Dal 10 al 14 aprile si è consumato il dramma di Tennessee Williams, realizzato da L’Araba Fenice con una nutrita equipe di attori e altrettanto entourage tecnico-artistico, sotto la direzione di Tina Agrippino.
Una prova difficile e molto impegnativa quella di mettere in scena uno dei testi più complessi del drammaturgo statunitense Williams, carica di responsabilità e d’aspettativa. Il testo nella traduzione italiana curata da Fonzi è una matassa da sbrogliare, una continua altalena di registri su frequenze parossistiche di un teatro mentale, disumano e umano nello stesso tempo, ambiguo e per certi versi anche dissacrante.
Molti e diversi i personaggi, anche se sembra quasi che ognuno abbia una stessa gabbia dalla quale evadere. In particolare, è doveroso citare l’interpretazione nei panni del Reverendo Shannon di Sergio Mandato, preparato e con un’evidente esperienza attoriale alle spalle, una vocalità a tratti metallica che penetra nella carne, mordente e originale. Poi, Ugo Andrea Santangelo (Raùl), dalla presenza scenica catalizzante, attraente e mistica, si presenta e si assenta magneticamente, la sua gestualità è atto di un rito, dal sapore mediterraneo e teatralmente puro, affascina e rianima il claudicante susseguirsi delle scene. Maria Stefania Pederzani nel ruolo di Judith Fellowes, diverte e sorprende con la sua morbidezza di parola e i suoi garbati movimenti in scena. Impreziosisce il cast, la partecipazione di Antonio Ferrante, il poeta Jonathan Coffin che porta una suadente liricità al dramma, è il crepuscolo nella buia e tempestosa notte, con un riscatto interpretativo sul finale.
Un lavoro registico arduo, e crediamo consapevole. La struttura cede in alcuni punti, a tratti è confusa, ripetitiva e manchevole di creatività coraggiosa. Sembra quasi che manchi di una progettualità, di una chiara ed espressa interezza dell’insieme. La guida c’è ma il percorso è irto di ostacoli e povero di punti di vista. Positiva è stata la scelta di evadere dal proscenio, di espandere gli spazi scenici ma poco credibili sono state le scene fuori campo perché prive di quinte fisse e poco riusciti gli espedienti scenici. Crediamo che i limiti della messinscena siano da ricondurre alla scelta della scenografia, priva di inedite fonti, di nuove traduzioni e di riferimenti semantici. Lodevole, invece, la scelta di rispettare il testo, s’avverte l’esigenza di far emergere la letterarietà del copione, di dare voce all’autore che s’annida nel vortice dei dialoghi e dei soliloqui. Consigliamo di ridurre gli squilibri, di concentrarsi sull’architettura scenica, in particolar modo gli ingressi e le uscite di scena.
Info:
L’ARABA FENICE
presenta
“LA NOTTE DELL’IGUANA” di Tennessee Williams
traduzione di Bruno Fonzi
con la partecipazione straordinaria di
Antonio Ferrante nel ruolo del Poeta Jonathan Coffin
Con Rosa Maria Marcucci, Ugo Andrea Santangelo, Sergio Mandato,
Angelo Tria, Carmela Giannella, Francesco Buonocore, Maria Stefania Pederzani, Anna Lucia Santoni, Elettra Naso
Voce di Eunice Naso
Regia di Tina Agrippino
“TEATRO DELLA FORMA”
DAL 10 AL 14 APRILE