Robert Morris ha 84 anni, quando nel 2015 stabilisce con Barbara Castelli le linee generali di un’esposizione che vorrebbero fosse realizzata alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, ma il celebre artista statunitense muore improvvisamente il 30 novembre 2018, lasciando solo una traccia concordata insieme e immaginata nelle linee generali per l’esposizione nella Galleria che l’aveva già ospitato quaranta anni prima, nel ’79.
Dunque oggi e fino al 12 gennaio 2020, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, non si assiste alla retrospettiva del celebre scultore statunitense, ma alla prospettiva con cui questa mostra ha intercettato i suoi due ultimi, incredibili lavori: BOUSTROPHEDON e MOLTINGSEXOSKELETONSSHROUDS, a cura di Saretto Cincinelli e in collaborazione con la Castelli Gallery di New York.
Monumentum 2015-18 è il titolo voluto da Cristiana Collu per la mostra, che spinge ad interpretare l’intervallo di tempo 2015-18 come documento e testo artistico: l’esposizione diventa “luogo del valore e non solo della rappresentazione” – afferma la direttrice della Galleria da poco riconfermata nel suo ruolo – l’omaggio ad un momento sospeso di non ritorno, al tempio dello spirito, come solo l’arte sa evocare.
Ed in effetti è proprio l’evocazione, lo spirito dominante nel grande salone centrale della Galleria: le opere sono crisalidi di manichini su cui l’artista ha modellato le sue figure, per poi tenere solo esoscheletri-sudario di tela belga imbevuta di resina o fibre di carbonio sapientemente sospese e piene di vuoto. Come non intravvedere l’eco degli studi di ingegneria, filosofia e psicologia fatti da Morris? Come non tornare al vuoto di John Cage, all’ironia concettuale di Marcel Duchamp e non sentire tutto il movimento di avanguardia degli artisti che negli anni ’60 gravitarono attorno alla Green Gallery?
Morris si è espresso nel teatro come nella pittura, nel cinema come nella scultura, attraverso la land-art fino alla performance e alla danza contemporanea di cui fu interessantissimo coreografo insieme alla prima moglie Simone Forti: il linguaggio è solo un mezzo per indagare lo spazio. Spazio e tempo sono oggettivati dalla presenza di contraddittorie e profonde emozioni che aleggiano e danzano ed è alla danza che Robert Morris sembrerebbe lasciare il suo tributo insieme all’impronta del passato. Goya, Rodin, Mantegna, Claus Sluter rievocati dagli atteggiamenti delle figure, che però sono vuote e quindi riempite di Minimalismo, Process Art e Arte Concettuale: la mente dell’osservatore è costretta ad un continuo movimento bustrofedico tra dentro e fuori, tra estetica e significato, tra contenuto e forma all’insegna dell’indeterminatezza, concetto caro a Morris a cominciare proprio dalla pratica artistica.
Con questi 12 gruppi scultorei, alcuni collocati lungo il percorso espositivo, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma conferma lo spirito nuovo che ha investito la galleria con Cristiana Collu e ribadisce per altri quattro anni la sua funzione e la sua vocazione: quella di esporre l’opera d’arte invitando ad osservarla con lo sguardo audace di un luogo “dove nulla è nascosto e nulla è contenuto,” avrebbe detto Robert Morris.
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