IL CUORE FERITO DEL SUDAMERICA @ Più libri più liberi: un focus sul continente latino tra populismo e rabbia sociale

Fernanda Chaves, Mirko Macari e Marta Lagos sono i tre ospiti di Più Libri Più Liberi chiamati a raccontare in Sala Luna quello che sta accadendo in America Latina in questi ultimi tempi.

Non possiamo infatti ignorare le proteste e gli scontri di piazza in Cile, la politica populista di Bolsonaro in Brasile, né gli ultimi eventi che stanno attraversando la Bolivia e il Messico.

Fernanda Chaves, brasiliana, è la prima a prendere la parola e la sua è una testimonianza dignitosa e sofferta, poiché è l’unica sopravvissuta all’attentato in cui a marzo 2018 ha perso la vita Marielle Franco, consigliera municipale di Rio de Janeiro.

La sua uccisione in pieno centro mentre si recava alla sede municipale cittadina è stato chiaramente un omicidio politico, avvenuto in piena campagna pre – elettorale, quando i partiti dovevano stabilire i candidati alla presidenza. A destra e sinistra, molti si univano al cordoglio e protestavano contro l’uccisione della Franco, l’unico a mantenere il più stretto silenzio è stato Jair Bolsonaro, il vincitore di quelle elezioni.

Un silenzio ancora più assordante se si pensa che uno dei suoi figli è stato citato all’interno delle indagini e che per questo Bolsonaro ha chiesto uno spostamento della sede giuridica, assolutamente non giustificabile per il sistema giudiziario brasiliano.

Certo è che l’omicidio di Marielle ha provocato indignazione ovunque, dando vita anche a un movimento spontaneo, FightlikeMarielle, ma nulla ha fermato l’ascesa di Bolsonaro, un presidente populista che sta cambiando la politica brasiliana con le sue posizioni reazionarie su diritti e ambiente.

Altra nazione che sta vivendo un momento di passaggio fondamentale è il Cile: a parlarne il giornalista Mirko Macari, fondatore di El Mostrador e opinionista molto famoso.

Macari evidenzia come il Cile sia presentato fin dal golpe di Pinochet come una società fiorente, come la Svizzera del Sud America. In realtà, la disuguaglianza sociale ed economica è sempre stata presente e le proteste recenti sono nate dall’aumento di 30 pesos del biglietto della metro: uno degli slogan della protesta è appunto “Non sono 30 pesos ma 30 anni”.

Quello che sta accadendo in questi ultimi due mesi, l’esplosione di questa rabbia sociale e i conseguenti scontri nelle piazze fra manifestanti e polizia, è in realtà la fine di una parabola che è stata inaugurata da Pinochet.

La dittatura in Cile non è stata una parentesi, ma la fondazione di un sistema politico ed economico che nel resto del mondo non viene compreso o, forse, coscientemente ignorato.

Ed è proprio contro questo sistema e non contro il governo che i giovani sono scesi in piazza: mentre i vecchi hanno paura del ritorno della dittatura e restano defilati, i giovani vestiti con armature medievali o come Capitan America non hanno vissuto la dittatura e non hanno paura. Scendono in piazza senza un leader, un manifesto e fanno esplodere la rabbia sociale contro il sistema, incapace di sbloccare l’immobilità sociale, il vero problema dell’intero continente latino.

Proprio questo è l’ultimo punto trattato da Marta Lagos, direttrice di LatinoBarometro, un organismo che monitora le politiche latinoamericane  partendo proprio dal Cile.

L’immobilità sociale (i poveri sono stati e sono sempre gli stessi) ha reso l’America Latina il territorio propizio allo scontro fra le superpotenze fino all’11 settembre 2001, quando gli USA hanno “abbandonato” il campo.

Ciò ha permesso una indipendenza mai sperimentata prima, con aperture alla Cina e all’India e un vero boom economico: per la prima volta tutti avevano qualcosa.

Se ciò però ha permesso lo scardinamento delle vecchie élites, non ha portato a un consolidamento delle democrazie liberali e dei partiti, né tantomeno a quelle garanzie sociali che avrebbero permesso al continente sudamericano di resistere alla crisi del 2008, quando, con la Lehman Brothers, l’economia è collassata e le disuguaglianze sono tornate in primo piano facendo esplodere la protesta sociale ovunque, anche in Paesi come il Cile e la Colombia dove le disparità sociali ed economiche non sono così gravi.

Ma soprattutto si è fatto strada il populismo, come dimostrano le elezioni di Bolsonaro in Brasile e di Amlo (acronimo per Andrea Manuel Lopez Obrador) in Messico.

Il Sud America, pur essendo così lontano da noi, dovrebbe essere maggiormente centrale nelle nostre riflessioni: è nuovamente il palcoscenico di scontri e proteste, evidenziando come quando la libertà e i diritti civili siano calpestati si innestino meccanismi che portano alla protesta sociale massificata e al populismo imperante.

E se riuscissimo ad aprire veramente gli occhi, ci accorgeremmo che ciò che accade in Sud America è in realtà quello che accade anche in casa nostra come risposta a una crisi economica, sociale e – ci permettiamo di dire – culturale del nostro sistema.

 

 

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