HABER legge BUKOWSKI al Festivaletteratura di Calabria

Il 31 luglio 2015 una grossa balena si è spiaggiata in un piccolo borgo medievale vicino al mare e non lontano dalla Sila. Fenomeno stranissimo e raro, ha dato il via alla XII edizione di “Parole Erranti” – FestivaLetteratura di Calabria, sputando fuori le belle idee dei ragazzi della Masnada, che già nel 2014 hanno trasformato suddetto piccolo borgo, Cropani, in “città del libro”, come Mantova e Torino, per citare le più note.

La prima serata ha ospitato l’attore bolognese Alessandro Haber, le sue letture di Charles Bukowski e le sue interpretazioni musicali, ultima mutazione di uno spettacolo che percorre l’Italia ormai da dieci anni. O, sarebbe meglio dire, ritorno alle origini di uno spettacolo nato per caso più di dieci anni fa, quando, prima di cominciare a portare in scena il fortunato “Bukowski. Confessione di un genio” di Giorgio Gallione, accompagnato dalle musiche del Velotti-Battisti Jazz Ensemble, Haber si era prestato per un reading di testi scelti da lui stesso tra i molti proposti dal foltissimo repertorio bukowskiano di racconti, lettere e poesie.

Durante la caldissima serata calabrese, di fronte alla maestosa facciata del Duomo di Cropani, la gradinata e la piazza gremite, Alessandro Haber mette in scena soprattutto se stesso, interpretando, cantando, recitando con voce roca, talvolta da ubriaco, struggente anche nei suoi risvolti più comici, ma sempre possente e palpitante, i versi del vecchio sporcaccione di Los Angeles, e poi vestendo i panni dello chansonnier, quando interpreta – accompagnato al piano da Vincenzo Montisano – Fossati, De Gregori, Conte, Cocciante. Con la lunga barba grigio-bianca, trasandato, malinconico, una sigaretta sempre accesa, solo e un po’ impacciato in un accenno di camera in affitto dove campeggia un tavolino con un mucchio di bottiglie vuote, il poliedrico attore bolognese interpreta se stesso almeno quanto ciascuno di noi, lettore e spettatore, si cala o si riconosce nell’umanità sofferente, viziosa e maltrattata della poesia di Bukowski. Le donne, la solitudine, il successo e l’insuccesso, un padre odiato, l’alcol, la scrittura, il sudiciume, lo scarto dalla normalità di tutti i William benpensanti, l’amore, la riflessione intima, il sesso, la morte, sono i temi che restituiscono il ritratto di un uomo in bilico tra narcisismo e compiaciuto disfacimento. Il recital di Alessandro Haber è una sequenza di versi di poesie che “finiscono un po’ così”, come se non dovessero finire ancora, e riflettono un Haber/Bukowski orgoglioso di sé e della propria vita, nonostante le voragini aperte dalla consapevolezza dei tasselli mancanti (come “tutte le donne che avrebbero dovuto amarmi ma non l’hanno fatto”), il dolore che una vita d’artista squattrinato non risparmia, nella quale comincia a sentirsi “una certa puzza di morte”.

Alessandro Haber mette in scena se stesso quando lo spettacolo vira verso il cabaret, e il poeta si trasforma in chansonnier, chissà, forse preannunciando una definitiva svolta di carriera. E se non fossero proprio l’attore e il suo rapporto ormai simbiotico con lo scrittore il fulcro della serata alla quale si assiste, non sarebbe facile cogliere il nesso che lega la seconda alla prima parte. Questo iato fa in certo modo rimpiangere lo spettacolo in cui era il jazz a contrappuntare i versi, in cui la musica era parte integrante della messa in scena, tutta giocata sulla figura e sui testi di Charles Bukowski. Ma la voce sporca e la grande forza interpretativa dell’Alessandro Haber cantante (scoperto in tale veste da Mimmo Locasciulli nel 1995, quattro album all’attivo), il filo di malinconia, l’atmosfera notturna, le luci al neon che rievocano e che percorrono brani come “Una notte” in Italia di Ivano Fossati, o la splendida “La valigia dell’attore”, scritta da Francesco De Gregori proprio per Haber, o Insieme a te non ci sto più di Paolo Conte, oltre che, naturalmente le meravigliose “Una sola settimana” e “Una bella macchina da scrivere”, due testi di Bukowski musicati da Giuseppe Fulcheri, ricompongono il puzzle di due personalità di artisti che, in modi e misura differenti, hanno fatto della propria vita arte e dell’arte la propria vita.

 

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