Inauguriamo (o re-inauguriamo) la sezione di Gufetto Musica dedicata alle recensioni discografiche con l'ultimo lavoro del giovane pianista e compositore Gian Marco La Serra, l'EP Anagram, uscito il 27 Febbraio sui servizi di streaming, in download digitale e su Bandcamp, e che abbiamo ascoltato per voi.
Il terzo lavoro del pianista compositore Gian Marco La Serra, dopo Piano Solo (2014) e Eleven (2016), si presenta come un EP facile all'ascolto, ma inizialmente non altrettanto immediato.
Si tratta di Anagram, una breve raccolta di 5 tracce caratterizzate da un pianismo delicato e minimal, orecchiabile in un primo momento, nel senso che a volte si dà dispregiativo del termine: accarezza l'udito con la facile efficacia del suono puro della singola nota ripetuta, o del singolo schema come centro di pochi altri movimenti intorno ad esso. Dunque ciò che in fondo sembra talvolta essere lo scopo del minimalismo musicale, approccio che può determinare nel critico l’interrogativo di dove sia la ricerca artistica in questo genere di lavori. Proprio partendo da questo presupposto ci si interroga prima di tutto su quale sia la necessità a volte quasi deformante ed esasperata della ricerca artistica, e se la ricerca non possa seguire sentieri meno sofisticati e più semplicemente intimi. Eppure, continuando l'ascolto, il discorso merita di essere approfondito.
Una storia zen moderna racconta che per le strade di una grande città americana si esibisce un chitarrista. Virtuoso e dall'innegabile talento, fa sentire ai passanti i suoi vertiginosi assoli, ma non raccoglie l'attenzione del pubblico, che è invece tutto concentrato a seguire un monaco seduto un paio di isolati più in là, a suonare uno strumento ad una sola corda, ribadendo sempre la stessa nota. A fine giornata i due artisti di strada si incontrano e il chitarrista, un po' provato, chiede al monaco come sia possibile che una sola nota abbia più successo dei suoi assoli. Il monaco risponde: "Tu sembra stia cercando la tua nota senza mai trovarla. Io l'ho trovata e dedico tutto me stesso a quella singola nota".
La storiella zen è ovviamente la rappresentazione esagerata di una seppur strana verità, che porta a pensare a tutti quegli straordinari artisti di strada che, per quanto bravissimi, non riescono a coinvolgere le persone, forse a causa di una società in parte diseducata a fermarsi, ad ascoltare, a rallentare la vita, ma talvolta anche a causa di una difficoltà a comunicare qualcosa di significativo. Allora si ricorre all'orecchiabilità da canzonetta italiana, a testi per teenager, a pianisti che fanno la forma del cuore con le dita e la piazzano in copertina del loro album… oppure ci sono artisti che scelgono l'imperscrutabilità e l'enigma, come nel caso di Gian Marco La Serra con Anagram.
In queste 5 tracce il pianoforte è il protagonista, la sua caratteristica purezza sonora ci esprime l'interiorità del musicista che muove le dita sui suoi tasti, ma allo stesso tempo ci cala in un'atmosfera di mistero, non il genere di mistero che impregnava la musica di Scrijabin e il suo misticismo da teosofo, non quel mistero che pretende un iniziazione rituale, piuttosto un mistero contingente alle sonorità esclusivamente di queste 5 tracce, un mistero che inizia e finisce all'interno di quei 17 min di esecuzione… se non fosse per l'anagramma.
Sì, perchè il compositore sfida l'ascoltatore ponendo nei titoli delle tracce un anagramma da risolvere, una frase significativa per l'artista. Sicuramente non è questa la cura per una società di ascoltatori sordi all'arte e forse più di tutte alla musica, ma certamente l'artista può giustificare proprio per questo la scelta di chiudersi dietro alle mura dell'enigma: chi vuole conoscere l'arte deve meritarsela, in un certo senso.
D'altra parte è interessante osservare come ogni traccia al suo interno abbia una fine posta a circa tre quarti del brano, un falso finale che riprende la musica portandosi solo dopo a quello reale della traccia. Espediente che in realtà permette anche di ascoltare le tracce in diverso ordine, percependole sempre come fosse una sola opera unificata; c'è sempre un intro, una linea e una fine, pur anagrammando le tracce. Che sia questo il significato che vuole suggerirci il compositore?