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FRINGE FESTIVAL 2015: vince FAK FEK FIK e la provocazione artistica
Categoria principale: FRINGE FESTIVAL
Category: ROMA FRINGE FESTIVAL
Published: 06 Luglio 2015
Scritto da Antonio Mazzuca
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FAK FEK FIK vincitore del ROMA FRINGE FESTIVAL 2015
Si è chiusa ieri, 5 luglio, l’edizione 2015 del Roma Fringe Festival, la vetrina del Teatro Indipendente e off, quest’anno ospitata nei Giardini di Castel Sant’Angelo, location difficile e impegnativa, dal 30 maggio al 5 luglio.
A vincere, come già anticipato FAK FEK FIK, l’opera della Compagnia collettivo Sch.lab che si aggiudica anche la miglior drammaturgia per Dante Antonelli (regista) e Martina Badiluzzi, Ylenia Giovanna Cammisa, Arianna Pozzoli (attrici e coautrici); le stesse attrici vincono cumulativamente anche il premio “Miglior Attrice” chiudendo il cerchio.
Una vittoria significativa, questa di FAK FEK FIK che ha dovuto scontrarsi con avversari davvero di alta qualità e dalle tematiche e forme espressive davvero variegate e impegnate.
Da un lato, il poetico Les Aimants: è stato un (raro) piacere per gli occhi, a parere di chi scrive, assistere allo spettacolo di danza e mimo d’ispirazione film muto del primo 900, messo in scena dalla Compagnia Mangano-Massip – Associazione Autour du Mime, con Sara Mangano, Pierre-Yves Massip, un poetico teatro danza francese ispirato alle poesie di Prevert.
Ai temi della Guerra, la Grande Guerra con Guerriere, e la Seconda Guerra con Gli Ebrei sono matti va riconosciuto il merito di aver messo in luce da un lato l’importanza del Centenario, un evento che ha segnato nel male la vita del nostro Paese, e che forse non ha mai davvero smesso di influenzare il nostro presente in termini di conquiste sociali (delle donne ma non solo) e di ataviche e imprescindibili (purtroppo) paure del Diverso, del Matto, dell’Ebreo che si nasconde sotto il letto o in cantina (per citare “Gli ebrei”) e di cui aver paura, senza sapere il perché.
Ma torniamo al vincitore: FAK FEK FIK sì, ha strappato la vittoria. Ma più in generale il suo “trionfo” è emblematico di un bisogno socio culturale impellente: quello di un teatro coraggioso, sprezzante, che dice ciò che pensa, un teatro di denuncia e finanche rabbioso se serve nei confronti di quella sfibrante superficialità del nostro tempo, non solo dal punto di vista del comune vivere (o non vivere) sociale, ma dal punto di vista più squisitamente culturale.
La rabbia lapidaria delle tre nuove “giovani” di FAK FEK FIK è emblema di un malessere generalizzato da cui il teatro non è indenne, le tre figure puntano il dito contro di te spettatore addormentato (o narcotizzato) e assiepato nei consueti schemi artistici, ti invitano a riflettere sulla tua vacuità e leggerezza e scuotono, allo stesso tempo, anche il contesto teatrale contemporaneo, lo sfidano a trovare nuove forme espressive a partire da un illustro padre putativo Shwab, lo sfidano a spogliarsi delle consuetudini, lo sfidano a dimostrare di poter creare contenuto su cui riflettere non solo sognare o ricordare o ironizzare, come pure brillantemente fatto dagli altri illustri finalisti.
Non si tratta di una contestazione fine a se stessa quella di FAK FEK FIK, mauna sorta di provocazione artistica (o come tale vogliamo leggerla) a sforzarsi di fare ricerca sulla parola e l’espressività, sui contenuti messi in scena senza aver paura di impressionare, quanto piuttosto pungolando il pubblico a ragionare sulla realtà seppure con uno stile astratto e frammentato, asettico e spietato. Uno spettacolo di lupi per un mondo culturale “di lupi” che ha bisogno di colpire dritto negli occhi.
L’aspettativa di FAK FEK FIK è dunque quella di illuminarci, facendoci fare un freddo bagno di realtà: in questo è assolutamente opposto allo stile immaginifico e sentimentale di Les Aimants o all'aspirazione storico-didascalica di "Guerriere" e de “Gli Ebrei sono matti”.
Questo spettacolo fa metaforicamente un passo avanti in direzione del pubblico, languido come il corpo nudo delle interpreti che lasciano cadere ai nostri piedi (e non sul palco) la busta piena di vestiti della nostra mediocrità borghese, invitandoci a spogliare della nostra pochezza e superficialità per riflettere su cosa siamo diventati, su quanto non ragioniamo più sulla realtà ma ne restiamo indifferenti così come, spesso, si resta indifferenti rispetto ad una certa mediocrità del panorama artistico e teatrale italiano o contro gli atti fatti contro il Teatro in senso proprio (le chiusure inaspettate, il taglio dei fondi, le imprescindibili manie burocratiche) , contemplandolo da lontano, come fosse un essere vecchio o polveroso.
Una mediocrità da cui il Fringe sfugge ogni anno, proponendo spettacoli sia di sapore commerciale (non così scontati) sia estremamente profondi e riflessivi sull'animo umano, sui temi più scottanti dell'attualità (Immigrazione, segregazione, abbandono) del momento che abbiamo ampiamente seguito.
Momenti di riflessione che non vanno perduti, che sono invece difesi alacremente da questo gruppo di Under 35 (composto da Teatro Studio Uno, Alessandro Di Somma ed Eleonora Turco, Teatro Trastevere, Marco Zordan Francesca Romana Nascè, Raffaele Balzano,Daniele Parisi, Marta Volterra e il Dir. Artistico Davide Ambrogi) che mai come quest’anno ha dato prova di caparbietà rispetto alle difficoltà organizzative innegabili, agli ostacoli volontari e involontari istituzionali e non, che si frappongono (sempre e immancabilmente) innanzi ad ogni tentativo artistico di far riflettere il pubblico sulla realtà in questo Paese.
Un plauso dunque agli organizzatori del Fringe, al vincitore FAK FEK FIK,ai finalisti ma soprattutto al nutrito pubblico che ha riempito la finale. Un grande riconoscimento la presenza di tanti spettatori in piedi, o seduti, attenti o distratti, nervosi e sorridenti, scomodi sul selciato dei palchi del Fringe o intenti a criticare e confrontarsi sugli spettacoli che si accavallano nelle lunghe ore estive, nonostante la presenza di qualche topo o di un gabbiano o del clima appiccicoso e capriccioso.
La presenza di un vasto pubblico come quello della finale è un buon segnale non solo per la Rassegna ma anche per il teatro tutto. Perchéil teatro è forse ancora davvero vivo, vive nei gesti apparentemente difficili da interpretare delle tre Giovani di FAK FEK FIK, e sta ancora lì nudo davanti ai tuoi occhi, spettatore, ti invita a guardarti dentro e a cercare le risposte che cerchi nelle storie e nelle suggestioni che si agitano sulla scena e in cui spesso puoi trovare quelle risposte che nemmeno immaginavi di trovare, per quanto crudeli, ironiche o poetiche esse siano.