LA SIGNORINA JULIE@Teatro Out Off. Tra realtà  e finzione

Dal 29 al 31 maggio, in prima nazionale, Fabio Sonzogni e i suoi tre attori hanno riportato alla fruizione del pubblico 'La signorina Julie', un testo di sconvolgente contemporaneità nonostante sia stato scritto sul finire del diciannovesimo secolo. I temi della disparità sociale, della differenza tra sessi e della violenza come strumento di potere vengono recepiti da Sonzogni dal punto di vista della nemesi storica, cioè dell'eredità dei padri che ricade sui figli. Il richiamo costante a elementi fedeli alla realtà quotidiana porta gli spettatori a chiedersi – in maniera forse ingenua – di quale realtà può o deve occuparsi il teatro.

Signori amanti del teatro tutti! Se andate a teatro è perché sperimentare l'equilibrio sottile sul quale si reggono i valori umani non vi sconvolge, bensì vi anima. E forse avrete presente quello che potremmo banalmente chiamare 'effetto teatro', ovvero lo stato di vaporosa confusione esistenziale determinato nello spettatore dalla domanda fondamentale che pone il teatro sulla vita: ciò che vedo è finzione o realtà? Cosa definisco reale e cosa finzione? In cosa esisto e in cosa mi inganno?

Si potrebbe disquisire di questi temi davanti a un tè in compagnia di Platone, Giordano Bruno, Cartesio, Leibniz, Schopenauer, Heidegger… oppure, per quelli che 'Io la filosofia non la capisco, la trovo complicata', si potrebbe andare a teatro, poiché esso ha il potere di sollevare quesiti che riguardano la conoscenza del mondo, lo scorrere del tempo, i cambiamenti della società e i valori che sopravvivono al mutare delle stagioni. Ecco, rispetto a quest'ultimo punto in particolare lo spettacolo di Fabio Sonzogni può suggerirci una riflessione approfondita.

Il regista e gli attori ragionano intorno alla questione della natura umana, ricercando un accento interpretativo che sottolinei il peso dell'eredità del passato. E di eredità in effetti si tratta anche rispetto alla scelta del testo datato 1888, di elevato spessore umano e appartenente alla corrente artistica del naturalismo.

Possiamo ricordare sinteticamente seguendo l'enciclopedia Treccani che “in arte… con il termine 'naturalismo' si indica la tendenza a riprodurre quanto più fedelmente possibile la natura o il reale… talvolta con espliciti riferimenti alle condizioni della vita sociale e quasi sempre con intento polemico… Sotto la spinta del positivismo comtiano e del correlativo culto per le scienze esatte, il naturalismo dà una netta e rigorosa configurazione alla tendenza, propria di tutto il Romanticismo, ad aprire all’arte il grande dominio del vero e si propone scopi di progresso sociale e umano”.

Perciò si potrebbe dire con velato azzardo che Fabio Sonzogni abbia costruito uno spettacolo naturalistico, a cominciare dalla scenografia minuziosamente pensata nei particolari per proseguire nell'interpretazione colma di pathos ritmico di Francesca Del Fa, Alessandro Quattro e Vincenza Pastore.

Per chi non conoscesse la trama della storia, eccone un breve riassunto. Durante la notte di mezza estate che ricorda la decapitazione di San Giovanni, presso la casa del Conte padre della signorina Julie, si svolge una festa in cui tutte le barriere sociali vengono abbattute, servi e padroni festeggiano e danzano insieme. In questa calda notte d'estate che profuma di passione e di lillà è pronto ad ardere il fuoco tra Jean, lacchè del Conte, e la signorina Julie. In questo avvicinamento vediamo un'essenziale rappresentazione della società dell'epoca ancora fortemente divisa in classi, seppur aperta a cambiamenti significativi dell'assetto sociale. In particolare, il lento avanzare dei 'nuovi ricchi', cioè della borghesia, mette in discussione il primato socio-economico dell'aristocrazia. Strindberg da una parte ci racconta il sogno del servo Jean, disposto a manipolare l'amore della sua padrona per sottrarle denaro e poter aprire un albergo per conto proprio; dall'altra descrive l'annoiata signorina Julie che ha ricevuto dalla madre un'educazione orientata al disprezzo per gli uomini e all'affermazione instancabile di indipendenza della donna. Entrambi cercano di svincolarsi da ciò che il passato ha predisposto per loro, Jean arricchendosi e Julie innamorandosi di un servo. È dunque possibile ingannare la propria natura?

Sonzogni e gli attori ci fanno diventare funamboli in disequilibrio su un filo sottile sospeso tra finzione e realtà. La scena è un grande spazio diviso in tre ambienti. Sulla sinistra troviamo un tavolo da cucina con alcune stoviglie di porcellana luccicante, un fornello elettrico e abbondanti candele, al centro un lungo tavolo in legno e infine nell'angolo destro del palcoscenico un catino da camera a indicare un angolo adibito all'igiene personale. Gli oggetti di scena e l'ambientazione ci rapiscono per la loro oggettualità sconvolgente e la verità della presenza grazie alla quale chi guarda può sentirsi comodo e rassicurato; tutto vero: dalle candele che vengono accese ai tegami che contengono realmente il rognone fumante che in scena verrà mangiato.

La linea della rappresentazione del reale continua anche nell'interpretazione degli attori. Per esempio, quando quella notte profonda e scura in cui i due cadono nel rapimento di Eros e che Strindberg accenna appena nel testo, noi del pubblico – colti da sudori freddi così come gli interpreti – vediamo davvero i corpi che si denudano, l'avvincente battaglia del riconoscimento, la forza dell'amore… ma… li vediamo davvero?
Certo mette d'accordo più teste la forma di un mestolo che quella di come rendere il fare l'amore, tuttavia qua dopo essersi spogliati reciprocamente i busti, i due protagonisti simulano l'atto sessuale per diversi minuti: dov'è finita la realtà?!

E anche quando il testo chiede l'uccisione di un canarino in scena, non incorrere nella finzione si rivela difficile. Vediamo quindi Jean decapitare brutalmente un finto uccellino da cui zampilla liquido rosso e una demoniaca signorina Julie che, salita sul tavolo, rivolge a Jean un monologo che costituisce uno dei pezzi più poetici della letteratura drammatica e nel quale risuona la violenta rivalsa femminile contro secoli di oppressione. Veramente quello che ci colpisce è il tagliente accostamento conflittuale tra una verità fedele richiesta dallo stile letterario del testo e le necessità espressive del teatro odierno.

Costringendoci a sperimentare molto da vicino la differenza tra oggetti riconoscibili e sconosciuti, lo spettacolo dell'Out Off sembra chiederci cosa sia la natura dell'essere umano e di pari passo quella del teatro.
È difficile non incorrere nei limiti della rappresentazione teatrale quando si rispolvera un testo del passato e quando lo si vuole rinnovare senza tener conto del mutare dei tempi e del concetto stesso di 'sconvolgimento'. Nella società in cui viviamo, l'equivalenza tra reale e credibile è molto forte e il teatro non può sottrarsi al confronto con forme d'arte come quella del cinema che ha strumenti più efficaci per descrivere la realtà in maniera fedele.
Ne consegue che forse il teatro dovrebbe ricercare nuove forme per parlare del mondo all'uomo che lo abita oggi.
Spesso riportare in auge i classici letterari del passato richiede un'operazione accurata di ricezione e reinterpretazione del testo affinché questo possa sprigionare la forza dei propri temi di fronte all'uomo di qualsiasi tempo e luogo, evitando di risultare ingenuo e stravagante nella realizzazione teatrale.

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