce a restituire la verità di un uomo potente devastato dalla sordità del suo ego e distrutto da quello che non ha saputo riconoscere e per quello che ha perso per sempre e che pagherà con la sua stessa vita; Regana nel suo dialogo orgasmico con Oswald; Edgar nella sua nuda innocenza; Edmund, la cui perfidia riesce quasi a farci simpatia e il Matto (la bravissima ed energica Anna Teresa Rossini), che appare come la voce della coscienza di Lear, un’affascinante grillo parlante (“Ti sei spuntato il cervello senza lasciare niente al centro”).
Un personaggio che si agita interiormente piuttosto che sulla scena, ignorato perché invisibile agli altri personaggi: anche Kent, quando conduce Lear nella grotta al riparo dalla tempesta, sembra non accorgersi della sua presenza. Ed è proprio nel rifugio fortuito che ritroviamo Edgar, le cui sembianze e atteggiamenti ricordano il Calibano de La Tempesta, commedia sempre scritta dal Bardo, forse proprio a suggerirci lo sconvolgimento interiore, emotivo e psicologico, che il re e di riflesso gli altri personaggi stanno vivendo.

Nella sua essenza altamente simbolica, il Lear-Rigillo diviene simbolo di un viaggio iniziatico verso l’uomo: il vecchio re muore per cedere il posto al giovane Edgar, che riesce, nonostante il suo dolore, a superare la tempesta e a farsi uomo. Lui stesso afferma che “la maturità è tutto”. E’ qui, infatti, che risiede la catarsi, la liberazione dell’anima dall’irrazionale.

SILVANO TOTI GLOBE THEATRE
LEAR. La storia
Adattamento e regia di Giuseppe Dipasquale
Traduzione di Masolino d’Amico
Movimenti scenici Donatella Capraro Costumi Angella Gallaro 

E PROSSIMAMENTE AL GLOBE THEATRE (vedi il calendario completo) e nella nostra agenda

8-17 luglio ore 21.15

Gigi Proietti in brani da EDMUND KEAN di Raymund FitzSimons

OMAGGIO A SHAKESPEARE

Adattamento e regia Gigi Proietti

Regista assistente Loredana Scaramella

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