Già da due anni lo spettacolo di Giovanni Firpo con le musiche di Francesco Leineri riceve il plauso del pubblico e delle diverse culture internazionali, un successo che va dalla Germania alla Repubblica Ceca dove ha ottenuto il “Directors' Award for best musical score and live performance” del Setkani/Encounter Festival di Brno 2016, poi all'International Theatre Festival of Kerala in India e, tornando in Italia, al Lucca Teatro Festival, al Teatro Pietro Aretino di Arezzo, ed infine il 6 giugno al Teatro Trastevere di Roma in occasione del festival Inventaria.
Cosa rende così apprezzabile e fruibile questo spettacolo che non si serve della facile orecchiabilità musicale e non sceglie di accomodarsi su un “varietà”, forma di teatro sempre appetibile per accattivare un modesto pubblico? Tra gli spettatori c’erano numerosi giovani, persino bambini, dei quali in teatro se ne vedono purtroppo sempre meno, e molto entusiasti di quello che è stato portato in scena, commossi non per la solita love story sempre gradita alla sensibilità pop, divertiti non per la battuta o la parolaccia sempre efficace per certe sensibilità ammaestrate, non dalla volgarità di certo teatro che si è “calato le braghe” al dio denaro – ahimè – per continuare le stagioni di spettacoli e per non chiudere i battenti.
Dreams of dreams cattura e parla a tutti grazie al suo linguaggio universale, fa vibrare le corde umane attraverso la semplicità di un dialogo silenzioso senza secondi fini, educa un pubblico come dovrebbe essere educato un fanciullo. Il linguaggio universale di questo spettacolo è basato innanzitutto sul teatro muto degli attori, l’eccezionale cast di Officine Montecristo: Luigi Biava, Giorgio Coppone, Bianca Friscelli, Antonio Orlando, Carola Ripani, Giulia Trippetta.
La loro è arte del corpo, poiché muti di voce, con i volti dietro a delle maschere grottesche che hanno una sola espressione e quindi mute anch’esse, se si fa eccezione per la sola caratterizzazione fissa dei lineamenti del personaggio, come nella commedia dell’arte. Sono senza secondi fini dunque, in quanto non c’è alcuna parola che possa essere fraintendibile nel significato. Essendo i personaggi muti, la loro espressione si arricchisce con la voce della musica, anch’essa linguaggio universale, realizzata da Leineri dietro un telo semitrasparente nero.
Il giovane compositore ed esecutore della colonna sonora dello spettacolo usa, come in altri suoi spettacoli, una moltitudine di strumenti suonati come una piccola orchestra a misura di singolo musicista: piano, loop station, elettronica, vibrafono, organetto, diverse percussioni e tanti altri piccoli strumenti. Lui è la voce della storia narrata, non solo la voce dei personaggi muti, ma anche delle loro azioni, dei loro sentimenti, dei loro pensieri, dei loro destini, e si esplica un certo amore di Leineri per l’opera lirica nella dedizione con la quale fa cantare quella scena con tutto ciò che ha, con la moltitudine degli strumenti, col suo corpo.
Ma Leineri quest’opera la vive da dentro, perché è sulla scena, dietro i personaggi e c’è solo un fine telo nero a separarli. Benché sia la voce della storia narrata. non è il musicista a condurli come un direttore d’orchestra fa coi personaggi dei grandi capolavori di Rossini, Verdi, Bizet o Puccini, piuttosto li accompagna, come uno di loro, un amico.
Il direttore d’orchestra c’è ed è tra i personaggi: quella che tenta più volte di diventare una coppia tra una signorina un po’ schizzinosa e un signorino un po’ impacciato, un individuo paffuto che porta un pacco pieno di roba di ogni tipo e un imbroglione che fa da scagnozzo ad uno stregone malvagio; e poi c’è lui, il direttore d’orchestra, alter ego sia del musicista che suona la colonna sonora di questa storia, sia del regista Giovanni Firpo che interviene negli eventi attraverso la bacchetta del direttore d’orchestra come un deus ex machina, un dio che svolge la funzione di controllore (dei loro biglietti in un autobus) e di autoritario riparatore del bene nella storia.
In Dreams of dreams c’è davvero di tutto, ma tutto molto innovativo: è un opera lirica per attori muti; una commedia dell’arte carica di tipi riconoscibili dietro maschere, maschere che hanno il grottesco metafisico delle figure ipnagogiche di De Chirico; una tragedia in cui il tragos alla fine risulta essere quello che fino all’ultimo è stato un farabutto e si rivela essere un pezzo di pane, e il deus pretenderà l’amore di tutti per quel "Caino" che merita il perdono.
La storia narrata è una storia molto riconoscibile proprio perché universale nei temi e nei tipi, come a significare che mentre alcune maschere sono comete che bruciano solo per brevi attimi, vedi la scimmia nuda di Gabbani o la maschera creepy horse usate per una scena dello spettacolo, in fin dei conti le maschere in cui riconoscersi in ogni epoca e in ogni luogo della terra sono sempre le stesse, la sfida sta nel portarle sul palcoscenico ancora e affascinare il pubblico con un teatro all’avanguardia, come quello che porta avanti Giovanni Firpo nelle sue Officine Montecristo, e un genio musicale quale è il nostro Francesco Leineri.