Dal 9 al 26 luglio il teatro Vascello propone il Festival di danza contemporanea “Fuori Programma” ospitando artisti di fama internazionale, e nella serata del 18 luglio il protagonista è stato Roberto Zappalà con la sua creazione Romeo e Giulietta 1.1 (La sfocatura dei corpi).
La coreografia, a distanza di dieci anni dal suo debutto, viene portata in scena senza alcuna scenografia, ad eccezione dei perfetti giochi di luce: i corpi dei danzatori diventano i protagonisti assoluti della tragedia shakespeariana e del dramma che ognuno può vivere ancora oggi, incentrato sull’individualità di esseri che vivono singolarmente un disagio soprattutto sociale.
Gli spettatori entando vengono avvolti nella nebbia in cui i due protagonisti stanno per presentarsi: Romeo, interpretato da Antoine Roux-Briffaud (storico danzatore della compagnia) compie movimenti a rallenty e indossa una maschera da sub, forse sta nuotando beatamente nel mare, mentre Giulietta interpretata da Maud de la Purification si fa strada su una bicicletta con le rotelle, sfrecciando sul palco.
La struttura dello spettacolo si compone di quadri, momenti, attimi, dove inizialmente i due protagonisti giocano, ma già da queste attività ludiche e spensierate ci propongono due mondi contrapposti che stanno per collidere. L’adolescenza, scandita dal sentimentalismo di Romeo, e dalla consapevolezza sociale di Giulietta che canticchia Cara Maestra di Luigi Tenco, termina sulle note della canzone La rosa di José Altafini dalle sonorità latine, in cui i corpi dei due danzatori sembrano nutrirsi della leggerezza propria di tale melodia, abbandonandosi nel famoso ballo in maschera, che farà incontrare Montecchi e Capuleti, a movenze e sorrisi privi di qualsivoglia presagio di morte.
Ad allontanare questo presagio di morte ci sono lo straniamento dell’innamorato, la difficoltà della relazione con l’altro, le peripezie degli amanti, il desiderio di comunicare e l’incapacità di esprimersi, quella “sfocatura dei corpi” così come viene definita dal coreografo che si traduce in una serie di movimenti astratti, a tratti oculati e precisi e a tratti frenetici e spiazzanti, su musiche di John Cage.
L’evento luttuoso, però, non tende ad arrivare: le luci cambiano, la scena si tinge di rosso ricordando il sacrificio carnale e la passione che nutre le loro anime, e successivamente di verde come il veleno che ingeriranno gli amanti. I corpi si destrutturano e modificano in un continuo disarticolarsi di muscoli, ossa e giunture, si privano anche delle calzature sportive che avevano accompagnato i primi movimenti della performance, spogliandosi metaforicamente delle sovrastrutture ideologiche e politiche per ritornare all’autentico e spontaneo sentimento d’amore.
Al contrario del famosissimo dramma shakespeariano il coreografo ci lascia un barlume di speranza con il suo finale aperto, in cui i due innamorati rotolano verso il buio del fondale, l’uno nella braccia dell’altra.