In scena al Teatro Nuovo di Napoli dal 23 al 26 febbraio per la regia di Paola Rota: La Valigia. In viaggio con Dovlatov, la storia dissacrante e ironica di un giornalista russo emigrato in America che si racconta attraverso l’amore e l’odio verso il paese che ha lasciato. Un fenomenale Giuseppe Battiston dà voce al romanzo omonimo di Sergei Dovlatov pubblicato nel 1986, per insegnarci che i valori umani esistono solo al di fuori delle convenzioni.
Contenuti
LA VALIGIA: l’alveo sonoro dove i ricordi prendono corpo

L’azione si svolge all’interno di uno studio radiofonico: una manciata di microfoni ad asta e altri sospesi dall’alto, un paio di cuffie da speaker e casse di diverse dimensioni sono distribuiti sul palco con un paio di sedie e un cappello da colbacco.
Il profilo di un pianeta lunare svetta per metà nel cielo della scena, bianco come il cotone. Luci colorate sfumano in gradazioni dal giallo al viola sul volto del pallido satellite, creando col fumo un’atmosfera da night club.
L’avvio di Battiston è un’originale performance vocale: spostandosi da un microfono all’altro emette suoni onomatopeici simili a rumori stereofonici, da ricerca della frequenza in un radioricevitore. La trasmissione – da mondi vicini e lontani – può cominciare: ci siamo sintonizzati. Buonanotte, dice: il fiume in piena dei ricordi rompe gli argini e si riversa sull’ascolto assorto e partecipe del pubblico.
La vodka è una cosa seria: in viaggio con Dovlatov

La valigia siamo noi: è la circolare puntualizzazione con la quale lo spettacolo comincia e finisce.
Musica jazz risuona in sottofondo e accompagna le esperienze e le storie, i sogni e i desideri del giornalista e reporter Dovlatov, autore dell’omonimo romanzo autobiografico dal quale è tratto lo spettacolo, perseguitato delle autorità ed espulso dall’Unione dei giornalisti nella Russia degli anni Sessanta.
Nativo sovietico dalla tipica inflessione, attratto da gente deteriorata, il nostro antieroe si è sempre accompagnato a selvaggi schizofrenici e carogne a vario titolo.
Il suo passato è un distillato di vodka pura che manderemo giù tutto d’un fiato, ricordo dopo ricordo.
Il rapporto dell’emigrante col proprio passato: LA VALIGIA
Ogni emigrante lo sa: recidere le proprie radici è impossibile. Partire è un po’ morire: si lasciano indietro pezzi di sé, per ogni oggetto che non si è potuto portare.
La lingua di Dovlatov – intellettuale e giornalista impegnato, disorientato apolide in America, cittadino a metà di un Nuovo Mondo pieno di meravigliose insidie – è quella quotidiana, schietta e senza fronzoli, di chi ha masticato anni di nostalgia senza mai dirla.

Il suo generoso e rocambolesco monologo non declina i moti di un’anima in pena, pentita del volontario esilio o straziata dal desiderio di tornare. Lo spettacolo è, al contrario, un crescendo inarrestabile di emozioni e sketches tragicomici: Battiston è formidabile nel dare voce e corpo alla varietà di personaggi strambi e situazioni assurde rievocate da Dovlatov.
Performa con fervore ogni appassionante episodio del suo programma in otto oggetti-ricordo che celebrano elementi comuni della vita russa, rivissuti attraverso una mimesi esilarante.
LA VALIGIA: frammenti di un’indimenticabile, epica vita sovietica

La Russia è un terrificante paese da sballo. Vi avvengono furti arcani, quasi metafisici, come il portarsi a casa un’urna elettorale; si realizzano statue giganti di Gagarin, Majakovskij, Lenin: tutti nudi come previsto dai dettami del realismo socialista; e si beve: una volta ho letto così tanto sui danni dell’alcolismo che poi ho smesso…Di leggere.
Dovlatov raggiunge il climax della sua inarrestabile, dettagliata esposizione di aneddoti di vita vissuta quando ci parla dell’estate del ’63: arruolato in un campo di lavoro, rimase coinvolto in un incidente causato da un detenuto psicolabile che aveva persino addentato una cuoca. Lui aveva ricevuto l’ordine di portarlo in manicomio ma un colpo di pistola partito per sbaglio lo aveva quasi lasciato secco: inciampando, e cadendo, aveva sbattuto la testa ed era svenuto. La descrizione di questo incidente è – senza dubbio – il cammeo più spassoso dell’intera sequenza di storielle sulla quale è costruito l’assolo.
La morale postuma dell’esiliato
Sua moglie Lena – una professionista dello sconforto – gli ripeteva sempre che lui non se n’era mai andato perché troppo pigro persino per comprare una branda.

Un giorno Lena aveva deciso irrevocabilmente di emigrare; lui all’inizio non ci aveva creduto, era una cosa troppo inverosimile: come un viaggio su Marte. Poi però aveva ceduto alla brama di libertà e attuato la solenne decisione, prendendo parte alla terza grande ondata migratoria degli anni ’70: uno dei tanti esodi di massa che spopolarono il paese, stretto nella morsa di un’onnipresente e persecutoria censura. L’amata patria Russia, sovietica e respingente matrigna, era uno sterminato luogo dell’anima votato a stili di vita grotteschi, controlli pervasivi e maniacali, condanne efferate e senza appello.
Quanto amore è andato perduto nel corso di questi lunghi anni? – si chiede Dovlatov. Lui non sapeva che l’amore potesse avere quella forza e quell’intensità: la sua valigia è rimasta chiusa per anni.
Sull’onda di sentimenti contrastanti, Dovlatov postula domande che contengono implicite risposte: Come nasce un’affinità tra esseri umani?! Non è mica semplice! Cosa potrà succedermi più avanti se già ora mi tremano le mani?
Colora con vernice spray rossa una camicia bianca appesa allo schienale di una sedia: ci parla di suo cugino, il delinquente che lui ama con tutto il cuore. Quando si sbronza – con una certa regolarità – è fenomenale: spettegola, propone imprese fallimentari e affronta gli argomenti più disparati.
Tutto quel mondo è andato perduto, chissà dove.
GIUSEPPE BATTISTON: un formidabile mattatore al servizio dell’umorismo russo

Battiston-Dovlatov, convinto nemico dell’attività fisica, incarna ed espone ogni ricordo con precisione chirurgica, divaga con entusiastica foga, ci trascina nel suo mondo con travolgente impeto affabulatorio.
È perfetto nel ruolo di questa figura pantagruelica; portentoso nel ricreare il profilo psicologico di ogni personaggio citato e nel parodiare situazioni ai limiti del verosimile. Dotato di un’irresistibile verve, l’attore si conferma tra gli istrioni più versatili e talentuosi del panorama teatrale e cinematografico italiano.
LA VALIGIA: croce e delizia di un destino di libertà
Flusso vivace di una memore coscienza o laconico tentativo di rispondere alle perentorie domande di un intervistatore – Ci parli della sua infanzia! – le confidenze di Dovlatov sono quelle di chi ha molto vissuto e tribolato, collezionando frangenti e crisi che potrebbe comprendere soltanto chi – come lui – le avesse attraversate.
Scrivere dell’America è impossibile: non si può fare un elenco delle cose spaventose ed eccezionali che ci sono; lì ti senti come dentro a un grande negozio di giocattoli, i quali improvvisamente sparano; è difficile lavorare qui, è pieno di farabutti e il salame ha più successo di Nabokov! / Devo dirvi davvero che non vi ho dimenticato e che penso continuamente a Leningrado? / Se volete posso disegnarvi le mappe: so bene chi sono io ma non mi è tanto chiaro dove sto andando, e forse è meglio non saperlo / Siamo vivi e questo è già un indice di qualità / Io parlo, parlo, parlo ma a volte non dico niente.
Le ultime riflessioni di Dovlatov sono dedicate alla tanto anelata libertà, quello che più gli piace del capitalismo: Se sei un giornalista puoi anche scrivere che un ministro è uno stronzo.
La libertà è l’unico motivo per cui è emigrato in America ma…Chi ama la libertà prima o poi ne diventa preda.

La vita segreta degli oggetti-ricordo
Quanti tipi di valigie esistono? Cosa possiamo portare con noi quando partiamo per non tornare più? C’è un criterio con cui dovremmo scegliere oggetti e pezzi della nostra vita, prima di andare incontro all’ignoto? Come si fa con i mobili? E i vestiti, i libri e i manoscritti?
Quali sono le cose che portereste con voi su un altro pianeta, quali oggetti mettereste in valigia perché non ne potete fare a meno? Come si lascia ogni oggetto che non si porta e come si guardano quelli che invece portiamo con noi?
Lui, Dovlatov, porta i suoi scritti sotto forma di oggetti. Gli oggetti quando non li vediamo preparano agguati: hanno una vita segreta, sono in attesa. In ognuno di noi c’è tanto bene quanto male ed è tutto mescolato: La valigia siamo noi.
Visto il 23 febbraio 2023
LA VALIGIA. IN VIAGGIO CON DOVLATOV – INFO & CAST SPETTACOLO
Tratto da La Valigia di Sergei Dovlatov
Traduzione di Laura Salmon
Adattamento teatrale di Paola Rota e Giuseppe Battiston
Scena Nicolas Bovey
Costumi Vanessa Sannino
Luci Andrea Violato
Suono e musica Angelo Elle
Regia Paola Rota
Produzione Gli Ipocriti Melina Balsamo
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